Buffoni

Dice che per rendere competitiva l’impresa italiana bisogna togliere l’articolo 18, che impedisce di licenziare un(a) dipendente senza giusta causa. Tradotto, significa che intendono permettere di licenziare chicchessia senza un motivo giusto.

Saranno rese più facili le «ristrutturazioni aziendali», ossia quando un’impresa, magari anche in attivo, decide di mettere sulla strada il maggior numero di lavoratori(trici) possibile per «contenere il costo del lavoro» e aumentare gli «utili» (cioè i soldi, mica gli «inutili» esseri umani). Magari per aprire in qualche altro Paese, d’Europa o del mondo, dove le garanzie sono ancora minori e i salari persino più bassi – il caso Omsa insegna.

Sarà più facile minacciare e liberarsi di chi ancora non accetta i soprusi della nuova «età moderna» marchionnemente intesa. I tesserati Fiom, ad esempio.

Sarà più difficile per i sindacati, come per lo Stato, garantire un lavoratore o una lavoratrice, anche se la Repubblica italiana – secondo la Costituzione – è «fondata sul lavoro».

Questa è la portata della «riforma del lavoro» promessa da Mario Monti, una riforma di classe a danno della maggioranza dei lavoratori, che se ora non si fa – ha detto qualcuno in TV – è solo per il muro opposto dalla Cgil. Ma il governo andrà avanti lo stesso, si sono affrettati ad aggiungere, con la complicità della Cisl e della Uil che, evidentemente, hanno un’idea peculiare del loro ruolo oppure hanno creduto davvero alla retorica del “non c’è alternativa”.

E la Cgil che fa? Combattuta tra la necessità di resistere e il timore di essere escluso da tutti i tavoli di trattativa, il maggior sindacato italiano sembra offrire un appoggio troppo debole alla parte migliore di sé (la Fiom). Nella mia città – lo dico con tristezza – al presidio tenutosi durante lo sciopero del 9 marzo la Cgil non c’era. E sembra che le parole d’ordine del presunto centro-sinistra (il Pd) abbiano fatto definitivamente breccia nel sindacato, se Susanna Camusso ha pensato di schierarsi a favore della Tav perché in questo Paese c’è un bisogno «disperato» di infrastrutture.

Io non ho tempo per scrivere e in più corro costantemente il rischio di essere etichettato come un estremista. Ma mi domando se loro, i moderati, abbiano la minima idea di dove ci stanno portando. Come tesserato Cgil, in ogni caso, ritengo mio dovere esprimere il mio aperto dissenso per quanto riguarda le dichiarazioni pro Tav e le mie paure circa una possibile involuzione del sindacato in senso bonanniano.

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