Ho sempre trovato interessante che i governanti dei Paesi occidentali per apparire buoni cristiani (dote un tempo necessaria perché il trono veniva da Dio, oggi facoltativa ma non troppo) alternino le belle parole alle leggi confessionali, quelle che calpestano il concetto di laicità delle istituzioni dello Stato e sembrano fatte per “imbrigare” i cittadini (si confronti, per l’intelligenza del lettore, la poesia di Cecco Angiolieri, «S’io fossi foco», vv. 5-6: «s’ i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, / ché tutt’ i cristiani imbrigherei»).
Allo stesso modo è significativo che detti signori considerino il proprio atteggiamento d’intolleranza «razionale» e persino «democratico», salvo etichettare quello altrui come un esempio di «fanatismo». Certo, c’è differenza tra il massacrare indiscriminatamente gli «infedeli» con le bombe e il lasciarli naufragare al largo di Lampedusa, mentre cercano di raggiungere una fetta di pace e benessere: tutta la differenza di una sana ipocrisia veicolata dai media televisivi.
Pare che il defunto Bin Laden, un tempo, avesse dichiarato che se Al Qaeda ce l’aveva con gli Usa ma non aveva mai attaccato la Svezia un motivo doveva esserci. I fortunati che riuscissero a trovare in biblioteca, se non in commercio, il libro di Paolo Barnard «Perché ci odiano?» (io, eventualmente, una copia da prestare ce l’ho) potrebbero approfondire il concetto. Naturalmente uno che dirotta aerei di linea per farli schiantare contro grattacieli pieni di civili non esiterebbe a colpire Stoccolma invece di Washington, se solo avesse un tornaconto; voglio dire che non credo nelle motivazioni ideali di chi non esita a spargere il sangue e, onestamente, l’eventuale tentativo di santificare Bin Laden, di farne un martire o una vittima non mi appassiona per niente.
Bin Laden era un terrorista, non un «resistente». Lo stesso si potrebbe dire del suo antagonista George W. Bush, ma questo non allevia in nulla le responsabilità di Bin Laden.
E tuttavia, se ho cominciato con i cristianissimi capi di Stato e di governo del nostro democratico occidente è stato per un fine, quello di avere il privilegio di citare la Genesi, il passo in cui Caino, dopo aver ammazzato il fratello, ha paura di essere a sua volta ucciso. Dio pone allora un segno sul suo capo per ammonire le genti che chi lo avesse ucciso avrebbe subito sette volte la vendetta.
Potrei trasferirmi, per l’edificazione dei suddetti capi di Stato e di governo, sul monte degli Ulivi, quando Pietro ferisce uno degli uomini venuti a prendere Gesù e questi ne risana l’orecchio. O potrei andare avanti un poco, salire sul Golgota, e ascoltare la voce del Figlio di Dio che implora il Padre di perdonare i propri assassini «perché non sanno quello che fanno».
Il cristianesimo è pieno di inviti ad amare e perdonare i propri nemici.
Trovo un po’ strano, dunque, tirando finalmente le fila di questo strampalato ragionamento, che solo raramente fra tutti i dittatori che i nostri cristianissimi capi di Stato e di governo tolgono di mezzo ce ne sia uno che sopravvive alla “giustizia” del vincitore. Come Saddam Hussein, condannato a morte quand’era ormai inerme, Osama Bin Laden è stato ucciso, secondo quanto affermano in molti, mentre era disarmato, quando cioè l’uccisione era inutile.
Ciò non è in alcun modo giustificabile: è l’ennesima smentita alle pretese di superiorità morale di un occidente che pensa di aver conseguito la democrazia e si propone addirittura di esportala nel mondo – col bel sistema della guerra. Si tratta di un’abiura non tanto di quel cristianesimo del quale molti governanti cercano la bendizione, ma di quei principi e di quelle leggi che reggono gli Stati, attraverso la lettera delle costituzioni e la sottoscrizione, ad esempio, della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Non so che cosa credere, riguardo all’uccisione di Bin Laden. Era disarmato, era armato, secondo qualcuno era già morto (di malattia) da un giorno. Non è questo il problema. Il problema è che cosa ci distingue dal carnefice, quando ne uccidiamo uno.
>>> L’immagine è una mia riproduzione fotografica del Sacrificio di Isacco di Marc Chagall conservato al Musée National Marc Chagall di Nizza.