Il balletto delle ipocrisie

A monte della querelle tra Stati uniti e Italia sulla liberazione contrattata di Daniele Mastrogiacomo c’è un problema di fondo, che non è sintetizzabile con l’evidenziare due atteggiamenti diversi circa il valore della vita umana o il tabù della trattativa col nemico. Né pare possibile liquidare come ipocrite le critiche sollevate dal centrodestra o da Washington, che certo sono ipocrite, ma non per questo eludibili, perché colgono il nocciolo della questione. Alla base di tutto c’è la mancanza di una motivazione non dirò valida, ma quantomeno condivisa, della nostra presenza in Afghanistan.

Se il governo credesse nella bontà di questa guerra, se considerasse i talebani un pericolo per il Paese e per l’intero occidente, allora il governo sarebbe effettivamente tenuto a non trattare con il nemico, anche a costo di scarificare un proprio cittadino. Lo richiederebbero il semplice buon senso o, se si preferisce, le regole crudeli della guerra. L’esecutivo, invece, non crede all’utilità della guerra in Afghanistan, se non in un’ottica strettamente politica che consiste nel non voler irritare troppo Washington. Per compiacere il potente alleato noi ci troviamo in Afghanistan e questo – si sarà detto Prodi – è già parecchio: che bisogno c’è di rischiare un nuovo calo di popolarità mettendo a repentaglio la vita del giornalista di Repubblica? Di qui la necessità di riportare a casa sano e salvo Mastrogiacomo, la richiesta d’intercedere inoltrata a chi – Gino Strada – un po’ di credito in Afghanistan se l’è costruito portando aiuto invece che bombe, le pressioni sul governo Karzai, formalmente indipendente ma facilmente condizionabile quando si schierano 2.000 soldati in suo aiuto. L’assenza di una ragione precisa della nostra permanenza in Afghanistan, non altro, è stata la causa dello scatenarsi del balletto d’ipocrisie incrociate: comincia l’Italia affidandosi alla mediazione di Emergency, organizzazione non esattamente entusiasta della politica estera dell’esecutivo. Il governo preme sull’alleato più piccino per ottenere la scarcerazione dei cinque talebani, mentre l’alleato più grande avalla l’operazione girandosi a guardare da un’altra parte, se le parole pronunciate da D’Alema a New York vanno lette in questo senso. Il ministro degli esteri si sbottona un po’ troppo, così gli Usa ritengono di dover correre ai ripari, biasimando pubblicamente l’Italia per come ha condotto la vicenda e, naturalmente, per averli tenuti all’oscuro di tutto. I servizi segreti afgani arrestano il vice di Strada, accusandolo di aver collaborato con i terroristi, e già che ci sono forse anche l’interprete rapito con Mastrogiacomo, che a quanto pare i talebani avevano rilasciato. In Italia è Emergency a finire sul banco degli imputati, accusata di essersi intromessa sua sponte nelle trattative per la liberazione dell’ostaggio. A conclusione della vicenda, Massimo D’Alema chiede scusa agli americani, lasciando intendere di essere disposto a sollecitare l’invio di nuove armi e, forse, nuovi uomini in Afghanistan. A questo punto la Casa Bianca invia una nota distensiva, considerando chiusa la faccenda. Questo a qualcuno potrebbe ricordare qualcosa; a me ad, esempio, il modo in cui è stato zittito chi protesta contro la decisione del Presidente Prodi di concedere la costruzione della base americana al Dal Molin di Vicenza. Dopo la grande manifestazione del 17 febbraio, che ha portato nella città palladiana più di 100.000 persone, è bastata una finta crisi di governo per togliere i riflettori dei media e l’attenzione dei politici dalla vicenda. Ora la liberazione di Mastrogiacomo (sacrosanta, per carità) rischia di sdoganare l’invio di nuove armi e uomini e d’incidere sul voto per il rifinanziamento della missione afgana. Guai se gli americani, come ha lamentato Berlusconi, non dovessero più fidarsi di noi!

 

PS: Presidente Prodi, da quasi un anno sta aspettando inutilmente di essere invitato alla Casa Bianca. Non si umili così: provi a pensare che a volte non essere invitati è meglio, che non avere rapporti privilegiati con certi “amici” è un segno di distinzione, non una macchia. Pensi che è ora di cercare una politica mondiale meno vincolata a quella della superpotenza americana. Colga il buono delle parole di Napolitano, il nostro Presidente, che giustamente ha invitato l’Europa a una politica estera unitaria e perciò stesso dotata di un peso, dunque non inevitabilmente succube degli americani. Ci sganci dalla follia della guerra permanente, ci permetta di recuperare quella dignità che troppo spesso abbiamo sacrificato all’esigenza di non irritare il suscettibile alleato. E se proprio ha voglia d’America, faccia lei un invito: le dice niente il cartello della foto qua sotto?

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