Con colpevole ritardo, annuncio la serata di oggi, martedì 12 luglio, presso il circolo Arci Espace Populaire di Aosta, a partire dalle 21.15 (ma già dalle 19.40 c’è il buffet), per ricordare i fatti di Genova a dieci anni dal G8 e per parlare di chi ancora si ostina a cercare di costruire mondi migliori, a cominciare dal movimento No Tav della Val di Susa.
Alla serata saranno presenti Alexandre Glarey, al tempo portavoce dell’Aosta Social Forum, e Ezio Bertok del movimento NO TAV.
Seguono il comunicato di presentazione dell’inizativa e il resoconto-commento della partecipazione valdostana alla manifestazione nazionale No Tav dello scorso 3 luglio, opera di Alex Glarey.
Car*,
10 anni sono passati dal G8 di Genova.
Tempo di memoria, ma anche di bilanci e riflessioni.
Martedì 12, dalle 21h15, l’Espace Populaire di Aosta ospita una serata per raccontare a chi non c’era, per spiegare cos’era il movimento No Global e per individuare chi oggi ha raccolto il testimone della lotta per un altro mondo possibile, migliore dell’esistente.
Lo faremo, tra gli altri, con Alexandre Glarey, già portavoce dell’Aosta Social Forum, e con Ezio Bertok del movimento NO TAV.
Immagini, video, testimonianze e, soprattutto, discussioni. L’invito è aperto a tutti quei cittadini, a quelle associazioni che hanno partecipato ai movimenti del passato e che ancora oggi sono attivi.
Per capire quali strumenti e pratiche recuperare dalle precedenti esperienze e come inventarne di nuovi, più adeguati non ai tempi che viviamo, ma a quelli che vogliamo.
Qui di seguito una mia testimonianza della manif valsusina
A presto e buone resistenze,
Alexandre glarey
Ps: dalle 19h40 è possibile mangiare al buffet dell’espace.
3 luglio: Manifestazione nazionale No Tav
di Alexandre Glarey
Alla fine siamo una ventina a partire dall’Espace Populaire per la Val Di Susa: un po’ di soci di Legambiente e dell’ARCI, qualche compagno della Federazione della Sinistra e diversi cittadini. Assieme a quelli già in Val di Susa, saremo oltre 30 persone.
Ai tempi del movimento No Tir eravamo già scesi in Val di Susa. Le lobbies politico-affariste pro TAV cercavano di propinare la favola che la Torino Lione potesse diminuire il traffico di TIR sotto il Tunnel del Bianco. Fu sufficiente un confronto con i valsusini per capire che la realtà era ben diversa: i treni attuali viaggiano semi vuoti, le previsioni sulla saturazione delle linee sono ben lontane dall’avverarsi, anche in ragione della crisi economica ed energetica. Assieme abbiamo compreso che non saranno nuove infrastrutture a risolvere un problema esploso con la globalizzazione neoliberista; servono invece nuove politiche di decrescita, rispettose dell’uomo e della natura.
La prova dell’ipocrisia delle argomentazioni pro TAV è tangibile, è scritta nel cartello autostradale del traforo del Frejus, che incrocio mentre guido verso Susa: gli stessi politici che annunciano che l’alta velocità sposterà il traffico merci da gomma a rotaia hanno realizzato, con l’inganno, presentandola come galleria di sicurezza, una nuova canna del traforo ed ora ne chiedono l’apertura al traffico commerciale.
Siamo in Val di Susa: ovunque, persino sui pali dell’illuminazione pubblica, bandiere NO TAV. Sulle montagne enormi scritte in bianco, del tipo: TAV = Mafia (scrivere ‘ndrangheta era troppo lungo).
In auto, leggiamo i giornali e restiamo colpiti dall’assenza di notizie rispetto al corteo. La Stampa vergognosamente non dice nulla: nei giorni precedenti aveva creato un clima di tensione, parlando di fantasmatici black bloc stranieri e oggi cancella l’evento.
La Stampa, e la gran parte dei media istituzionali, sostengono questa grande opera. Perché i padroni dei mezzi d’informazione sono anche i padroni delle ditte che progettano e realizzano la TAV. PD compreso, tramite il sistema delle cooperative.
I NO TAV, senza l’aiuto di nessuna grande organizzazione, hanno avuto appena una settimana per organizzare la manifestazione. Una mobilitazione dal basso, resa possibile soprattutto dal web e da una rete di contatti tra amici e compagni di altre lotte, come quella per i referendum sull’acqua.
Ci basta arrivare nei pressi di Chiomonte, per capire che oggi, come già a Bussoleno e a Venaus, sarà una giornata storica: da ogni strada e sentiero arrivano persone di ogni età e condizione.
Il paese ci accoglie magnificamente, c’è persino una cantina che offre vino scontato ai NO TAV!
Siamo tantissimi, ma è solo quando incrociamo il corteo che viene da Exilles, che ci rendiamo conto che la giornata è nostra: 70.000 persone (no, non ho dimenticato uno zero come fa la questura). Vuol dire che, oltre alle delegazioni che hanno portato la loro solidarietà dall’esterno, quasi un abitante della vallata su due è sulla strada!
Un serpentone bellissimo, ricco di bambini e famiglie, allietato dai ritmi della samba band, che procede per ore sotto il sole. Mentre guardo la natura della Val Di Susa, mi chiedo se da qualche parte ci sia quel metro quadro di terreno che, a nome dell’Espace, avevo comprato qualche anno fa, per ribadire che questa terra non si tocca.
Diversi valsusini chiedono da dove veniamo, sono felici di sentire che altri sono al loro fianco e sono orgogliosi di raccontarci un percorso fatto di assemblee, presidi, manifestazioni.
Camminando arriviamo davanti all’imbocco del cantiere, nei pressi della centrale elettrica. Tutti cominciano a battere sui guardrail e sulla strada: è un assedio sonoro!
Il corteo va oltre, fischiando quell’assurdo fortilizio – filo spinato, reti e agenti antisommossa – posto a difesa di un cantiere inesistente.
Ci arrampichiamo lungo i tornanti che dovrebbero riportare il corteo a Chiomonte, e qui, sull’altro versante di una vallata che ogni volta sorprende per quanto sia stretta, vediamo l’altra parte dell’area di cantiere, scorgiamo la sagoma del museo etnografico, occupato e trasformato in centro operativo per la polizia e, soprattutto, intravediamo una nube di gas lacrimogeni.
Capiamo che il terzo corteo, quello che ha scelto la via dei boschi, sta cercando di avvicinarsi alla sede dei lavori e viene respinto dalla polizia.
Assistiamo impotenti per almeno un’ora al getto degli idranti e al lancio di CS Gas, un inquinante cancerogeno vietato in tempo di guerra e utilizzato, a partire dal G8 genovese, per reprimere le manifestazioni. Le vigne, le coltivazioni, le arnie nei dintorni sono perse, ecco le prime devastazioni della TAV.
Non c’è nessun pericolo per questa parte del corteo: donne, bambini, anziani e pacifici cittadini non sono mai stati a rischio. A divederli dagli scontri, diversi chilometri e persino un fiume. Ma la tensione cresce. Lassù sui boschi non ci sono dei forestieri, ma parenti e amici. Lo si capisce da come la gente commenta quello che vede.
Tanti cominciano a chiedersi se ci sia una via per raggiungere velocemente l’altro versante della montagna. Bisogna alleggerire la pressione della polizia. L’elicottero continua a girarci sulla testa. Una colonna nera di celerini comincia una manovra aggirante per sorprendere chi resiste nei boschi. Qualcuno, come se fosse al cinema, comincia a urlare: «Attenzione! Stanno arrivando!», dimenticandosi della distanza. Molti telefonano per avvisare chi sta dall’altra parte.
Qualche matto, seguendo misteriosi sentieri, riesce ad aggirare la centrale elettrica, gruppi di poliziotti si staccano dai plotoni per inseguirli.
Insieme ad altri scendo. Qualcosa si deve fare. Verso la centrale, saliamo oltre il muraglione. E qui ritrovo quel popolo valsusino così normale, che in queste occasioni diventa speciale: un cinquantenne, che sembra appena uscito dall’ufficio, sposta assieme ad un ragazzo in kefia un tronco che intralcia il passaggio, vengo superato da una mamma che con suo figlio adolescente continua a salire, un “black bloc”, con maschera antigas, invita l’oramai famosa anziana con il rosario ad allontanarsi, glielo chiede per favore – non crede che sarà sufficiente un rosario, a salvarla da un tiro di lacrimogeno.
Una bandiera NO TAV sventola alle spalle della testuggine della polizia. Cinque manifestanti sono riusciti a entrare, non fanno niente al cantiere che non esiste ma contro di loro si scagliano bestialmente i poliziotti di guardia.
Monta la pressione. Ci si avvicina alle grate.
È la polizia a iniziare: partono i primi lacrimogeni. Andrà avanti per ore.
Candelotti ad altezza d’uomo su un ponte stretto come le chiappe di Capezzone e pieno di gente. Criminali.
Qualche lacrimogeno viene rilanciato, qualche sasso vola oltre gli scudi, ma è poco più che un atto simbolico viste le protezioni degli agenti.
Gli altri manifestanti non si scompongono, molti sostengono e applaudono. L’obiettivo di spostare parte degli agenti dai boschi è raggiunto.
La nonviolenza è una pratica efficace solo se unita alla disobbedienza. Non si fermerà la TAV con una passeggiata o con una discussione tra tecnici.
Questo abbiamo visto: una comunità stufa, dopo anni di discussioni e inganni, orgogliosa e ancora pronta a resistere. Una comunità costituente, che con il suo esempio declina nuove forme di democrazia partecipativa, per tutti.
La TAV, da sola, vale quasi un terzo della recente manovra finanziaria del governo: 15 miliardi! Pensiamoci. Fra dieci anni non andremo in un’ora da Torino a Lione, ma molto più rapidamente ci ritroveremo ad Atene, devastati dalla crisi economico-finanziaria.