L’articolo che segue, già pubblicato su Megachip, è scritto dal dottor Stefano Montanari, scopritore, insieme alla dottoressa Antonietta Gatti, sua moglie, delle nanopatologie, malattie indotte dall’inglobamento nel corpo umano di nanoparticelle non biodegradabili né biocompatibili presenti nello smog come in molti degli alimenti che consumiamo; sostanze che il nostro corpo non è in alcun modo in grado di smaltire e che possono essere causa di tumore e altre malattie.
Rilancio l’articolo, con il consenso dell’autore, per contribuire alla diffusione di una storia che «il 99,9% degl’italiani» ignora, quella del microscopio da 378mila euro che Beppe Grillo avrebbe “regalato” al dottor Montanari, grazie a una raccolta fondi effettuata nel corso dei suoi spettacoli. Un microscopio che oggi giace inutilizzato presso l’Università di Urbino, senza che il dottor Montanari o sua moglie possano utilizzarlo.
Con la complicità di Beppe Grillo.
Grillo tra polveri sottili, cause usa e getta e silenzi
di Stefano Montanari
Credo di aver raccontato per iscritto non meno di un centinaio di volte la triste storia che mi ha visto coinvolto con il ragionier Giuseppe Piero Grillo, in arte Beppe, erede dell’impresa di famiglia, da anni comico di successo ed ora “uomo politico” emergente.
Ne ho scritto almeno cento volte, eppure sono pronto a scommettere che il 99,9% degl’italiani non ne sa nulla. E, allora, se si vuole capire ciò che seguirà, dovrò riassumere le vicende.
Come dettagliatamente raccontato nel mio libro divulgativo Il Girone delle Polveri Sottili (Macroedizioni) circolato in maniera quasi carbonara, tra il 1990 e il 1998 io fui protagonista insieme con mia moglie Antonietta Gatti – che fu molto più protagonista di me – di una scoperta destinata ad aprire un mondo per la Medicina. Diversi articoli scientifici ne parlano e così il libro, pure scientifico, di mia moglie e mio, intitolato Nanopathology (edito da Pan Stanford Publishing, introvabile in Italia ma disponibile presso le biblioteche delle maggiori università del mondo), eppure il grande pubblico non ne sa niente. Non sa nemmeno che la scoperta, sempre che sappia della sua esistenza, è opera di italiani.
In soldoni, ciò che scoprimmo allora – e che ormai è confermato al di là di ogni dubbio da anni di ricerca e da oltre mille casi clinici studiati – è che le polveri sottili e ultrasottili che vengono inalate ed ingerite dal soggetto restano imprigionate vita natural durante nel suo organismo e sono capaci d’innescare una lunga serie di malattie che noi battezzammo “nanopatologie” proprio per la loro origine da granelli nanometrici.
Ciò di cui parliamo sono polveri che vanno da qualche micron di diametro giù fino ai nanometri, vale a dire i millesimi di micron, e quelle di cui ci occupiamo hanno la particolarità di non essere né biodegradabili né biocompatibili.
Fino a che noi non dimostrammo il contrario, si era sempre dato per scontato, peraltro senza prove ma come atto di fede che di scientifico non ha nulla, che quelle polveri entrassero sì ma venissero in qualche modo eliminate. In che modo, pare che nessuno se lo fosse mai chiesto.
Quella che, all’apparenza, sembrava una scoperta scientifica e basta, si rivelò invece subito una bomba. Le polveri di cui ci occupiamo, infatti, piccolissime e di composizione tanto insolita, sono prodotte principalmente dai motori a scoppio, dall’incenerimento dei rifiuti o delle cosiddette biomasse, dai cementifici (che spessissimo bruciano l’immondizia più immonda), dalle fonderie e, in genere da ogni combustione. Ad aggravare le cose c’è il fatto che polveri analoghe prodotte in laboratorio per le caratteristiche interessantissime che sono loro peculiari vengono aggiunte ad alimenti (dove polveri tossiche si trovano anche come inquinanti casuali) e a farmaci, vaccini compresi.
E, almeno da un certo punto di vista, forse ancora peggio, quelle polveri sono prodotte dalle esplosioni di ordigni bellici come, ad esempio, i proiettili all’uranio impoverito il cui uso era allora, una decina d’anni fa, negato dalle autorità militari.
Insomma, il coperchio che quella scoperta sollevò si rivelò immediatamente a dir poco imbarazzante per chi conduce affari miliardari a livello planetario.
E, allora, l’accademia italiana che sopravvive al suo sfacelo anche perché si presta disinvoltamente a coprire le mille e una porcheria perpetrata dai personaggi di cui sopra si difese trattandoci da cialtroni e negando l’evidenza della nostra scoperta.
Questo fino al 2002, quando la Comunità Europea si accorse che i cialtroni erano altri e mise mia moglie a capo di un progetto di ricerca da lei stessa ideato intitolato Nanopathology, un progetto che includeva anche le Università di Mainz in Germania e di Cambridge in Gran Bretagna.
In parte con i soldi della Comunità e in parte con fondi nostri acquistammo allora il microscopio elettronico indispensabile per i nostri studi (fino ad allora avevamo lavorato con quello dell’Università di Modena, ormai diventato insufficiente per prestazioni e per disponibilità) e i risultati fioccavano. Fioccavano tanto che si manovrò con successo per portarci via l’apparecchio, e chi è interessato al come può leggersi il mio libro Il Girone delle Polveri Sottili prima citato.
Fu in quel momento – e si era a fine febbraio del 2006 – che, per riparare al guaio, si aggiunsero altri guai.
Parlando con Beppe Grillo che conoscevo da oltre un anno perché lui si era fatto introdurre a me da uno scienziato italiano che lavora al Politecnico di Zurigo, gli raccontai della disavventura, e lui colse la palla al balzo: mi propose d’iniziare una raccolta fondi che lui stesso avrebbe pubblicizzato per comprarci un nuovo microscopio. Il costo dell’oggetto? Ammontava a 378mila euro. Una bazzecola, mi assicurò lui.
Per una mia imperdonabile ingenuità, per evitare che qualcuno pensasse che io volessi impadronirmi di un apparecchio di quel pregio, proposi allora d’intestarne la proprietà ad una fondazione o ad una onlus e, per un disgraziato incrocio di circostanze rivelatesi poi catastrofiche, la scelta cadde su tale Associazione Onlus Carlo Bortolani di Reggio Emilia presieduta da tale avvocatessa Marina Bortolani di cui non mi risultano, però, iscrizioni ad alcun ordine degli avvocati.
Grillo iniziò subito a parlare dell’iniziativa nei suoi spettacoli, cui avevo già saltuariamente partecipato e ai quali, da quel momento, io intervenivo molto più assiduamente per una decina di minuti o un quarto d’ora al massimo spiegando che diavolo fossero le nanopatologie.
Per informazione: tra le nanopatologie si contano ictus, infarti cardiaci, tromboembolie polmonari, diverse forme di cancro, malformazioni fetali, aborti, malattie neurologiche, malattie endocrine, sterilità maschile, stanchezza cronica, ecc.
Per Grillo il nostro problema era una piccola manna dal cielo: aveva qualcosa di nuovo da dire, si ammantava di eroismo personale e, cosa per lui tutt’altro che trascurabile, io ero gratis.
Sull’onda di questi spettacoli e delle conferenze che io tenevo in tutta Italia (ne tenni oltre 200 in un anno a mia cura e spese), il denaro cominciò ad arrivare, confluendo in un conto corrente che la signora Bortolani aveva acceso presso la Banca Etica a nome della sua onlus.
Mia moglie ed io cominciammo presto ad insospettirci per il comportamento della sullodata Bortolani: a dispetto delle nostre insistenze, non ci fu permesso né allora né poi di vedere i conti della banca. Perché? Quanto stava entrando? Non stava, per caso, uscendo indebitamente denaro? Perché un giorno il denaro fu trasferito da Banca Etica ad Unipol? Per i movimenti, qualunque questi fossero, dovevamo fidarci della parola della presidentessa della Onlus senza possibilità di riscontro. Dunque, impedendoci qualunque controllo, noi fummo messi in condizione da non avere alcuna prova esibibile di eventuali scorrettezze. Certo, però, che ci pareva difficile giustificare l’inaccessibilità del conto se tutto si svolgeva correttamente.
Un anno dopo, comunque, i fatidici 378mila euro furono raggiunti e si poté pagare il nuovo microscopio che, intanto, ci era già stato anticipato dal costruttore.
A quel punto, io cessai di partecipare agli spettacoli di Grillo, un po’ perché non ne vedevo più la ragione, un po’ perché non mi andava di essere usato come fenomeno da baraccone, e un po’ perché sentire il comico relazionare di fatti scientifici di cui lui non aveva la minima competenza – e la cosa era fin troppo palese – mi metteva in imbarazzo.
Se fino ad allora il fine, ossia poter continuare le ricerche, aveva giustificato il mezzo, cioè la raccolta fondi reclamizzata da Grillo, ora, a fine raggiunto, si doveva chiudere in fretta quella sorta di collaborazione.
Così, piano piano i rapporti con il comico diventarono sempre più rari. Ma, se Grillo lo sentivo poco, con la signora Bortolani persi ogni contatto. Questa, inspiegabilmente, pur invitata innumerevoli volte, non solo non venne mai a trovarci benché abiti a mezz’ora di strada dal laboratorio, ma non rispondeva più né alle nostre telefonate, né alle lettere, né alle e-mail.
Nel frattempo, le ricerche continuavano a dare frutti eccezionali, tanto che la Comunità Europea mise mia moglie a capo di un altro progetto, ancora una volta ideato da lei, chiamato DIPNA, notevolmente più grande del primo. Questo per approfondire un’altra nostra scoperta, cioè la capacità delle polveri di penetrare nel nucleo delle cellule interferendo con il DNA. Addirittura la Camera dei Lord di Londra c’invitò a relazionare sulle nostre scoperte, soprattutto per quanto riguardava l’aspetto dell’inquinamento causato dalle esplosioni ad alta temperatura che si usano in guerra.
Anche il Ministero della Difesa italiano si mosse in seguito ai nostri studi sulle armi all’uranio impoverito che dimostravano come le malattie dei soldati e dei civili esposti all’inquinamento bellico fossero dovute alle polveri generate dalle esplosioni. E per il Ministero lavorammo e continuiamo a lavorare.
Non saranno in tanti, ma forse qualcuno ricorderà che nel febbraio del 2008 io mi candidai alla Camera dei Deputati con la lista civica chiamata Per il Bene Comune, venendo indicato come candidato alla presidenza del consiglio. Naturalmente, non serve nemmeno sottolinearlo, era chiaro a tutti che non sarei mai riuscito a battere Prodi o Berlusconi e, a dire il vero, a me era altrettanto chiaro che non avrei mai ottenuto il minimo dei voti per arrivare a Roma. E così fu, anche per il boicottaggio solidale di tutti i mezzi d’informazione, con i giornali silenziosi, la RAI che mi riservò lo 0,3% del tempo dedicato ai candidati e Mediaset che si limitò a farmi partecipare ad una trasmissione chiamata Matrix a fine maggio, quando le elezioni si erano svolte ad aprile.
Se il boicottaggio dei media non fu per me una sorpresa, ciò di cui non mi ero reso conto era che la mia “discesa in campo” disturbava Beppe Grillo o, meglio, il suo gestore Gianroberto Casaleggio che aveva partorito le famose Liste Cinque Stelle.
E nemmeno piaceva ad Antonio Di Pietro, che fa parte della scuderia di Casaleggio e che, a Grillo pensionato, vedrà confluire sul suo partito – un partito di cui lui è, come si suol dire, padre padrone – gli orfani del comico trasformato tanto incredibilmente quanto provvisoriamente in maestro di pensiero.
Nella mia cecità, io non fui capace di leggere qualche segnale evidente: improvvisamente Grillo prese a non rispondere alle mie telefonate né alle mie e-mail e, in aggiunta, si rese protagonista di un episodio che quasi nessuno conosce, e chi lo conosce ben si guarda dal renderlo pubblico.
Nella tarda primavera del 2008 un gruppo di grillini di Firenze mi propose di mettere in atto una raccolta fondi per aiutare la nostra ricerca. Si trattava di un’iniziativa minima, ma non per questo disprezzabile, perché per chi fa ricerca ogni centesimo significa un sia pur piccolo passo avanti verso un risultato scientifico. I ragazzi fiorentini iniziarono a darsi da fare ma poco dopo, ad inizio estate, io mi vidi recapitare una raccomandata firmata da tale avvocato Maurizio Grillo, nipote del comico, con la quale venivo diffidato dal raccogliere fondi attraverso i grillini, come se questi costituissero una proprietà privata in una sorta di riesumata schiavitù. Va da sé che, dal punto di vista legale, la mossa era nient’altro che grottesca, palesemente infondata com’era, ma ottenne l’effetto voluto: i grillini cessarono subito di raccattare denaro, arrivato appena ad una manciata di euro.
Se allora mi era difficile decifrare un’azione così apparentemente assurda ed immotivata, per di più senza aver ricevuto nemmeno una telefonata da Grillo, la cosa mi diventò chiarissima un anno più tardi, il 30 giugno del 2009.
Quel giorno mi arrivò, infatti, una lettera raccomandata firmata dall’avvocatessa Bortolani con la quale mi si comunicava che il microscopio, legalmente di proprietà della Onlus, era stato «donato» all’Università di Urbino ma che noi, mia moglie ed io, avremmo potuto usarlo «almeno una volta la settimana».
Improvvisamente cominciai ad aprire gli occhi.
Chi ha voglia di leggere quanto la Bortolani aveva scritto sul suo sito Internet in tempi non sospetti vada all’indirizzo http://www.bortolanionlus.it/2007/04/02/parte-il-progetto-di-ricerca-sui-possibili-effetti-che-l%e2%80%99inquinamento-da-polveri-puo-avere-sui-bambini-gia-dallo-stato-fetale/ e confronti con quanto stava accadendo.
Perché ci portavano via il microscopio in disprezzo di tutto ciò che si era promesso ai donatori (http://www.oltrelacoltre.com/?p=4485)? Perché nessuno aveva mai discusso con noi la cosa? Perché, volendocelo proprio portare via, invece di “donarlo” al Centro dei Biomateriali dell’Università di Modena diretto da mia moglie lo portavano a Urbino?
Venni a sapere quasi subito che dall’inizio della primavera del 2008, in coincidenza con la mia candidatura politica, Grillo e la Bortolani si erano messi a trattare con l’Università di Urbino per sottrarci l’apparecchio.
Il tutto, inutile dirlo, a mia insaputa, esattamente come si fa quando si combina qualcosa di non propriamente onorevole e, alla fine, la trattativa andò in porto.
Se sia corso denaro, io non posso saperlo, ma la mia opinione personale è che il motivo della sottrazione fosse altro che intascare qualche euro sottobanco.
La verità è che quelle nostre ricerche diventavano ogni giorno più scottanti e che gl’interessi reali di Grillo, o di chi gli sta alle spalle, ne venivano pesantemente toccati.
Questo spiega anche la scelta di Urbino, un’università che occupa una classifica a livello internazionale non proprio lusinghiera, dove nessuno si è mai occupato di nanopatologie.
A illustrare meglio quella scelta va tenuto in conto come in un passato allora recente io fossi stato chiamato a difendere un Comune della provincia di Pesaro e Urbino dalla minaccia di un inceneritore a cosiddette biomasse che un’azienda intendeva costruire in una località chiamata Schieppe.
Allora fu l’Università di Urbino a scagliarmisi contro per difendere gl’interessi della ditta ma, alla fine, vinsi io.
A margine, il Comune di Montemaggiore mi concesse la cittadinanza onoraria per il “salvataggio”.
Salvataggio, peraltro, che ho ripetuto più volte in altri luoghi. Tutto considerato, allora, quale ubicazione migliore per il microscopio? Ad Urbino le ricerche di nanopatologia sarebbero certamente morte e, in aggiunta, si sarebbe fornito il nostro strumento di ricerca proprio a chi mi aveva combattuto.
Inutile dire che mia moglie ed io lottammo con tutte le nostre forze per opporci al trasferimento del microscopio, ma non ci fu nulla da fare: l’oggetto apparteneva di diritto alla Onlus Bortolani e la donazione appariva legittima. I donatori? Le bugie che si erano raccontate loro per spillare quattrini? Il fatto che Grillo mi avesse sfruttato facendomi lavorare a mie spese per un anno sfruttando il mio nome e la mia faccia nei suoi spettacoli? Ma mi faccia il piacere! Fatta la festa, gabbato lo santo.
Qualcuno tra i donatori si mosse scrivendo alla Onlus Bortolani e tentando anche, senza successo, d’iscriversi all’associazione, obbligata per legge ad accettare chiunque. Il risultato fu un muro di gomma. Molti scrissero all’Università di Urbino, compreso il Sottosegretario alla Difesa, per scongiurare la sottrazione. Di nuovo un muro di gomma fu il risultato. Moltissimi mandarono commenti al blog di Grillo chiedendo spiegazioni riguardo ad un atto così apparentemente inspiegabile. Il risultato, una volta di più, fu un muro di gomma insieme a una censura ferrea che impediva e tuttora impedisce la pubblicazione di qualsiasi cosa disturbi il personaggio (io ci ho provato varie volte, se non altro per divertimento). Il che da solo dimostra tutta la debolezza del comico trasformato in uomo politico.
Nel frattempo avevamo fondato una onlus chiamata “Ricerca è Vita” con la finalità di far conoscere al grande pubblico i risultati delle nostre ricerche. Come c’era da aspettarsi, i soliti noti riuscirono a farla chiudere asserendo che quella Onlus fa ricerca, cosa vietata in Italia a quel tipo di associazione.
Certo, l’accusa è a dir poco grottesca: Ricerca è Vita non disponeva di laboratori, di personale né di apparecchiature e, dunque, la ricerca sarebbe stata comunque impossibile, ma che importa?
Intanto si è riusciti a fermare il pericolo che trapeli l’informazione e la nostra opposizione avviata presso gli organi burocratici competenti potrebbe avere tempi biblici.
Ma di episodi da raccontare ce ne sarebbe una lista lunghissima, tutti a conferma di quanto credo ormai sia evidente.
Ora, io mi trovo in condizione di non poter più dare una mano a nessuno dei tanti che continuano a chiedermi aiuto: ci costruiscono un inceneritore dietro casa, il cementificio qui vicino brucia rifiuti tossici e ci avvelena, ci piovono materiali oleosi corrosivi sul davanzale, c’è una moria di bambini per leucemia tutti nella stessa scuola…
A me non resta che dire di rivolgersi a Grillo, alla Bortolani o ad Urbino e la reazione è quasi sempre indispettita.
Ma che posso farci io? Dove eravate quando mi spogliavano dello strumento? Chi di voi si è mai chiesto quanto mi costano le ricerche? Lo sapete che io lavoro non solo gratis ma a mie spese dal 2004?
La forza di Grillo travestito da uomo politico è quella di disporre di uno zoccolo duro di fedelissimi che vedono la messa in discussione del loro maestro di pensiero come un atto blasfemo.
È sufficiente leggere le loro reazioni in parecchi siti che circolano in rete: mai una discussione basata sui fatti ma solo insensatezze in nessun caso supportate da uno straccio di documento, e sempre il concetto religioso «se Beppe l’ha fatto, avrà avuto le sue ragioni».
Al mio invito a Grillo costantemente ripetuto di un confronto pubblico tra lui e me (un esempio tra i tantissimi: http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2033-caro-beppe.html) è sempre stato risposto con un silenzio terrorizzato. Che potrebbe mai ribattermi il comico? Come potrebbe giustificare azioni la cui portata – temo – lui stesso magari non ha compreso? Come potrebbe giustificare, proprio lui, la sua censura? Quali argomenti potrebbe estrarre dal cilindro per spiegare il suo imbavagliamento della ricerca? Come potrebbe guardare negli occhi le persone che hanno avuto bisogno di noi e continuano a chiederci aiuto? Con che faccia potrebbe spiegare le sue fughe davanti al pericolo di un confronto? Come potrebbe spiegare il comportamento dell’Università di Urbino che, dal 22 gennaio scorso, quando si è portata via lo strumento, non l’ha mai usato e non ci ha nemmeno mai permesso di vederlo (vedi QUI e QUI)?
A tutto questo non esiste una sola risposta né da parte del comico né da parte del suo staff né da parte dei suoi fedelissimi. Solo i soliti saggi da osteria ripetono «bisogna ascoltare tutte e due le campane» con la certezza che una delle due non suonerà mai.
Se di tutto questo ben pochi sono al corrente è perché i mezzi di cosiddetta informazione, tutti, nessuno escluso, ne tacciono cocciutamente. E ne tacciono perché dalle fonti inquinanti, in particolare dagl’inceneritori (chiamati grottescamente “termovalorizzatori”), tutta la politica italiana ricava denaro. E tanto. E da quegl’impianti succhiano quattrini, e tanti, grandi imprenditori che fanno impresa con i soldi altrui.
Così i giornali e le TV, che vivono di pubblicità e quella pubblicità arriva proprio dai grandi gruppi di pseudoimprenditori di cui sopra, se ne stanno prudentemente zitti, complici di malefatte di cui paradossalmente ignorano di essere vittime come tutto il resto del mondo. Basti osservare la reazione di quel giornale che si presenta in veste di paladino della verità chiamato «Il Fatto Quotidiano» alle numerose lettere dei lettori che chiedono informazioni sulle prodezze di Grillo raccontate in sunto sopra: zero, esattamente come tutti gli altri giornali. Tengono anche loro famiglia.
Malauguratamente il mondo ha perso il concetto di politica, dimenticando che questa è la conduzione virtuosa della casa comune e non ha ragione di esistere per altro.
Certo la politica non è quella bolgia infernale che noi supinamente accettiamo d’intrighi, di compromessi, d’ipocrisie, di affari giocati a spese dei borsellini e, quel che è peggio, della salute di chi la politica dovrebbe istituzionalmente servire e della salute delle generazioni future. Da noi si contrabbandano per politica le baruffe tra Fini e Berlusconi, le ridicole enormità delle nostre veline assurte alle vette della politica nostrana, le esternazioni sul mondo ideale ottocentesco della cosiddetta sinistra che non ha un’idea che sia una, o le follie dei sindacati che mobilitano milioni di lavoratori per quattro soldi da aggiungere in busta paga e s’infischiano bellamente della loro salute di cui non vogliono nemmeno sentir parlare.
E, a corollario della politica, da noi si conserva in vita una pletora del tutto inutile quando non dannosa d’istituzioni che dovrebbero salvaguardare l’ambiente. Tra queste l’ARPA, che viene mantenuta a spese pubbliche e che, invece, non fa altro che mentire sulle reali condizioni ecologiche. Forse qualcuno ricorda un’intervista: «Quando ero presidente del Consorzio dei rifiuti a Caserta ho chiesto la tracciabilità della diossina e degli altri inquinanti. Ho subìto minacce, mi hanno lasciato solo e mi sono dovuto dimettere. Le Arpa italiane lavorano malissimo, le analisi si contano con il contagocce. Il motivo? Sono carrozzoni politici, senza alcuna indipendenza scientifica. Pubblicare dati negativi turberebbe il consenso politico, e il direttore di turno perderebbe la poltrona.» (Vincenzo Pepe, intervistato da «L’Espresso» del 29 novembre 2007 – pag. 72).
Chi ha seguito, tra le altre prodezze, le vicende legate all’incendio DeLonghi di Treviso – a seguito del quale l’ARPA veneta “rassicurò” la popolazione dicendo che non erano state generate diossine (quando, di fatto, non aveva eseguito alcuna indagine) – sa di che cosa sto parlando.
Ma di episodi analoghi si potrebbe riempire un volume ponderoso, un volume che, invece, resta desolatamente con le pagine bianche perché di queste cose non c’è chi voglia parlare.
Chi ne intascherebbe qualcosa parlandone?
Nessuno pare rendersi conto che non esiste nulla di più importante della conservazione dell’ambiente. Lo si voglia o no, il Pianeta è piccolissimo e l’inquinamento sempre più omogeneamente distribuito con cui lo stiamo avvelenando colpisce inevitabilmente ognuno di noi senza possibilità di privilegio.
E quel che è più allarmante è l’accumularsi inesorabile di quei veleni per i quali non esiste degradabilità (quando si parla di “bonifiche” non so se ridere o piangere) e la loro capacità di passare da madre a feto provocando non solo aborti e malformazioni ma modifiche del DNA con un genoma umano che va mutando in tempi rapidissimi e non muta certo per il meglio.
È questo il nemico contro cui si deve assolutamente combattere. Qualche euro in più in busta paga, una legge elettorale meno farsesca di quella odierna, un premier meno imbarazzante… Tutte cose bellissime, ma, se schiatteremo come cani, a che ci servirà tutto questo? E, se non sapremo che cosa rispondere quando, inevitabilmente, la generazione futura ci accuserà di aver saputo e di non avere agito, non saremo altro che dei volgari assassini per pigrizia. Qualcuno venga a trovarmi nel mio laboratorio e gli mostrerò come stanno le cose. Venga, e gli farò vedere ciò che i politici e i sedicenti scienziati che si prostituiscono per quattro soldi o per un gradino di carriera non vogliono vedere e non vogliono sia mostrato.
Ma la cosa che mi spaventa di più è ciò che costituisce la causa e la conseguenza ad un tempo di tutto questo: lo stato di anestesia in cui vegetiamo.
Ormai beviamo qualunque fandonia, meglio se rassicurante, purché sia pronunciata tre volte per farla diventare pirandellianamente vera, o se la fandonia è strepitata in piazza da qualche guru abborracciato apposta per l’impresa.
Il fenomeno del grillismo, così funzionale al sistema, ne è la riprova più evidente e sconsolante. Migliaia di ragazzotti rassicurati dalla forza del branco e dal darsi reciprocamente ragione fino ad esserne intontiti sono pronti a portare il loro obolo di denaro e il loro lavoro a un personaggio senza alcuna qualifica politica o culturale. E dei suoi scheletri nell’armadio, vedi la non certo onorevole vicenda del microscopio, è peccato mortale fare anche solo menzione.
Questi giovani alla ricerca disperata di un ideale hanno riposto la loro fede in un uomo di spettacolo che si serve di loro per mantenere vivo il suo personaggio e continuare così a riempire i palasport. In quell’ambito lo spirito critico non deve esistere, va soffocato sul nascere con una censura ferrea ed impenetrabile, e la minima obiezione è bollata con una sorta di fatwa morale.
I transfughi sono rarissimi (http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2035-senza-commento.html) e di loro non si parla.
Già a livello locale, per esempio in Emilia Romagna, questi ragazzi hanno dato una prova desolante del loro spessore sbranandosi tra loro, facendosi beffe di tutto quanto di etico sostengono pubblicamente, per un posto al parlamento regionale andato poi a chi non spettava. Dovessero costoro davvero arrivare ad ottenere qualche posizione di potere, se non ci sarà un nuovo 1922 è solo per l’inconsistenza e la pochezza dei protagonisti.
Ma, se tutto quello che ho chiamato grillismo servisse solo ad attirare pubblico e denaro per il comico, forse potremmo annoverarlo tra le manovre pubblicitarie riuscite, magari un po’ ai confini estremi della correttezza, ma, via, transeat!
Il problema vero sta, invece, nel fatto di manovrare tutta questa torma di giovani per far funzionare il sistema che vige ora. La sottrazione del microscopio che combatteva l’incenerimento dei rifiuti con tutta la corruzione e le ruberie (miliardi di euro) che gli vanno appresso ne illustra l’evidenza.
Come continuerò a dire gridando nel deserto come un pazzo qualunque, se non ci riapproprieremo del nostro intelletto, della nostra dignità, del nostro buon senso e delle chiavi di casa nostra, vale a dire dello Stato come consorzio di cittadini uguali per diritti e per doveri, per noi non ci sarà scampo. Né ci sarà per i nostri figli.
Stefano Montanari
montanari[at]nanodiagnostics.it
>>> Ringrazio l’autore per il consenso alla pubblicazione. Questo articolo è stato edito una prima volta su Megachip Democrazia nella Comunicazione, sito Copyleft, che incoraggia la libera riproduzione dei propri contenuti purché siano citati la fonte e gli autori.
La foto di questo articolo è di Silvia Rinaldi.
L’articolo che ho pubblicato contiene – al di là dell’amarezza suscitata da una vicenda davvero squallida – alcune riflessioni molto preoccupanti circa il destino della società e dei suoi membri.
Dice Montanari:
«Nessuno pare rendersi conto che non esiste nulla di più importante della conservazione dell’ambiente. Lo si voglia o no, il Pianeta è piccolissimo e l’inquinamento sempre più omogeneamente distribuito con cui lo stiamo avvelenando colpisce inevitabilmente ognuno di noi senza possibilità di privilegio».
Il lato farsesco della vicenda è invece che proprio chi – Beppe Grillo – si erge a uomo nuovo contro i giochetti della politica poi cada negli stessi “vizi” delle persone che condanna senza appello.
Parliamo di censura?
Ho appena scoperto che postare un commento sgradito sul blog di Beppe Grillo equivale a essere cancellati veramente in pochi minuti! E la mia “colpa” era stata pubblicare un link a questo articolo…