Petrolio

 
 Serve a
produrre plastica e smog, rifiuti e tumori. Serve a fare soldi, tanti,
surriscaldando il pianeta. Serve a sporcare i mari e a distruggere
qualsiasi speranza di un futuro diverso.
Serve a
far funzionare le automobili Fiat, che un amministratore delegato col
maglione colorato vuole far produrre in condizioni di schiavitù, troppo
"furbo" o troppo preso dalla sua ideologia per capire che certe
condizioni proprio «non è serio» accettarle.

 Chi
controlla
le fonti energetiche controlla i rapporti di forza nel mondo,
tiene i fili che muovono i pupi seduti nelle casebianche o nei
palazzichigi
, divetro, dinverno, quant’altro: le istituzioni dei Paesi,
anche sedicenti democratici, sono sotto il fuoco delle multinazionali
del gas e del petrolio, che le tengono in scacco puntando il portafogli.
 Le istituzioni come la stampa, le televisioni.
 Non è un caso che ogni tanto qualcuno si faccia sotto col desiderio
fascista di chiudere la bocca a chi è senza padrone: dall’ennesima crisi
del manifesto, cooperativa di giornalisti vittima del taglio dei fondi
pubblici all’editoria, al bavaglio che colpirà i blog, equiparandoli a
ciò che non sono.
 Non è un caso, perché il potere teme l’informazione non allineata, come
dimostra ampiamente WikiLeaks.org, che ha pubblicato 92mila pagine di
documenti sottratti al Pentagono che dimostrano, "ufficialmente", ciò
che della guerra in Afghanistan si è sempre saputo ufficiosamente: la
grande quantità di morti civili, il costo economico, le inefficienze
degli eserciti occidentali (fuoco amico, inaffidabilità dei droni), il
doppio gioco del Pakistan e naturalmente l’ovvia considerazione che i
talebani oggi sono ancora o nuovamente forti come nel 2001, perché le
armi non sono sufficienti a vincere un conflitto come questo.
 Come scrive Alessandro Dal Lago sul manifesto del 27 luglio, «L’affaire
WikiLeaks mostra quanto la disinformazione sia essenziale al potere
globale o alle sue propaggini locali in tema di guerra, risorse
energetiche, finanza, inquinamento e così via».
 Che cosa significa questo per un Paese come l’Italia, dove la noia
suscitata dall’espressione «conflitto d’interessi» tra politica e media
non significa in alcun modo che la questione non esista e non sia fra le
più rilevanti (la più rilevante?) del degenerare del sistema politico
nostrano? Che cosa significa nel Paese che si riappresta a produrre
energia nucleare (e scorie radioattive) senza avere ancora trovato un
posto per conservare i rifiuti nucleari prodotti fino al 1987? Nella
terra in cui le mafie bruciano i rifiuti industriali, tossici, in
campagna, o li trasformano in concime?
 All’indomani dell’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon, che ha
riversato nel Golfo del Messico milioni di barili di petrolio, il
ministero italiano per l’ambiente ha posto un limite entro il quale le
trivellazioni sottomarine non potranno avere luogo: 5 miglia dalla costa
nelle acque nazionali italiane, in un mare chiuso come il Mediterraneo,
magari in quel corridoio stretto che è l’Adriatico.
 Nei giorni scorsi molti giornali hanno sottolineato il pericolo per le
trivellazioni che Gheddafi, l’amico del nostro presidente senza
consiglio, ha autorizzato nel Golfo della Sirte, a cura della medesima
Bp
responsabile dell’incidente caraibico. Il nostro ineffabile ministro
degli esteri ha dichiarato che «se un incidente come quello avvenuto nel
Golfo del Messico si verificasse nel Mediterraneo, sarebbe una
catastrofe irreparabile, perché il Mediterraneo è come un lago».
Preoccupa, insomma, la vicinanza della Libia: il panico pervade il
governo "delle 5 miglia".
 Che cosa pensa Frattini, che per lo meno non è il ministro competente;
che cosa pensa Prestigiacomo delle perforazioni previste nell’Adriatico,
in acque pugliesi, al largo delle isole Tremiti, bellezze naturalistiche
e ricchezza turistica senza pari? «L’ufficio Valutazione Impatto
Ambientale del ministero dell’Ambiente ha espresso parere positivo alla
richiesta della società petrolifera Petroceltic Elsa di sondare il mare
tra il Gargano e le Isole Tremiti alla ricerca di petrolio, a 12
chilometri dall’arcipelago e a 11 dalla costa», ha scritto il sito
terranauta.it
. «Le compagnie petrolifere pagheranno allo Stato circa il
30% tra royalties e tasse, mentre alla regione resterà solo l’1%».
 Che cosa pensa Frattini,
che per
lo meno non è il ministro competente; che cosa pensa Prestigiacomo (che è
pure siciliana
) delle
perforazioni previste
in
Sicilia
,
nel Val di Noto, inserito
dall’Unesco fra i «Beni dell’Umanità»? In un’area che cerca il proprio
riscatto attraverso il turismo e l’agricoltura di qualità, invece di
andare incontro all’iniziativa degli abitanti, si propone l’ennesimo
modello coloniale
di sfruttamento calato dall’alto, a opera delle grandi
compagnie.
 In Sicilia è attivo il comitato No Triv, che si oppone alle
trivellazioni gas-petrolifere e lotta per le energie rinnovabili.
Domenica scorsa, 25 luglio, si è tenuta una manifestazione a Scicli. Una
manifestazione «per sensibilizzare la cittadinanza sui potenziali danni
che le trivellazioni petrolifere arrecherebbero al nostro territorio,
naturalmente vocato all’agricoltura e al turismo», come scrivono le portavici
del comitato in un comunicato stampa. «Una manifestazione per dire no a
questo enorme scempio ambientale che distruggerebbe l’immagine di una
città perla del Barocco e bene dell’umanità inserita nella World
Heritage List dell’Unesco».
 Scorrendo il sito No Triv è possibile imbattersi in materiale molto
interessante. Chi ha mai sentito parlare della «fuoriuscita di petrolio
allo stato grezzo dall’oleodotto Ragusa-Priolo Mostringiano
»? Le
conseguenze di un modello di sviluppo fondato sul petrolio sono già
presenti, non riguardano un ipotetico futuro. Si diceva della Deep
Horizon (secondo Wikipedia la fuoriuscita è stata fermata il 15 luglio;
il 27 luglio è avvenuta una nuova fuoriuscita di greggio in un pozzo
petrolifero al largo della Louisiana, i cui effetti si sommeranno a
quelli della marea nera
), ma chi ha sentito parlare di una piattaforma
situata a nord della località balneare di Hurghada
, sul mar Rosso, in
Egitto, che ha cominciato a perdere petrolio?
 È questo il panorama nel quale il governo italiano pensa di aver fatto
molto introducendo misure "restrittive" come il divieto di perforazione
entro 5 miglia dalla costa.
 
 Lì, evidentemente, basta l’inquinamento
comune.


 Nel blog leggi anche l’articolo Sicilia: un mare di petrolio.

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