Il 10 e 11 settembre in piazza San Giovanni a Roma è prevista l’iniziativa «Piazza Pulita», a cura del Popolo Viola. Si tratta di una due giorni di mobilitazione «per dire basta ai privilegi della Casta, alla corruzione, al malaffare, ai condannati in Parlamento. Per dire che non vogliamo che a pagare i costi della crisi e del fallimento economico del governo siano i giovani e le famiglie mentre la classe politica si guarda bene dall’intervenire sugli enormi costi della politica».
L’iniziativa è promossa da personalità del calibro di Dario Fo, Antonio Tabucchi, Margherita Hack, Paolo Flores D’Arcais e tanti altri nomi di un’Italia pulita, desiderosa di mandare a casa Berlusconi e di vedere il Paese uscire da un ventennio di completo imbarbarimento.
La piattaforma della manifestazione – che trovate online nel sito letteraviola.it – contiene, a mio avviso, richieste condivisibili e qualche criticità, fatto che mi spinge a scrivere una lettera aperta al Popolo Viola, che dell’iniziativa è organizzatore. Come ho già scritto altrove, recuperando un pensiero di Pietro Ingrao, oltre l’indignazione ci deve essere un progetto articolato e la proposta di un modello di società differente.
Ciò detto, auguro il massimo successo possibile alla manifestazione del 10 e 11 settembre.
Aggiungo che, all’indomani dell’invio della mia lettera aperta, ho ricevuto, da chi sta preparando l’iniziativa del 10 e 11 settembre, la risposta che segue:
«Ciao Mario, grazie per le tue riflessioni. Spero che tu possa portare questi argomenti in piazza a Roma in questi due giorni di mobilitazione e di discussione pubblica e di confronto. Noi tutti speriamo che questo appuntamento possa essere un bell’esercizio di vera democrazia e l’inizio di un cambiamento vero. Ti aspettiamo a Piazza San Giovanni. Grazie, Valeria».
Carissimo Popolo Viola
Carissimo Popolo Viola,
condivido appieno l’esigenza di scendere in piazza, tanto contro il «malaffare», quanto soprattutto contro le scelte di una classe dirigente che sta condannando l’Italia a un declino economico e sociale gravissimo.
Condivido l’idea che in Parlamento c’è una “casta” intenta a tutelare i propri privilegi e interessi, e quelli delle lobby amiche, che possono impunemente inquinare, deturpare, saccheggiare il Paese con poco o nessun riguardo per la salute pubblica e il futuro delle nuove generazioni.
Molti dei punti della “piattaforma” della manifestazione «Piazza Pulita» mi sembrano condivisibili. Chiedete il dimezzamento delle indennità parlamentari, e questo mi sta bene; chiedete la revisione dei rimborsi elettorali ai partiti, e anche questo può andar bene; chiedete «una seria e severa legge anticorruzione», il che mi trova completamente d’accordo; chiedete l’abolizione dei privilegi della politica e l’eliminazione dei vitalizi dei politici: benissimo. Chiedete poi l’abolizione delle province e qui mi convincete meno: abbiamo assistito al proliferare di piccole province istituite per mangiare qualche soldo in più, ma bisognerebbe capire quali e quante province sono inutili e quali no, come anche occorrerebbe capire quale sarebbe il futuro dei dipendenti impiegati nelle amministrazioni provinciali, se si decidesse, semplicemente, di abolirle. Vorrei infine che qualcuno facesse un calcolo esatto del risparmio che dalla soppressione deriverebbe, senza mettere nel conto spese voci come la manutenzione delle strade provinciali, che dovrebbe in ogni caso essere curata anche dopo.
Il punto che mi trova davvero in disaccordo, però, è un altro: quello in cui chiedete la diminuizione del numero dei parlamentari. Per contenere i costi del Parlamento occorre tagliare gli stipendi e i privilegi, non il numero dei deputati e senatori, che non è dissimile da quello presente negli altri Paesi europei. Partendo dal presupposto che i parlamentari italiani siano soltanto inutili sanguisughe, chiunque vedrebbe con favore la loro diminuzione. Ma, portando alle estreme conseguenze il ragionamento, perché dovremmo limitarci a diminuire il numero dei parlamentari? Potremmo chiedere la soppressione di una Camera (come tante volte ha fatto Berlusconi), o anche di tutte e due, con sicuro risparmio per i conti pubblici. Faremmo però un enorme favore a chi briga per modificare gli equilibri tra i poteri dello Stato in modo da dare più autorità al governo e consentire una politica “veloce”, imposta dall’alto, che non “perda tempo” con il dibattito parlamentare, con lo scontro e la ricomposizione costruttiva di idee e posizioni diverse. Ma per fortuna l’Italia è una Repubblica parlamentare. Mi si obietterà che l’attuale Parlamento è lontano anni luce dall’immagine che ne sto tracciando rivendicandone il ruolo, il che è verissimo. Ma, proprio per questo, dobbiamo lottare per restituire al Parlamento dignità e capacità di azione contro il protagonismo eccessivo del governo (e di Confindustria), ad esempio attraverso una nuova legge elettorale che contempli le preferenze ed elimini percentuali di sbarramento fatte per chiudere le porte ai partiti e movimenti “minori”, che sono però votati da decine e centinaia di migliaia di cittadini (i quali finiscono con il ritrovarsi privi di rappresentanza).
La lotta per un Parlamento che sia davvero tale è in linea con l’esigenza di superare l’appiattimento delle posizioni di fronte al pensiero unico dominante, che vede nel liberismo e nel mercato il riferimento indiscusso cui uniformare le politiche degli Stati. E qui mi permetto, carissimo Popolo Viola, una seconda critica, che nasce dall’impressione di un limite esistente, dovuto al timore di essere ricondotti a categorie del linguaggio politico che oggi appaiono novecentesche, vale a dire superate. Esistono alcune istanze che ho sempre identificato con la sinistra, ma che ritengo valide di per sé (vi esorto a identificarle con ciò che vi pare) dalle quali non potete seriamente pensare di prescindere nel proporre un modello di società alternativo a quello vigente. Forse alcuni di voi si accontenterebbero di mandare a casa Berlusconi, ma non si può scrivere di voler evitare «che a pagare i costi della crisi e del fallimento economico del governo siano i giovani e le famiglie mentre la classe politica si guarda bene dall’intervenire sugli enormi costi della politica» senza aver riflettuto su un modello alternativo a quello criticato, modello che non necessariamente i Bersani o i Di Pietro dell’opposizone sarebbero pronti ad applicare.
Se tale modello fa già parte delle vostre riflessioni, ritengo sia un errore non farne parola nell’appello alla mobilitazione del 10 e 11 settembre. Una manifestazione durante la quale, del resto, si potrà parlare ampiamente di queste cose. Ne suggerisco alcune: la difesa del welfare, un welfare di qualità e realmente gratuito, almeno al di sotto di una soglia di reddito media. I soldi ci sono: il fatto è che, malapolitica a parte, li spendiamo quasi tutti in Libia e in Afghanistan, oppure per finanziare con il denaro dei cittadini scuole e ospedali privati (contro il dettato della Costituzione).
Occorre poi porre l’accento sul dissesto idrogeologico e ambientale della Penisola, che andrebbe ampiamente “ristrutturata” e bonificata, mentre è necessario interrompere il processo di cementificazione del suolo naturale residuo.
È necessario prendere atto del fallimento del pensiero liberista, che impone la privatizzazione di tutti i servizi, proprio quando il referendum dell’11 e 12 giugno ha dimostrato che i cittadini italiani confidano nella natura non commerciale di quei beni che definiamo «comuni». Allo stesso modo, sono necessarie regole severe contro la speculazione e un po’ di giustizia socioeconomica, introducendo una tassa patrimoniale, facendo pagare un po’ più di tasse a chi se lo può permettere e un po’ di meno agli altri.
Infine, ma potrei continuare a lungo l’elenco, non è possibile non prendere posizione sulla crisi della democrazia in Italia, Paese nel quale “grandi opere” mangiasoldi sono imposte contro il volere dei cittadini, mentre la polizia (ancora oggi, 24 agosto, in Val di Susa) continua a utilizzare i gas CS, vietati dai trattati di guerra ma liberamente utilizzati in tempo di pace dai tutori dell’ordine della Repubblica. Non è possibile non ricordare la vergogna dei CIE, i campi di concentramento per gli stranieri in attesa di identificazione ed esplusione, o il sovraffollamento delle carceri (piene anch’esse di immigrati, “colpevoli” di non avere i documenti in regola, e di tossicodipendenti, fregati da un’inutile legge proibizionista) o il caso di Stefano Cucchi e delle altre vittime di percosse impartite da chi, a far bene le cose, avrebbe piuttosto il dovere di proteggere il cittadino.
Perché dico queste cose e perché lamento che non siano contenute in un appello che, inevitabilmente, dev’essere limitato a un tema specifico e non può risolversi in un grande minestrone? Per una questione di priorità: il vero problema della politica non è quanto costa, ma che cosa produce, nella fattispecie una società più iniqua e più egoista. Non perdiamoci, vi prego, dietro all’esigenza – giusta, reale – di ridurre la spesa pubblica: Berlusconi e affini sarebbero dannosi anche se, invece di ricevere lo stipendio, fossero loro a pagare. E – torno a dire – i Bersani? I Di Pietro? Hanno in mente un modello alternativo a quello imperante o sono solo un po’ più presentabili degli attuali governanti? E noi che cosa proponiamo? Sono questioni su cui meditare, a partire dal 10 e 11 settembre.
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