Ru486 e il corpo sotto tutela

 Opera di Lara Cavagnino

 Ho scritto un articolo mediocre sull’introduzione della Ru486, la cosiddetta «pillola abortiva», che ha scatenato le ire della Chiesa cattolica (la Ru486, non il mio articolo), la quale rinnova la promessa di scomunica per le donne che abortiscono e per i medici che le assistono nell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg).
 Un articolo mediocre, dicevo, perché mi sono limitato a fornire alcune informazioni sulla Ru486 e sulle modalità di somministrazione e ho accennato brevemente tanto alle polemiche quanto alle manovre del ministro Sacconi e della sottosegretario Roccella per rendere più difficile il ricorso a questa tecnica d’aborto.
 Forse non ho saputo infondere in ciò che ho scritto il necessario “spessore umano”, quello che si ritrova negli articoli (e nei commenti) di altri siti, dove la legislazione sull’aborto – e più in generale sul corpo della donna – è vissuta in prima persona, come occasione, volta per volta, di speranza, di dolore, di riappropriazione di sé o invece di violenza o servitù.
 Non ho saputo, o forse non ho potuto, parlare con voce “femminile”.
 Provo a rimediare citando voci e ragionamenti che mi hanno particolarmente toccato, a cominciare dall’atto d’accusa nei confronti di chi, nel mondo politico, vuole rendere inservibile l’Ru486, nella convinzione che, se in Italia il ricorso all’aborto è piuttosto contenuto, ciò dipende soltanto dal timore di molte donne all’idea di entrare in sala operatoria (nessun timore, invece, a quanto pare, all’idea di entrare in sala parto).
 Si tratterebbe in sostanza di rendere obbligatoria la presenza della donna in ospedale, non solo durante l’assunzione del farmaco, ma anche al momento dell’espulsione dell’embrione. Siccome tale momento non è in alcun modo prevedibile, e si verifica nel giro di 3 giorni, il ricorso all’Ivg tramite la Ru486 potrebbe implicare un ricovero ben più lungo di quello previsto per l’aborto chirurgico.
 Naturalmente, questa procedura non ha nulla a che vedere con quanto avviene negli altri Paesi che hanno adottato la Ru486. E naturalmente l’introduzione della nuova tecnica abortiva – meno invasiva, dunque vantaggiosa per la donna – non ha in alcun modo aumentato il numero degli aborti praticati nei Paesi che già da tempo hanno adottato la Ru486.
 Siamo alle prese con il solito ritornello che riduce ogni donna a una potenziale assassina; a una squilibrata che non chiede di meglio che essere “fecondata”, così da provare, finalmente, il “brivido” dell’aborto, ora che una pillola consente di viverlo senza finire sotto i ferri del chirurgo.
 Ma le abortiste per passione sono un’invenzione di certi cervelli bacati che forse hanno paura di tutto ciò su cui non possono esercitare il proprio potere di controllo (la gravidanza, per certi uomini; il libero arbitrio, per certe donne che hanno interiorizzato il modello patriarcale & gerarchico oggi ben dominante nella società). È un ritornello che riduce la donna a un soggetto bisognoso di tutela, maschile, in primo luogo (meglio ancora se sociale), o almeno famigliare.
 Sulle “manovre” del ministro Sacconi e della sottosegretario Roccella trovate due ottimi articoli nel blog Femminismo a Sud [Ru486: si preparano punizioni "esemplari" e Ru486: il governo vuole denunce penali per le donne. E noi? Che facciamo?]. Consiglio di leggere anche i commenti, che offrono spunti intelligenti e forniscono della questione una visione personale della questione. C’è, ad esempio, chi affronta l’ipotesi dei tre giorni di ricovero con una riflessione sulla privacy: «E se una non volesse far sapere al mondo intero che andrà ad abortire, che cosa racconta in casa? Che se ne va tre giorni in campeggio?». Una riflessione cui si potrebbe rispondere citando la legge italiana che regola l’Ivg, la 194/1978, che, all’articolo 5, s’impegna a tutelare la «dignità» e la «riservatezza» della donna e, all’articolo 21, definisce reato penale rivelare «l’identità» o divulgare notizie «idonee a rivelarla» di chi «ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge» (Sacconi, Roccella, attenti! Rischiate fino a un anno di carcere!).
 «Chiaro che con tutte queste restrizioni una è costretta a "scegliere" l’intervento chirurgico, che paradossalmente risulta meno invasivo per la vita privata», dice ancora il commento. Il che fa a pugni con un altro articolo della legge 194, il numero 15, che promuove l’«uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza».
 La Ru486, insomma, non cambia nulla quanto alle circostanze in cui l’Ivg è consentita, salvo anticipare il tempo utile per l’aborto (entro i 70 giorni dal concepimento, contro i 90 consentiti dal ricorso alla tecnica chirurgica), ma ha il vantaggio di costituire un elemento di minor rischio per l’interruzione della gravidanza, maggiormente rispettoso «dell’integrità fisica e psichica della donna». A dirlo è l’esperienza dei Paesi che la usano da anni e anche la sperimentazione avvenuta in Italia. Non richiede intervento chirurgico né anestesia, non comporta rischi di complicazioni dell’intervento chirurgico (rottura dell’utero, lacerazioni del collo uterino, emorragie), ma soprattutto – se correttamente somministrata – permette alla donna di appropriarsi della propria libertà di scelta, senza altri vincoli o intermediari che quelli previsti dalla 194.
 Concludo questo post citando un articolo di Luna De Bartolo, pubblicato sul giornale on line Dazebao.org, che invito a leggere. Parla di un aborto «nuovamente […] confinato nella clandestinità, seppur istituzionalizzata», con donne lasciate «per ore su un lettino, in uno sgabuzzino, tra i dolori del travaglio di un aborto terapeutico perché il pio anestesista obiettore non poteva lenirle il dolore». «Donne stremate, trattate come animali, e poi messe in cameroni nei reparti maternità, insieme ad altre donne che allattano i loro figli, tra i bimbi che piangono. E qui si parla di aborti terapeutici, donne che il loro bambino lo volevano». È in questo contesto che la Ru486 «fa paura». «Fa paura perché va nella direzione della appropriazione, finalmente in sicurezza, dell’aborto volontario da parte delle donne. Azzera la tutela del corpo femminile».
 [Leggi l’articolo Corpi di donna. Quel mistero da controllare e regolamentare su Dazebao.org]


 Consulta il testo della legge 194
 Leggi l’articolo di Ida Dominijanni La Chiesa, la RU486 e le escort del capo [< il manifesto]
 L’opera
che illustra questo articolo è di Lara Cavagnino.

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