Ripubblico questo articolo, tratto dal blog Femminismo a Sud, nella speranza di contribuire a mettere in discussione il pregiudizio diffuso di un Paese per metà sano ma frenato, nel suo «sviluppo», da un meridione arretrato e dominato dall’ignoranza e dalla corruzione, due problemi ben presenti, certo, ma nazionali, assurti per di più negli ultimi anni a sistema di governo – a livello locale così come a livello centrale – da chi occupa le posizioni di potere (in generale, gente nata al nord, perché né Berlusconi né Bossi sono siciliani o salentini).
Siamo meridionali
[di fikasicula]
Mentre il ministro sacconi ritarda sempre più la data delle nostre pensioni, alle donne un po’ più tardi e a tutti “secondo l’aspettativa di vita” (che significa che se la vita media dura fino a ottanta anni tutti prenderemo la pensione a settanta e chi se ne fotte se – per dire – io posso crepare – per esempio – a 67 anni senza aver avuto accesso alla pensione neppure per un giorno), il presidente della repubblica si è accorto ohibo’ che il sud si sta svuotando di gente ma chissà come mai si riempie di monnezza.
Ricordo che nella scuola media uno dei primi libri di narrativa che ci fecero leggere fu Marcovaldo, di Calvino. Non ci feci caso lì per lì ma poi mi resi conto che era una specie di imprinting. Tutti noi dovevamo abituarci all’idea che prima o poi ci sarebbe toccato spostarci.
Sin da bambina dal chiuso del tuo paesello ti abitui a osservare con timore reverenziale tutti quelli che vengono “dal nord” e nord è una parola vaga perché si adatta anche a quelli che vengono da lamezia terme.
Come dimenticare l’emozione della prima chiacchierata con chi poteva raccontarci com’era il mondo fuori dall’isola. D’estate era un gran momento perché tornavano gli immigrati con i figli e le figlie che non mancavano spesso di farti sentire una specie di lombrico.
C’era la figlia di tizio che terminava tutte le frasi con il “né” di torino, la figlia di caio che parlava con accento milanese, la figlia di sempronio che iniziava le frasi con “mo’ ti dico”.
Eravamo come accattoni che aspettavano almeno le briciole di una sapienza che immaginavamo superiore e non ci rendevamo conto che già eravamo colonizzati in ogni senso e che ci portavamo addosso quel brutto marchio di fabbrica che è destinato agli esseri inferiori, quelli costretti ad emigrare per campare, quelli che arricchivano il nord togliendo braccia al sud.
È una cosa infame sentirsi cittadini di serie B e se donne anche di serie C. A scuola ti insegnano a disegnare le case di montagna, come quelle svizzere, e tu non hai mai visto una casa di montagna, specialmente quella svizzera. Ti insegnano a parlare italiano e se parli il dialetto ti dicono che sei ignorante. In casa parli italiano perché altrimenti a scuola scrivi e parli male. Ti insegnano a pensare e ad agire in svariati modi e non c’è da sorprendersi se poi si sviluppano sacche di integralismo orgogliose di mantenere in vita una mentalità “tradizionale” ma che ti fa sentire a casa.
La colonizzazione non ha fatto bene alle donne siciliane perché comunque si è sviluppato un codice preciso che distingueva le straniere dalle donne locali. Proprio come fanno gli stranieri di culture differenti che vivono ora in italia.
Le ragazze che venivano dal nord erano certamente tutte puttane mentre quelle paesane erano illibatissime. Sulle ragazze che venivano dal nord c’era un giro di scommesse che stabiliva premi e riconoscimenti in pubblica piazza per chi se le faceva per primo. Ovviamente nessuno mai confessò che forse non c’era proprio stato niente. Secondo la loro opinione le donne del nord facevano cose da turchi, nascevano già con rudimenti di puttanaggine e si nutrivano di biberon pieno di posizioni del kamasutra. Ovviamente quello era un modo per normare anche la nostra vita, delle donne locali, che finivano per essere titolate in quanto pulle "come quelle del nord" se per caso svolgevano una vita affettiva e sessuale libera e alla luce del sole.
Le ragazze del nord erano odiate, invidiate. Io ricordo solo che provavo a farci amicizia per sapere cose nuove, perché le consideravo messaggere di notizie che fremevo di conoscere.
Appena fui grandicella compii i primi passi verso il “nord”. Svariati e innumerevoli “nord”. Scoprii che le ragazze del sud normalmente non potevano staccarsi dal sud neanche volendo.
Le case degli italiani – quelli vecchio stampo – in giro per il mondo in qualche modo si somigliano un po’ tutte. Sono le uniche nelle quali trovi il bidet nelle nazioni in cui il bidet non esiste e sono le uniche nelle quali l’arredamento ricorda pericolosamente quello meridionale. Enorme stanza da pranzo, soggiorno con soprammobili pacchiani, camera da letto matrimoniale con crocifisso al capezzale e così via. La televisione ovviamente è arricchita di antenna satellitare e vi assicuro che il passaggio dalle vie di Londra ad una casa con Raffaela Carrà in tivù è un po’ come un viaggio attraverso due dimensioni parallele. Un trip spazio temporale che ti riporta indietro di almeno 30 o 40 anni al tempo di un meridione che nel frattempo è cambiato (un po’) ma che nella testa di chi emigra resta congelato all’epoca dei suoi ricordi.
Gli italiani, i meridionali, all’estero hanno gli stessi problemi degli stranieri in italia. Si portano spesso la moglie da casa e attraverso quella imprimono altre regole nella crescita dei figli e soprattutto delle figlie.
C’erano donne che venivano cresciute come a little italy a new york. Lontane dalle tentazioni perché fuori c’era il diavolo e loro dovevano restare sante.
Fuori dagli stereotipi ovviamente ho anche conosciuto fior di ragazze che sono cresciute in modo totalmente differente. Il merito spesso è stato dell’ambiente che hanno frequentato e che le ha influenzate malgrado l’educazione paterna.
Il viaggio a due dimensioni esiste anche in italia, nel “nord”. Ho scoperto che il nord degli immigrati, quelli della stagione operaia, in realtà era fatto di solitudini e periferie, luoghi grigi e tristi, senza odori e colori, senza sole e mare. Siciliani che si ritrovavano nello stesso bar mentre le mogli continuavano a fare la vita di sempre anzi una vita peggiore perché erano condannate ad essere recluse. Non conoscevano nessuno e si nutrivano di nostalgia e ricordi mentre crescevano i figli aspettando di potere un giorno forse invecchiare nel luogo dal quale erano venute.
Le forme di emigrazione sono tante e i modelli culturali che i meridionali portano con sé sono comunque abbastanza duri a morire. Nel bene e nel male, nelle cose negative e in quelle che io considero molto positive chi viene dal sud in qualche modo resta con la testa e il cuore sempre a sud.
Da un bel po’ di anni – ed è perciò che il presidente della repubblica arriva tardi – il sud si sta svuotando di intelligenze. Le braccia immigrate vengono sostituite da quelle degli stranieri. Ce ne sono tanti e sono sfruttati anche se vivono meno forme di discriminazione che nel nord.
Ma le teste che se ne sono andate e continuano ad andarsene non le sostituisce nessuno. Perché gli stranieri che arrivano con una laurea in tasca comunque non possono usarla e finiscono a lavorare nell’edilizia o nell’agricoltura.
Il risultato è abbastanza evidente. L’italia è ferma per nepotismo, mentalità feudale. Il meridione unisce a tutto questo la sempre più evidente assenza di persone intelligenti, qualificate, competenti.
Da molti anni l’emigrazione da sud a nord è cambiata nei mestieri. Prima davamo via gli operai poi abbiamo svenduto gli insegnanti.
Ritenendoci inferiori abbiamo tanto studiato, non avendo lavoro abbiamo tanto studiato. Così abbiamo scoperto che il nord è pieno di gente ignorante che guarda noi dall’alto in basso. Abbiamo scoperto che tre quarti del corpo insegnante del nord è meridionale. Ritenendo non all’altezza le nostre fonti di studio siamo andati a studiare altrove, abbiamo finanziato altre università, c’è chi è diventato ricercatore in città del nord. C’è chi si è spostato e vive di precarietà perché il nord non offre molto di più di quello che offre il sud. Al sud è lavoro nero e al nord è lavoro precario retribuito malissimo.
Non avete idea di quanta sia la gente del sud che sta nel nord e vive di precarietà. Vivere di precarietà perché non si hanno alternative significa non avere paracaduti sociali, non c’è la famiglia che ti offre un piatto di pasta se ti serve e devi pagare un affitto assurdo e nel frattempo pensi di costruire un futuro che troppo spesso non viene mai.
Il vantaggio di stare al nord? La possibilità di raggiungere l’europa in un soffio. La possibilità di guardare da vicino il provincialismo formato padania o centro-nord o nord-est. La possibilità di fare una indagine sociologica per scoprire le radici profonde del razzismo e dell’egoismo sociale.
Dal sud, tra le tante cose, da un po’ di anni hanno cominciato a muoversi anche un bel po’ di riferimenti culturali. Ne sono rimasti, alcuni splendidi, geniali, ma alcuni anche semplicemente autoreferenziali e mai pronti a fare rumore. Il governo di centro destra di intelligenze ne ha congelate un bel po’. Per il resto è come se tutto fosse diventato dipendente da una cifra “culturale” che passa dai grandi gruppi di distribuzione e produzione.
Se fai musica, teatro, cinema, scrittura, altro, devi comunque seguire la corrente che ti porta verso quell’unico nucleo accentratore che segna il monopolio della cultura.
Ne ho sentiti troppi, in tanti anni, dire che bisognava andare a milano o a roma per fare determinate cose, altrimenti niente, altrimenti non esisti. Vale per i comici, i musicisti, i cantanti, i ballerini, le artiste, per gli attori, le attrici, gli scrittori e le scrittrici, vale per chi fa cinema e tv.
Sono rari gli esempi di chi è riuscit* a farsi strada a partire dai propri punti di forza. Altrimenti, dopo tanta inutile e faticosa gavetta è sempre stato un fuggi fuggi generale perché si sa: se stai a nord, hai ventanni e metti insieme quattro note per comporre un brano ti fanno un contratto. Se stai al sud e sei diplomato al conservatorio e fai cose meravigliose non ti caga nessuno.
Se stai a nord e fai qualunque cosa hai più luoghi ai quali rivolgerti. Se stai a sud puoi tranquillamente fare la fine di leopardi, gobbo a recanati, e morire senza aver visto il paesaggio al di là della collina. Sei in periferia. Una periferia italiana che accentra tutto altrove. Sei in periferia anche se stai al centro di una delle grandi città del sud.
È la constatazione di reali svantaggi che normalmente fa dire a certi nordisti che noi del sud siamo pigri e viviamo di assistenzialismo. Poco importa se tante persone non vengono assistite proprio da nessuno e se nonostante l’intraprendenza si scontrano contro sistemi nepotisti, le conoscenze, le amicizie, le raccomandazioni, etc etc. Poco importa se a noi del sud c’è chi quotidianamente ruba la vita e il futuro.
E ora che abbiamo fatto la deregulation e il federalismo fiscale voglio vedere se al nord non cominceranno ad attuare i “respingimenti” anche per noi gente del sud. Anzi no, potremo entrare attraverso il sistema dei flussi con graduatoria sanata per le badanti e altre schiave, giusto?
[Da Femminismo a Sud]
Leggi anche Siamo meridionali II – de «i pirocchi arrinisciuti» (i pidocchi arricchiti)
E ancora: Siamo meridionali III – le persone "senza storia" e i corpi delle donne
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mario, sono contenta che tu abbia condiviso il post (salutami con grande affetto la tua compagna). mi sorprende sempre vedere quanto le cose che penso diventino espressione di un sentire condiviso.
se ti interessa c’e’ anche la terza parte.
Terza parte citata, grazie!