I salari in gabbia, il premio di produttività e il raccontino «Villa Certosa, interno notte»

 
 In un
precedente articolo scrivevo che la "questione meridionale", «ora che Berlusconi se n’è appropriato» con la costituzione di un’agenzia per il sud,
«rischia di peggiorare notevolmente». Avrei preferito essere smentito e
invece l’ineffabile ha pensato bene di cedere all’ultima sparata di
Bossi e di promettere di ancorare i salari al territorio, vale
a dire al costo della vita nella regione o nell’area in cui il
lavoratore si trova impiegato. Il ragionamento è un po’ questo: al sud
la vita costa meno, ergo paghiamoli meno, «perché non è giusto
che un napoletano con un euro e quaranta si beve due caffè, ma io a
Milano mi bevo un caffè solo e in più non mi danno neanche tanto resto
perché il caffè piace anche a me e se pensi che piace di più ai
napoletani è razzismo nei confronti di noi padani, i quali ci siamo
stufati!» (dal tema di maturità di Renzo Bossi, secondo tentativo).
 Non si capisce però come si possa ovviare alla crescente povertà del sud (lo dicono i dati), al tasso di disoccupazione più elevato (moltissime le famiglie monoreddito), attraverso l’introduzione di «gabbie salariali» che penalizzerebbero proprio il reddito delle regioni meridionali. Se questo è il Piano innovativo per il sud
di cui cianciava il premier, mai ciancia avrebbe meritato di più di rimanere
tale. Cosa che puntualmente avverrà, perché di fronte all’ennesima
sparata leghista si sono affrettati un po’ tutti – ineffabile a parte – a fare retromarcia. Le
«gabbie» territoriali, del resto, sono superate dai fatti. Lo spiega
con molta chiarezza il blog Femminismo A Sud, ponendo l’accento sulla fine dei contratti nazionali di lavoro e sull’introduzione di trattamenti economici differenziati in base alla produttività:
 
 Chariamo
ancora il concetto: questa cosa dei premi per chi produce di più è
stata materia di lotta degli operai negli anni settanta. Il punto era
che il "padrone" stabiliva uno stipendio base abbastanza basso per
tutti e poi prometteva qualcosa di più a chi produceva di più. Il
risultato lo si poteva constatare in mani mozzate e vite perdute nelle
catene di montaggio perchè gli operai avevano famiglia e per campare
tentavano di lavorare più che potevano, al limite della stanchezza e
della propria sicurezza. A spronarli c’era il caporeparto, lecchino del
padrone, che faceva di tutto per neutralizzare gli operai che si
ribellavano in difesa dei loro diritti e faceva una distinzione tra
pigri e volenterosi con premi-punizioni che addomesticavano la massa.
[leggi tutto l’articolo: Gabbie mentali]

 
 Questo è il modello al
quale stiamo tornando, quello che insieme alle formule
contrattuali-capestro, alla "minaccia" delle delocalizzazioni, della
dismissione di impianti, mina alla base la sicurezza del (e
naturalmente quella sul) lavoro, in barba all’articolo 4 della Costituzione, che cito testualmente (servisse mai a qualcosa):
 
 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
 Ogni
cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso
materiale o spirituale della società.

 
 Il lavoro è un «diritto», dice. Compito della Repubblica è promuovere «le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Col lavoro si concorre «al progresso materiale o spirituale della società» (a
proposito, questa ditela al personale specializzato nell’offerta di
suonerie per cellulari o "servizi" vari attivabili via sms, ditelo alle
escort del papi, o piuttosto ditelo al papi!
). Addirittura, si parla della possibilità di «scelta» del tipo di lavoro in base alle proprie inclinazioni! Ergo: «La Costituzione è sovversiva! Cambiamola!» (dal compito di educazione civica di Renzo Bossi, ultimo anno delle superiori).

 
 Raccontino satirico. Villa Certosa, interno notte
 
 A villa Certosa, l’estate, si fa festa: si scopron le tombe (fenicie), risorgono i morti,
ma il premier proprio non riesce a divertirsi… Troppi pensieri…
quel Bossi! Ma come mai un partito che non rappresenta la maggioranza
di un bel niente deve sempre metterlo colle spalle al muro? E quali
alleati lo lasceranno per primi? i siculi o i padani? Il sudore tende a
sciogliergli il cerone, e non è un bel vedere: c’è il rischio di
mostrare l’età vera («più di settanta, ma portati come nessun altro e
il mio medico m’ha detto che posso arrivare a 120!»; Silvio Berlusconi
secondo Renzo Bossi, nel componimento teatrale intitolato La Padania liberata,
scritto dall’alunno prodigio in quarta superiore). Nel lettone di Putin
(non quello a casa di Putin, ovviamente), mentre aspetta il bacino
della buonanotte, continua a girarsi da un lato e dall’altro. Si sente
in crisi; è ottimista, ma si sente in crisi.
 Nel lungo
corridoio, intanto, due gambe leggere, abbronzate, avanzano verso
l’uscio. Il vestito (leggero anche quello) vien giù non appena varcata
la soglia (che non gli venga la tentazione, che non abbia il tempo di proiettare le sue diapositive!), la ragazza si avvicina al lettone emozionata il giusto (è il suo primo provino, in fondo: farà il Grande Fratello o la deputata a Montecitorio, ma sempre di Casa si tratta),
scosta piano piano il lenzuolo ma, al posto del papi… sorpresa! Il
presidente in crisi s’è commissariato! S’è fatto sostituire da
Bertolaso, l’unico capace di "risolvere i problemi", di prendere il suo
posto quand’è in difficoltà! Sarà lui, stanotte, a giudicare la ragazza.
 Il papi ha  diritto, ogni tanto, a un poco di riposo!


 Stavolta l’immagine col testo c’entra poco.

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