C’era un cartello giallo, con una scritta nera…

Sono perplesso, smarrito. Il gioco si è fatto strano: quali sono le regole? L’Italia, mi avevano detto, ripudia la guerra (art. 11 della nostra Costituzione). La guerra, però, infiamma l’Afghanistan, dov’è in corso l’operazione «Achille». I nostri militari collaborano. Un controsenso? No, mi rispondono. Perché noi siamo in Afghanistan in missione di pace e lottiamo contro i talebani, contro i terroristi. Noi siamo i buoni, del resto, perciò abbiamo sempre ragione. Così rimango scosso alla notizia dell’ennesima strage americana, di civili bombardati “per errore”, mentre la popolazione afgana comincia a esprimere il proprio malcontento per l’occupazione. C’è un bel libro di Paolo Barnard, si chiama Perché ci odiano? Cita una serie impressionante di dati e di occasioni in cui noi occidentali ci siamo guadagnati il rancore dei poveri del mondo e dei Paesi islamici in particolare. L’occupazione dell’Afghanistan, lo sfruttamento dell’Iraq, il nostro appoggio incondizionato a Israele (a prescindere dalla sua politica) non sono il modo migliore per ripensare il nostro rapporto con il sud del mondo. Così mi domando veramente: che cosa ci facciamo in Afghanistan? Aiutiamo gli Usa (pardon, le Nazioni unite) a dare la caccia a Bin Laden? Scusate tanto, ma non ci credo. Diamo una mano al popolo afgano? Non vedo lanci di petali al passaggio delle truppe; non credo che la pace si porti con le armi. Ma c’è chi ci crede: è il governo Prodi, che nella guerra al terrore ha investito diversi milioni di euro. Batteremo i maledetti talebani! Ce lo assicura Massimo D’Alema.

La notizia di ieri, naturalmente, è stata la liberazione di Daniele Mastrogiacomo, l’inviato di Repubblica rapito dai talebani in Afghanistan. Secondo l’agenzia Pajhwok, l’inviato di Repubblica è stato rilasciato in cambio di cinque leader talebani: Ustad Yasir, Mufti Latifullah Hakimi, Mansoor Ahmad (fratello del portavoce Dadullah) e due comandanti, Hamdullah e Abdul Ghaffar. Sono sinceramente contento per il felice epilogo della vicenda e per scaramanzia ho voluto attendere la liberazione del giornalista prima di pubblicare questo articolo. Ma non posso non notare la contraddittorietà del comportamento del governo, l’assurdità del sorriso del premier dopo il rilascio di Daniele. Se i talebani sono veramente così pericolosi, che senso ha avuto rimetterne cinque in libertà per salvare un giornalista? Mi avevano insegnato che coi terroristi è vietato trattare. Non sarà che, come vorrebbe Fassino, è invece il caso di trattare su tutto, compresa una via d'uscita non militare per l'Afghanistan? Il governo manca di coerenza con se stesso, mi pare, con ciò che proclama. Dice che appoggerà le azioni militari americane (con buona pace dell’articolo 11), ma assicura che non dobbiamo preoccuparci, perché i nostri omettini si terranno lontani dai combattimenti. Come se il nodo della questione fosse la difesa della nostra pelle e non l’avallo che forniamo alla politica omicida di Bush. Se mai vi credessimo, dovremmo lottare fino al sacrificio. Non ci crediamo, però guai a scontentare il Presidente, fintanto che a morire sono solo decine di migliaia di pidocchiosi afgani, o iracheni, quella gente là, insomma…

Ieri (ce lo ricorda ombra nel suo blog) correva l’anniversario del celebre “Mission accomplished” (“missione compiuta”), la frase che sancì la fine ufficiale della guerra lampo afgana (2-19 marzo 2002). Da allora nulla appare compiuto e la guerra preventiva e permanente rischia di allargarsi a macchia d’olio (sei pronto, Iran?).
 

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