Riots: «La forza della legge»

Chi vede in me un estremista rimarrà deluso, chi da sempre ritiene che, sotto sotto, sono un inguaribile borghese si confermerà nella propria opinione, ma la verità è che io non riesco ad apprezzare la violenza.

La violenza dello Stato, per cominciare, che è per forza di cose più forte di quella degli individui. E che, come la violenza individuale o dei gruppi, fornisce molto su cui riflettere. La violenza del sistema economico unico possibile, soprattutto, che sforna marginali e disperati, sempre meno parte della società “che conta”, sempre più consapevoli di “non contare” niente, straordinariamente simili, per chi ha letto il libro, ai «prolets» di 1984 di Orwell.

Ma siamo qui a parlare dei “riots”, i “disordini” delle città britanniche, scoppiati, come tutti i disordini, quando la misura era colma e bastava poco a far saltare tutto in aria. E allora lo dico subito: penso che quando gli individui si aggregano per saccheggiare e distruggere, senza rivendicazioni “politiche” vere e senza speranza di poterle in qualche modo conseguire, e per di più si accaniscono contro le proprietà (brutta parola, ma non parliamo di ville con piscina) e le attività di poveri cristi come loro, invece di dirigere una rabbia giusta, sbagliata, ma in ogni caso presente e difficilmente evitabile, contro le sedi e i centri del potere, quando tutto questo accade, io non approvo.

C’è un video, in rete (è in inglese ma è stato tradotto nel blog Femminismo a Sud, dal quale copio e incollo la versione italiana), nel quale una donna grida ai “rivoltosi” ciò che sono e ciò che stanno facendo:

http://youtu.be/gpvtbRw0AOo

«Questa è la fottuta realtà. Smettetela di bruciare le proprietà delle persone. Smettetela di dare fuoco ai negozi della gente che lavora duramente per aprire un’attività. Mi avete capito? Quella donna cerca di far funzionare la propria attività e voi volete andare lì e bruciargliela? Per quale motivo? Per dire che state combattendo e siete uomini duri e cattivi? Qui si sta parlando di un uomo a cui hanno sparato a Tottenham. Non si sta parlando di divertirsi in strada e dare alle fiamme tutto quanto. Svegliatevi neri, svegliatevi. Fatelo per una causa. Se state combattendo per una causa, allora combattete per una fottuta causa! Mi fate davvero incazzare! Mi vergogno di essere un’abitante di Hackney. Perchè non ci stiamo riunendo per combattere per una causa, ma stiamo scappando da Footlocker con le mani piene di scarpe. Come sporchi ladri».

I «riots», questi «riots», non servono a niente di concreto, ma gridano forte un allarme. Sono il prodotto di una politica che da anni toglie ai ceti più poveri e marginali ogni struttura di promozione sociale (una scuola di qualità, centri sportivi e ricreativi accessibili a tutti), oltre naturalmente alla sicurezza del lavoro, e nel contempo convince i propri “figli” che ciò che conta davvero, per essere, è avere abiti firmati e smartphone (sono questi, non il pane, gli obiettivi dei saccheggi).

Lo spiega, sul manifesto di oggi (10 agosto), intervistato da Marina Forti, lo scrittore Iain Sinclair, che da 40 anni risiede ad Hackney, una delle zone teatro di disordini. «Opportunisti» sono i politici che «accorrono gridando “è terribile” ma non sono in grado di assumersi le proprie responsabilità», accusa. «Vivono in un mondo fatto di statistiche, mentre nella strada la vita peggiora, la recessione economica fa aumentare disoccupazione e povertà». «Non voglio giustificare i saccheggi, ma l’unica cultura proposta ai giovani è avere jeans e borsette firmate o smartphone: è questa la roba che hanno rubato nei negozi». «C’è molto poco di politico in quello che vediamo a Londra. Non hanno attaccato i municipi o le sedi delle multinazionali. Si limitano a vedere la polizia come un nemico che non li rispetta, e loro rispondono sentendosi autorizzati al furto di massa».

Sinclair ricorda che dopo i riots dello scorso decennio sono stati avviati alcuni progetti sociali e considera «necessaria», anche questa volta, «una risposta su questo piano». Ma come costruire il dialogo con chi è stato emarginato per anni tagliando tutti i fondi destinati alla promozione sociale e culturale? Non sarà possibile – risponderei – finché le uniche “cure” proposte per un’economia che arranca sono i tagli alla spesa pubblica.

Del resto, qual è stata la reazione del governo ai fatti degli ultimi giorni? Schierare nelle strade 16mila poliziotti (che peraltro stanno incontrando parecchie difficoltà nel contrasto di gruppi che agiscono e subito dopo si dileguano, secondo la tattica della guerriglia) e promettere punizioni esemplari. «Sentirete la forza della legge nel modo più forte possibile», ha minacciato il primo ministro David Cameron, strappato bruscamente alla sua vacanza italiana. E ha spiegato: «Si tratta di criminalità, che deve essere affrontata e sconfitta». Ora – è ovvio – i riots non possono durare in eterno. E l’ordine pubblico va pure garantito (rispettando le regole della democrazia, il che non sempre avviene). Ma che succederà, al di là delle punizioni esemplari, quando Londra avrà smesso di bruciare? Quale spazio si darà alle politiche sociali? Che cosa si farà per curare in profondità il malessere e rimuovere le ragioni della rabbia che hanno acceso la miccia dei disordini?

Cameron non lo dice. Si limita a invocare la «forza», come un cavaliere Jedi. La forza della «legge», che però non può essere davvero «legge» se non si accompagna alla «giustizia». All’equità sociale.

>>> Nell’immagine, Londra vista dalla collina di Primrose Hill.

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