Mi dicono: «Il cartellone su Milingo il giorno della visita del papa era una provocazione».
Certo che lo era.
Mi dicono: «Non è stato un esempio di buon gusto aver esposto il cartellone».
Dipende dai gusti, per l’appunto. E i gusti sono una cosa molto relativa.
Dimenticano che ciò che è avvenuto – da parte delle “forze dell’ordine” (di quale ordine, però?) – è stato del tutto arbitrario e illegale.
Allo stato attuale io non so da chi sia venuto l’ordine. Il numero di agenti coinvolti mi permettere di escludere il semplice «eccesso di zelo» di qualche poliziotto.
Ma ciò che è successo è illegale. Poi si dica ciò che si vuole: «Io l’avrei esposto», «Non l’avrei esposto»… Non c’entra. Quanto è avvenuto è perfettamente illegale e dipende dalla decisione di alcuni, presa nel nome del proprio giudizio o della deferenza verso certi poteri.
La Costituzione italiana, però, chiede che il pensiero sia liberamente espresso e non pare che lo striscione «I love Milingo» (ma davvero si muove per così poco la polizia di uno Stato che si dice democratico?) superasse in alcun modo i limiti posti dal legislatore.
«Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili», recita l’articolo 21 della Costituzione italiana, con riferimento – peraltro – alla stampa periodica e non a un semplice striscione.
Ebbene, nel caso specifico dov’era l’ordine del magistrato? Dove l’imputazione di delitto?
Non c’entra niente se amiamo o non amiamo, non dico Milingo, ma almeno lo striscione: la libertà di espressione del pensiero va rispettata, soprattutto da chi deve custodire l’«ordine». Quello costituzionale.
Altrimenti si chiama censura.
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