Il COP21, Babbo Natale e la Befana

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Iniziano in contemporanea tante cose, questa settimana: il COP21 (conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici), lo shopping natalizio, l’avvento, le letterine a Babbo Natale, il giubileo straordinario inaugurato in Africa.

Mentre i Paesi del mondo annunciano di volersi impegnare a cercare un accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra per evitare (contenere) i cambiamenti climatici, i supermercati, come se niente fosse, si riempiono di pandori e panettoni, confezioni regalo ingombranti, difficili da smaltire, con tonnellate di ammiccante superfluo, buone per salpare all’abbordaggio del portafogli del consumatore.

Mentre si pone l’accento sui danni del cambiamento climatico, a sedersi intorno a un tavolo, presumo con le loro bottigliette di plastica, saranno i più grandi inquinatori del pianeta, certo credibilmente intenzionati, questa volta, a limitare i propri guadagni e quelli dei loro Paesi, e a riconoscere che la Terra è di tutti e che tutti dobbiamo averne cura. Nei grandi parchi del centro, intanto, il lupo e l’agnello sono stati visti passeggiare insieme, zampa nella zampa.

Si è già ripetuto, nonstante il clima particolare dovuto agli attentati del 13 novembre, il consueto copione di scontri e lancio di oggetti da parte di manifestanti, repressione e fermi da parte delle forze dell’ordine, con la solita condanna di ogni violenza da parte delle forze politiche. Il ministro dell’interno, Bernard Cazeneuve, ha detto in proposito che gli atti violenti devono essere denunciati con fermezza «per rispetto verso le vittime degli attentati».

Che cosa c’entri il rispetto per le vittime degli attentati con il fatto di denunciare chi ha scelto mezzi discutibili per denunciare l’ennesima farsa allestita alle spalle del pianeta non è dato sapere. È tuttavia significativo che, alla vigilia dell’inizio del COP21, la Francia abbia comunicato al segretario generale del Cosiglio d’Europa la propria intenzione di derogare al rispetto della Convenzione europea dei diritti umani, fintanto che l’emergenza terrorismo non sarà rientrata.

I diritti umani ai quali è possibile derogare, secondo quanto previsto dalla stessa Convenzione, «in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione» sono il diritto a un processo equo (art. 6), il rispetto della vita privata (art. 8), la libertà d’espressione (!!, art. 10) e quella di riunione e di associazione (art. 11).

Quando sarà dichiarata la fine dell’«emergenza» è ovviamente una domanda fondamentale, in un Paese che nel nome delle sicurezza si appresta a modificare perfino la Costituzione. Alla fine si vedrà che i terroristi non cancelleranno la nostra libertà fondamentale (i consumi), ma soltanto quelle accessorie (i diritti).

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Tornando all’argomento di partenza, infine, occorre rilevare come i cambiamenti climatici, costituiscano in prospettiva, per tutti i Paesi del mondo, una minaccia enormemente più seria di quella terroristica, in termini sia di possibili vittime, sia di sicurezza delle infrastrutture. Di fronte a qualcosa che riguarda la vita di tutti, saranno i soliti noti a decidere che cosa fare: quelli che guadagnano – o i cui amici guadagnano – dalle attività più inquinanti che esistano, dall’Ilva di Taranto che nessuno vuol chiudere, ai tanti bombardamenti sul Medioriente e sull’Africa. Perché non è che le guerre non abbiano, anche, un costo ambientale.

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