Quello che segue è il testo della lettera aperta a Nichi Vendola uscita sul manifesto del 31 agosto, scritta dai giuristi Alberto Lucarelli e Ugo Mattei allo scopo di spingere il governatore della Puglia a impugnare il “Decreto di Ferragosto” presso la Corte Costituzionale, in difesa di quei beni comuni oggetto del referendum del 12 e 13 giugno che il governo intende privatizzare con la scusa della crisi, nonostante il parere contrario di oltre 27 milioni di italiani.
Nella loro lettera, Lucarelli e Mattei si mettono a disposizione per rappresentare la Regione Puglia davanti alla Corte, naturalmente a titolo gratuito. La richiesta a Vendola non è dettata da ragioni di appartenenza partitica, ma dipende dal fatto che «nel nostro ordinamento una Regione, e non il Comune, può impugnare una legge o atto avente forza di legge di fronte alla Corte Costituzionale».
Difficilmente un governatore diverso da Vendola accetterebbe quanto proposto dai due giuristi, ma sarei contento se fossi smentito e se anche gli altri Presidenti si volessero unire a quello della Puglia in un’azione capace di coinvolgere l’intero Paese, compresa la mia regione, la Valle d’Aosta del Presidente Augusto Rollandin (al quale mi appresto a scrivere).
Caro Vendola, facciamo ricorso
di Alberto Lucarelli e Ugo Mattei.
Caro Presidente Vendola,
siamo i due giuristi che, dopo aver elaborato insieme ad altri colleghi i quesiti per i referendum contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali (referendum n. 1) e contro la possibilità di trarre profitto dal servizio idrico integrato (referendum n. 2), abbiamo patrocinato con successo di fronte alla Corte Costituzionale, il 12 gennaio 2011, la questione della rilevanza costituzionale ed europea dei beni comuni.
Oggi ci troviamo di fronte a un attacco senza precedenti ai beni comuni, portato avanti sul piano politico, giuridico e costituzionale, che cerca di azzerare i risultati fin qui raggiunti attraverso la battaglia referendaria. Ci permettiamo perciò di scriverLe in quanto Lei è fra i pochissimi leader politici sensibili alla questione dei beni comuni e del necessario ripensamento del rapporto fra pubblico e privato (vogliamo ricordare Luigi de Magistris che ha voluto un assessorato specifico ai beni comuni e la cui giunta sta provvedendo in questi giorni alla ripubblicizzazione del servizio idrico) a essersi conquistato una posizione istituzionale tale da poterci consentire l’accesso, in via diretta, alla Corte Costituzionale. Come ben sa, avendo già sperimentato questa via proprio a proposito dell’abrogato Decreto Ronchi, nel nostro ordinamento una Regione, e non il Comune, può impugnare una legge o atto avente forza di legge di fronte alla Corte Costituzionale entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore. Abbiamo perciò un po’ di tempo, ma non moltissimo, per preparare una memoria stringente, capace di porre anche le più alte istituzioni del paese di fronte ai loro ineludibili obblighi costituzionali.
Le scriviamo questa Lettera aperta anche a nome delle 5.000 persone, amministratori, associazioni e gruppi politici sensibili alla questione dei beni comuni che in pochi giorni hanno sottoscritto l’appello che, insieme ad altri giuristi estensori dei referendum, abbiamo lanciato dalle colonne di questo giornale (www.siacquapubblica.it) e intendiamo raccogliere le firme durante tutto l’iter di conversione del Decreto per presentarle infine al Presidente Napolitano.
A nostro avviso infatti non solo l’art. 4 del decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011, beffardamente rubricato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa europea”, ma l’intero impianto della “manovra” di ferragosto è profondamente incostituzionale, violando fra l’altro prerogative di autonomia degli enti locali, precedenti decisioni della Corte Costituzionale, nonché lo spirito di quel nuovo diritto pubblico europeo dell’economia, che faticosamente tenta di affermarsi. La manovra di ferragosto infatti è testimone del clima da shock economy che è stato creato in Europa e che sta condizionando la politica del governo italiano e l’atteggiamento “responsabile” delle opposizioni. Una complessa rete di poteri forti, economici e finanziari ha costruito un dispositivo politico e mediatico che fonda su una presunta improcrastinabile urgenza l’evidente tentativo del neoliberismo di ristrutturare la propria egemonia che la grande crisi ha reso progressivamente meno persuasiva. L’esito di questa politica altro non può essere che un nuovo saccheggio.
In Italia i referendum di giugno e le vicende elettorali di Milano con Pisapia e di Napoli con de Magistris hanno inflitto una netta sconfitta al blocco bipartisan che negli ultimi vent’anni ha portato avanti una politica economica e culturale del tutto coerente con il dispositivo ideologico neoliberista. Prodromica alla “primavera italiana” è stata la Sua conferma come Presidente della Puglia, voluta dal popolo pugliese sconfiggendo proprio Massimo D’Alema, probabilmente il politico italiano che maggiormente incarna l’essenza bipartisan del neoliberismo. In sintesi, tale concezione ci pare essere l’idea che “il privato” sia la soluzione per ogni problema di organizzazione sociale complessa, il solo motore che rende possibile sviluppo e “crescita”. Questa concezione produce un susseguirsi di mosse politiche volte a trasferire sempre nuovi spazi e soprattutto nuove risorse pubbliche al privato, sotto diverse forme, siano esse liberalizzazioni, privatizzazioni, dismissioni, grandi appalti (e naturalmente guerre). Incredibilmente tale politica reazionaria ha preso il nome di riformismo!
Negli ultimi anni, a livello globale e poi anche locale, un pensiero e una narrazione alternativa, di cui Lei è uno dei più autorevoli esponenti, si è fatto strada dapprima in modo carsico e poi, finalmente, con i referendum del giugno scorso, in modo politicamente maggioritario. Oltre 27 milioni di italiani, la maggioranza assoluta degli elettori, ha dichiarato inequivocabilmente, tramite uno strumento complicatissimo quale il referendum abrogativo, ex art. 75 Costituzione, che occorreva “invertire la rotta”, che il privato non è necessariamente “la soluzione” ma molto più sovente “il problema”, che occorre immaginare una ristrutturazione fondativa del settore pubblico, capace di renderlo aperto, partecipato e in grado di portare avanti l’interesse pubblico e non soltanto quello privato dei poteri forti che sempre più spesso controllano le istituzioni di politica rappresentativa.
La virulenza costituzionale di questo attacco impressiona e travolge i capisaldi più profondi della nostra costituzione economica, in primis gli articoli 41 (iniziativa economica privata), 81 (bilancio) e 53 (progressività della contribuzione fiscale). Colpisce in particolare la disinvoltura eversiva con cui si maneggia una materia tanto delicata e fondativa di un ordine giuridico legittimo quanto quella della gerarchia delle fonti del diritto. La manovra mette in moto una sorta di processo costituente emergenziale de facto, che anticipa gli effetti di una riforma costituzionale destinata a travolgere i soggetti più deboli e i beni comuni e che struttura (complice la Lega) un centralismo autoritario che distrugge il pluralismo politico e costituzionale di cui al Titolo V della nostra Costituzione, nonché i principii europei della sussidiarietà e della coesione sociale e territoriale.
Sul piano politico, la retorica della responsabilità e della condivisione interclasse necessaria per superare la crisi sta travolgendo i tratti fondativi del nostro ordine democratico e prelude ad un dopo-Berlusconi segnato dalla discesa in campo di Montezemolo, portavoce accreditato del modello Marchionne. Siamo convinti che sul piano del diritto costituzionale vigente non possano essere riproposte né la privatizzazione/liberalizzazione dei servizi pubblici locali né brutali operazioni di centralizzazione, né provvedimenti lesivi della dignità delle persone e dei lavoratori quali quelli che conseguono all’art. 3 del decreto di Ferragosto secondo cui: «In attesa della revisione dell’art. 41 della Costituzione, comuni, provincie, regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto quello che non è espressamente vietato dalla legge».
Dal punto di vista dell’accettabilità politica, riteniamo inoltre che non possano essere riproposte dismissioni del patrimonio pubblico (che può invece rendere molto se ben governato), ulteriori precarizzazioni e grandi opere inutili o dannose a loro volta espressamente respinte dal voto popolare a proposito delle centrali nucleari. Le alternative e le possibilità di risparmio esistono. Diverse fra queste sono indicate dallo stesso fraseggio costituzionale nel ripudio della guerra, nella cura del territorio, nell’investimento sulla ricerca e nella progressività fiscale seria. Sta alla buona politica, per la quale Lei certamente è un punto di riferimento, elaborarle meglio nel tempo necessario e metterle in bella copia, senza cadere nella trappola dell’eccessiva urgenza.
Di fronte allo scempio morale, politico e costituzionale che il decreto pone in essere è necessaria piuttosto una reazione forte e seria che va condotta tanto con gli strumenti della politica quanto con quelli del diritto. Mentre dal primo punto di vista compete a Lei e agli altri leader più sensibili a queste istanze proporre finalmente, in un rinnovato rapporto con i movimenti e con i cittadini, un’alternativa autentica al blocco bipartisan dominante, dal punto di vista giuridico e costituzionale siamo consapevoli che compete a noi, in quanto tecnici portatori della sensibilità e della storia politica necessaria per configurare istituzionalmente la difesa dei beni comuni, presentare nuovamente di fronte alla Corte Costituzionale le ragioni dei 27 milioni di cittadini che vogliono invertire la rotta. Insieme, nel tempo necessario, politica e diritto possono restituire a un rinnovato settore pubblico gli spazi e l’autorevolezza necessari per governare la crisi. A breve occorre adire le vie costituzionalmente rimaste aperte sempre che il Presidente Napolitano, accogliendo l’appello di tanti cittadini, non intenda intervenire in fase di promulgazione.
Caro Presidente Vendola, noi le abbiamo scritto per metterci a disposizione, nella nostra veste di avvocati abilitati al patrocinio di fronte alle supreme giurisdizioni, per ricevere mandato, naturalmente a titolo assolutamente gratuito, da soli o insieme ad altri legali di Sua fiducia, a rappresentare la Regione Puglia (ed incidentalmente la nuova egemonia dei beni comuni) di fronte alla Consulta in un ricorso diretto di incostituzionalità del Decreto 138\2011.
Riceva un saluto cordialissimo.