Quella che segue è una risposta (mia) alla lettera aperta di Uòlter Veltroni. La invio al manifesto, a Liberazione, all’Unità e, naturalmente, a Repubblica, il giornale che ha pubblicato la missiva veltroniana.
Alla redazione di quest’ultima chiedo anche se condivide le parole di Veltroni, che trovo sorprendentemente in linea con l’attuale politica economica e sociale del governo.
Il testo:
La pecora, il lupo e l’agnello stanno bene assieme. Questo, ridotto all’osso, è il pensiero di Walter Veltroni. Che importa se il lupo mangerà la pecora? Basta che il gregge sia numeroso e un altro esemplare prenderà il posto di quello appena sbranato. Che importa se Confindustria, se Marchionne, impongono i loro diktat agli operai (accetti le mie condizioni o sei fuori e scordati ora e per sempre di avere dei diritti)? C’è la crisi, si troverà qualcun altro disposto a farsi sfruttare. Questo, eliminati gli orpelli, è ciò che si cela sotto il termine «riformismo». Ed è questo riformismo (in realtà un ritorno al passato, a quando garanzie dei lavoratori e stato sociale ancora non esistevano) che da anni il Partito democratico tenta di propinare al Paese. Se lo fanno gli altri è male; se lo fa il Pd è il necessario “atteggiamento di responsabilità” verso il Paese. In fin dei conti che cosa propone di nuovo Veltroni nella sua lettera a Repubblica? E perché Repubblica non si sente in dovere di rispedirla al mittente, come si farebbe, al ristorante, con una minestra riscaldata troppe volte?
1) Chi dice no sbaglia: questo è uno degli argomenti “forti” veltroniani, con riferimento ai cittadini impegnati a difendere la propria terra da aggressioni pensate e decise altrove e quindi imposte senza vero dialogo e senza tanti riguardi con la militarizzazione del territorio e l’impiego di lacrimogeni vietati dalle convenzioni di guerra. Bisognerà, allora dire sempre di sì? Bisognerà che a decidere siano sempre gli stessi? Che razza di «riformismo» è quello che impone la Tav o una base militare? E perché queste sì ma non il Ponte sullo Stretto o la privatizzazione dell’acqua? Perché l’Afghanistan e la Libia sì, ma non l’Iraq? Chi decide che cosa è «riformismo» e che cosa è «imposizione» o impostura?
2) Serve un sistema bipolare, dice l’illuminato. Così da poter fare 5 anni di governance targata Pdl e poi 5 anni di governance Pd. Niente opzioni per un’alternativa al pensiero unico liberista, niente ostacoli alla linea del vincitore, e pazienza se centinaia di migliaia di cittadini si ritrovano senza rappresentanza dopo aver votato. Ma dov’è la novità? Non aveva già scelto alle ultime politiche l’allora leader del Pd di “ballare da solo” per evitare di concedere qualcosa a chi non la pensa come lui? La minestra riscaldata può ben servire un’altra volta.
3) “Siamo tutti sulla stessa barca”. La teoria preferita di chi aveva messo nella stessa lista elettorale operai e imprenditori, per ottenere con trucchi pubblicitari e frasi a effetto una ricomposizione del conflitto sociale impossibile nella realtà (la forbice tra gli ultraricchi e tutti gli altri si allarga) e assolutamente non auspicabile, se si desidera un poco di equità (perché dovremmo aspettarci che «quel 10% della popolazione che detiene il 48% del patrimonio privato» diventi improvvisamente altruista?).
4) Occorre una «autentica rivoluzione democratica». E il primo passo qual è? Ridurre le differenze economiche? Fare la famosa legge sul conflitto di interessi? Neanche per sogno! Il primo passo «è la riduzione del macigno del debito pubblico». Sembra di vedere Tremonti che si frega le mani e dà il via alle privatizzazioni.