Il titolo poteva essere più ad effetto, ad esempio «Bregovic divide cantando Bella Ciao», oppure «Polemiche per i “soldi pubblici per Bella Ciao”», com’è accaduto a Ostuni (Brindisi), a causa dei commenti di alcuni esponenti della destra cittadina all’indomani del concerto di Goran Bregovic, che ha concluso in piazza i festeggiamenti del santo patrono.
«Un Paese che non impara dalla storia» mi sembra però un titolo più adeguato, se si considera il tenore – basso – di queste polemiche.
Alcuni personaggi politici della città, infatti, si sono sentiti «indignati» per aver dovuto ascoltare, durante il concerto, una canzone che nel corso degli anni è diventata simbolo di una parte politica, la sinistra antifascista.
Sessantun anni dopo la Liberazione dal nazifascismo, in questo Paese non si sono ancora fatti i conti con il passato, per cui appare legittimo, ad alcuni, negare il valore storico della Resistenza partigiana nel superamento di un regime antidemocratico, razzista e guerrafondaio e nella successiva costruzione di una democrazia che, se anche non è perfetta, garantisce comunque un insieme di libertà un tempo inimmaginabili, e che, in altri contesti, sono spesso rivendicate anche da quelle persone che oggi si indignano perché un artista, pagato con soldi pubblici, decide di cantare «Bella Ciao», che della Resistenza è il canto-simbolo.
Peggio ancora, non si vuole accettare l’idea che gli «Italiani brava gente» abbiano costruito un regime totalitario che si è macchiato di crimini contro l’umanità, ben prima dell’alleanza con la Germania nazista. Non si vuole rinunciare all’idea – falsa – che l’Italia fascista fu «una dittatura all’acqua di rose». Non si vuole rendere il merito della loro azione a tutti quegli oppositori del regime che furono incarcerati, confinati o costretti all’esilio (ancora oggi a Vittorio Feltri è consentito scrivere sulle pagine di un quotidiano nazionale della bonarietà del regime fascista nei confronti degli oppositori, mandati in vacanza sull’isola di Ventotene – e badate che a Feltri non dovrebbe essere possibile scrivere queste cose non per una forma di censura dall’alto, ma per una reazione indignata dei suoi stessi lettori che naturalmente non c’è stata).
Insomma: qual è il giudizio complessivo di questo Stato su Mussolini e il suo operato? Quale il giudizio su chi mise in gioco la propria vita per sconfiggere la dittatura e l’orrore? «Bella Ciao» è una canzone potente, che esprime la fierezza della lotta per la libertà. Come simbolo della Resistenza, non dovrebbe offendere nessuno fra quanti si riconoscono nella Costituzione di questo Paese, che è nata dalla lotta antifascista. Non si tratta, insomma, di una canzone di partito o di una sola parte politica: «Bella Ciao» dovrebbe poter essere cantata da chiunque abbia a cuore gli ideali sui quali fondiamo la nostra democrazia.
Questa volta la polemica è stata innescata da un consigliere comunale di Fratelli d’Italia, partito che, circa la storia del Ventennio, forse non ha esattamente le idee che ho appena esposto (anche se a Ostuni si trova in maggioranza con il PD, che invece della storia della Resistenza dovrebbe – dovrebbe – essere erede). Qualche anno fa, ad Aosta, all’altro capo della diagonale nord-ovest/sud-est d’Italia, in occasione dei festeggiamenti per il 25 aprile, a prendersela con «Bella Ciao» era stato l’esercito, che aveva dichiarato l’incompatibilità della propria presenza in piazza con l’esecuzione di brani musicali non compresi negli inni ufficiali (vedi il post). Credo si tratti, in un caso come nell’altro, della prova della non ricomposizione della comunità nazionale intorno a un insieme di valori condivisi corrispondenti a quanto espresso dai principi contenuti nella legge fondamentale dello Stato, quei principi ai quali dovremmo – dovremmo – conformare il nostro agire pubblico e sociale.
Del resto, i tentativi di fare i conti col passato si sono spesso ridotti, negli ultimi anni, all’equiparazione impossibile tra partigiani e repubblichini di Salò, vale a dire tra quanti lottarono per la libertà del Paese e quanti invece (che importanza ha se in buona fede?) si impegnarono per perpetuare il regime del Capo supremo, delle leggi razziali, delle imprese belliche, fino a fiancheggiare le SS nella loro opera di repressione, di rappresaglia contro i civili, di rastrellamento degli ebrei da inviare ai campi di sterminio.
Ecco, un Paese che non impedisce di mettere sullo stesso piano cose così diverse è un Paese che ha qualche problema di identità, di memoria storica, forse di semplice istruzione.
>>> Nel blog, leggi anche l’articolo Onorare i carnefici.