Uberto Bosso e il comizio di Testa di Legno

La storia che segue è palesemente inventata e un personaggio negativo come l’Uberto Bosso che ne è il protagonista non può che essere frutto della fantasia dell’autore (io). Potete diffonderla liberamente, alle condizioni previste dalla licenza Creative Commons 3.0.

Il discorso ferragostano del sig. Uberto Bosso

Non sono un giustizialista e credo che certi simpatici vecchietti abbiano il diritto di sproloquiare quanto vogliono, magari durante una partita di briscola al bar. Quando però detti simpaticoni passano il ferragosto “dialogando” con folle di gente in camice verde, nell’amena località di Testa di Legno, e da quelle folle sono osannati, malgrado vent’anni e più di governo (o d’influenza sul governo) durante i quali il Paese è andato a rotoli (e di chi è la colpa, dell’opposizione? bè, sì, anche dell’opposizione), c’è qualcosa che stride, almeno secondo quel particolare TomTom che è il mio senso di percezione del reale.

Uberto Bosso (è di lui che sto parlando) è tornato a sbraitare da un palco, e purtroppo non era quello di un karaoke, ma il cuore di un happening politico che ci si ostina a considerare importante (o, meglio, che ci si ostina a considerare). Ha detto che il decreto contro la crisi si poteva farlo solo in un modo. Ha detto che o salvava le pensioni, oppure gli enti locali. E che lui ha scelto di salvare le pensioni. E ancora una volta il suo popolo lo ha preso sul serio.

Bosso ha poi esortato gli astanti, un mare di teste (di legno?) eleganti nel caschetto vichingo su camice verde, a non fare «come i terroni», che aspettano tutto dallo Stato. Potrà sembrare inopportuno per un ministro della Repubblica tornare al dileggio dei meridionali con il quale la Bega Mord, il partito del Bosso, ha costruito la propria fortuna politica. A me suona fasullo, visto che – come già detto qui sopra – al governo negli ultimi anni c’è stata quasi sempre la stessa combriccola, che se avesse voluto muovere un dito contro l’assistenzialismo avrebbe avuto gli strumenti per farlo.

A me suona come un’offesa imperdonabile, perché è davvero vile scaricare sul Mezzogiorno la responsabilità di politiche che in tutti e 150 gli anni – appena celebrati – di storia unitaria del Paese altro non hanno fatto che avvantaggiare il Nord, i suoi industriali e le sue lobby, pronte – a loro volta – ad allearsi con le mafie del Sud. 150 anni in cui si è guardato al Settentrione come all’unica parte del Paese che meritasse sviluppo. 150 anni in cui la classe dirigente è stata soprattutto settentrionale: e allora chi ha fallito? 150 anni in cui il Meridione è stato considerato colonia, terra da cui trarre manovalanza, lidi in cui abbronzarsi chiappe e pancia, e, ultimamente, cloaca, destinazione ultima di rifiuti e veleni industriali.

Con grande senso dello Stato, Bosso ha concluso il suo discorso con un accenno alla secessione prossima ventura, suo vecchio cavallo di battaglia e, secondo lui, risultato inevitabile della crisi. Il che è sempre una possibilità, naturalmente, considerato che al governo c’è gente come lui e non qualche persona capace. Come settentrionale, però, l’ipotesi mi fa rabbrividire: in fondo – e semplicemente – sono nato al Nord, cresciuto al Nord, però non sono e non mi sento padano e penso che contro la crisi le danze celtiche e l’uso scolastico del bergamasco siano misure pittoresche, ma decisamente insufficienti.

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