Festeggiare la guerra

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Al di là del titolo polemico, mi rendo perfettamente conto che in uno Stato democratico il cui esercito ha – secondo il dettato costituzionale – compiti eminentemente difensivi non c’è alcuna ragione per cui le Forze Armate non debbano avere una loro festa.

La data scelta, il 4 novembre (del 1918) corrisponde alla fine della prima guerra mondiale lungo il fronte italo-austriaco, con la «Vittoria» dell’Italia sull’Impero austro-ungarico.

La festa, in origine, rappresentava proprio la celebrazione di quella «Vittoria», dopo un conflitto che causò un milione e 240mila morti, tra militari e civili, nella sola Italia (il 3,48% della popolazione complessiva italiana dell’epoca) e tra 16 e 17 milioni in tutto il mondo.

Non una gioiosa presa d’atto della fine di una carneficina di proporzioni immani, insomma, ma una giornata di orgogliosa celebrazione della propria bravura da parte di uno Stato e del suo esercito «vittorioso».

Dal 1918 a oggi, l’esercito regio prima e successivamente quello repubblicano si sono distinti per la partecipazione a buona parte delle guerre combattutesi tra Europa, Asia e Africa, dalla conquista fascista dell’Etiopia al secondo conflitto mondiale, alle più recenti «missioni militari» in Iraq (prima e seconda Guerra del Golfo), Serbia, Afghanistan, Libia, eccetera eccetera eccetera.

L’Italia che oggi «ripudia la guerra» (art. 11 Cost. it.) partecipa in realtà a tutte le principali operazioni belliche statunitensi, fornendo supporto logistico (basi sul territorio della Penisola, dalle quali decollano i bombardieri americani) e militare in senso stretto (uomini e mezzi).

L’Italia e il suo esercito partecipano insomma a «missioni» che si svolgono a centinaia o migliaia di chilometri di distanza dai confini nazionali, secondo un’idea di «difesa» del territorio quantomeno elastica.

Questo, non altro, è, e questo fa l’esercito italiano alla data di oggi, 4 novembre 2016. Queste sono le Forze Armate che si preparano a festeggiare e che anche noi cittadini siamo chiamati a festeggiare nelle iniziative organizzate nelle varie città.

Iniziative alle quali parteciperanno molte istituzioni scolastiche, aderendo a festeggiamenti che per l’occasione sono stati presentati come una «commemorazione delle vittime di tutte le guerre».

Alunni di scuola elementare e media si troveranno a sfilare in corteo insieme alle autorità civili, militari e religiose per ricordare le vittime, ma di fatto parteciperanno alla celebrazione di quelle Forze Armate che, a livello simbolico e non solo simbolico, sono responsabili delle citate vittime, perché sono gli eserciti, non altri, a combattere materialmente la guerra.

Io credo che non si dovrebbero mai portare bambini e ragazzi in mezzo alle divise, se non addirittura in mezzo a uomini armati. Ma credo soprattutto che non sia il compito della scuola mostrare l’esercito come una realtà “normale”. Mi rendo conto che lo è, in quanto prevista dal nostro ordinamento. Ma non credo che farei un favore a nessun futuro adulto, suggerendogli – sia pure indirettamente – che il lavoro di chi fa la guerra sia una strada percorribile.

In guerra talvolta si muore, e in ogni caso si contribuisce a uccidere.

>>> Sull’assurdità della guerra, trovo bellissima la poesia «Familiale» di Jacques Prévert, che potete trovare, ad esempio, QUI. (PS: Leggetela tutta in francese o tutta in italiano: il sito sovrappone originale e traduzione, il che risulta un po’ fastidioso)
>>> L’immagine di questo articolo è un fotomontaggio di Paolo Rey su un disegno di Danilo Cavallo.

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