Pubblico l’appello di Libera contro la messa in vendita dei beni confiscati alle mafie, una trovata che rischia di riconsegnare agli antichi proprietari, magari dietro la copertura di qualche prestanome, quanto recuperato alla legalità. L’attuale maggioranza parlamentare (quella che ha privatizzato l’acqua, tanto per intenderci sul livello d’interesse dimosrato verso la collettività) ha stabilito con un emendamento alla legge finanziaria appena passata al Senato, che i beni immobili non destinati a uso sociale entro un lasso di tempo di appena 3 mesi (6 per i casi più complessi) saranno messi in vendita.
Si tratta di un passo indietro enorme nella lotta alla criminalità organizzata, contro il quale tutt* le/i cittadin* hanno il dovere morale (e l’interesse, aggiungerei) di esprimere il proprio dissenso.
Firma l’appello: Niente regali alle mafie, i beni confiscati sono cosa nostra
Tredici anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all’unanimità le legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l’impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.
Oggi quell’impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. È facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all’intervento dello Stato.
La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni.
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