MESSAGGIO DI FINE ANNO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO
Riveduto e corretto da Mario Badino, cittadino italiano a letto con l’influenza
Roma, 31 dicembre 2008/Aosta, 2 gennaio 2009
Ho immaginato che il discorso del
Presidente fosse un colloquio. Le frasi in rosso sono le mie
intromissioni. Alle mie repliche non ho voluto aggiungerne di
uteriori da parte sua, perché non sarebbe stata farina del suo sacco.
A chi dicesse che in questo modo non concedo a Giorgio Napolitano
possibilità di replica, ricordo che il Presidente è libero d’integrare
quanto segue con un commento, oppure scrivendo un’e-mail a
info.blog@libero.it.
La parola al Presidente:
Questa vigilia del nuovo anno è dominata, nell’animo di ciascuno di
noi, dallo sgomento per le notizie e le immagini che ci giungono dal
cuore del Medio Oriente. Si è riaccesa in quella terra una tragica
spirale di violenza e di guerra. Una spirale che va fermata. Lo
chiedono l’Italia, l’Unione Europea, le Nazioni Unite, il Pontefice:
sentiamo oggi, mentre vi parlo, che questo è il nostro primo dovere,
riaprire la strada della pace in una regione tormentata da così lungo
tempo.
Caro Presidente, naturalmente sono d’accordo con lei, le contesto solo l’uso della forma impersonale: «Si
è riaccesa», lei dice, «una tragica spirale di violenza». Certo, ma chi
l’ha riaccesa? E perché il nostro Paese, l’Unione Europea, le Nazioni
Unite e certo anche il Pontefice sembrano dare per l’ennesima volta
credito maggiore a una delle parti in lotta? E se «il nostro primo
dovere» è «riaprire la strada della pace in una regione tormentata da
così lungo tempo» come intendiamo farlo? Come evitare che le nostre
parole siano soltanto aria fritta e che la pax israeliana continui a comportare l’assedio e la fame per un milione e
mezzo di persone?
Parto di qui per rivolgere il mio tradizionale messaggio di auguri a
voi tutti, italiani di ogni generazione e di ogni condizione sociale,
residenti nel nostro paese e all’estero – ai servitori dello Stato, ai
civili ed ai religiosi operanti per il bene della comunità, alle forze
dell’ordine e alle Forze Armate, e con speciale calore e riconoscenza
ai nostri militari impegnati in missioni difficili e rischiose per
garantire la pace e sradicare il terrorismo nelle regioni più critiche.
Auguri anche a lei, Presidente. Io, in
particolare, spero che mi passi in fretta quest’influenza che mi
trattiene a letto. Ma tanto sono un insegnante, perciò sono in vacanza
fino al 7 e allora, anche se resto chiuso in casa a pensare che il
governo vuole inviare 500 uomini di rinforzo in Aghanistan… Ma questi
«militari impegnati in missioni difficili e rischiose per garantire la
pace e stradicare il terrorismo nelle regioni più critiche» lo sanno o
non lo sanno di non essere bene accetti dalla popolazione locale? Lo
sanno o non lo sanno di far parte di una catena di comando che ha il
suo vertice a Washington (lo so che secondo la Costituzione sarebbe lei
il capo delle forze armate italiane, ma tant’è) e di essere inseriti in
una politica estera – quella della guerra preventiva e permanente – che
non ha nulla a che vedere con lo sradicamento del terrorismo e che, di
fatto, impedisce la pace? Ma sanno almeno, i nostri militari in
Afghanistan, che presto sarà chiesto loro (se non è stato già
fatto) di portare a termine vere missioni di guerra, facendo fuoco sul
«nemico»?
Nel rivolgervi questo augurio, non ignoro la forte preoccupazione che
ci accomuna nel guardare all’anno che sta per iniziare. Un anno che si
preannuncia più difficile, e che ci impegna a prove più ardue, rispetto
alle esperienze vissute da molto tempo a questa parte.
Nel corso del 2008 è scoppiata negli Stati Uniti d’America una
sconvolgente crisi finanziaria, che ha investito molti altri paesi,
anche in Europa, e che sta colpendo l’intera economia mondiale.
Dobbiamo guardare in faccia ai pericoli cui è esposta la società
italiana, senza sottovalutarne la gravità: ma senza lasciarcene
impaurire. L’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa. Vorrei in
sostanza parlare questa sera con voi il linguaggio della verità, che
non induce al pessimismo ma sollecita a reagire con coraggio e
lungimiranza.
Attenzione, Presidente, non s’ingarbugli con
frasi come che «l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa», che
poi finisce col predicare l’insano ottimismo berlusconiano. La crisi
c’è, si vede, non me la prenda sottogamba. C’è già chi ha perso il
posto di lavoro perché le aziende hanno facoltà di vita e di morte sui
lavoratori: la legge s’incarichi di porre limiti alla libertà di
licenziare delle aziende.
E poi, che cos’è la crisi? Il fallimento di una banca, di un’impresa?
Intervenga pure lo Stato, se è il caso, ma non lo faccia per niente: si
tenga poi la banca, l’impresa. Pretenda, quanto meno, di avere voce in
capitolo su come viene gestita! Lei non è stufo, Presidente, di veder
staccare assegni in bianco per rattoppare i bilanci di qualche
capitalista amico (amico di chi, poi? mio no di sicuro). Cosa ne pensa,
dica, della svendita di Alitalia?
Sono convinto che possiamo limitare le conseguenze economiche e
sociali della crisi mondiale per l’Italia, e creare anzi le premesse di
un migliore futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più
vive energie di cui disponiamo. A condizione che non esitiamo ad
affrontare decisamente le debolezze del nostro sistema, le
insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo.
Facciamo della crisi un’occasione per liberarcene, guardando
innanzitutto all’assetto delle nostre istituzioni, al modo di essere
della pubblica amministrazione, al modo di operare dell’amministrazione
della giustizia.
Sì, possiamo davvero «creare le premesse di un
migliore futuro». Investiamo nella decrescita economica, nel risparmio
energetico, nelle fonti d’energia alternative agli idrocarburi (ma
restiamo lontani dal nucelare come dalla peste, mi raccomando, che
altrimenti le scorie dove le mettiamo?). Investiamo in modelli
culturali e sociali, prima ancora che economici, capaci di farci uscire
da un sistema fondato sull’egoismo e l’accumulo. Questo dobbiamo fare,
mentre gli inviti di chi comanda sono a riprendere i consumi, come se
potessimo permettercelo, tanto economicamente quanto in termini di
sostenibilità… E poi, sia onesto: che cosa c’entra la crisi con il
pallino, suo ma non soltanto suo, di riformare l’«assetto delle nostre
istutuzioni»? E se qualcosa bisogna riformare davvero, lo sa chi si
appresta a fare le riforme? Non trema, come Garante della Costituzione?
C’è ragione di essere seriamente preoccupati per l’occupazione,
per le condizioni di chi lavora e di chi cerca lavoro, e per le
famiglie più bisognose. E c’è da esserne preoccupati in special modo
guardando al Mezzogiorno, che non ha fatto i passi avanti necessari e
rischia di essere più di altre parti del paese colpito dalla crisi, se
non vi si dedica l’impegno che ho di recente sollecitato con forza.
L’occupazione in Italia è, da diversi anni, cresciuta. Ma ora è a
rischio. Mi sento perciò vicino ai lavoratori che temono per la sorte
delle loro aziende e che potranno tutt’al più contare sulla Cassa
Integrazione, così come ai giovani precari che vedono con allarme
avvicinarsi la scadenza dei loro contratti, temendo di restare privi di
ogni tutela. Parti sociali, governo e Parlamento dovranno farsi carico
di questa drammatica urgenza, con misure efficaci, ispirate a equità e
solidarietà.
Qui sono d’accordo, Presidente. Ma ho letto che anche il premier
Berlusconi ha molto apprezzato il suo discorso e quindi immagino che non se ne farà
niente. L’unico modo per offrire «tutela» a tutti i lavoratori,
compresi i «giovani precari» di cui parla, sarebbe uscire
dalla logica per cui la politica del Paese la fa Confindustria. Non si
possono tutelare i precari senza abolire il precariato! «Parti sociali,
governo e Parlamento» non potranno in nessun modo «farsi carico di
questa drammatica urgenza» e tanto meno «con misure efficaci, ispirate
a equità e solidarietà», almeno finché non smetteranno di essere
espressione della classe imprenditoriale e della sua ideologia.
Mi sento, egualmente, vicino alle famiglie, specie a quelle numerose, o
che comunque fanno affidamento su un solo reddito, sulle quali pesa la
difficoltà per le donne di trovare lavoro, e che non hanno abbastanza
per soddisfare bisogni fondamentali: e quelli che ne soffrono di più
sono i bambini.
Hanno fatto scalpore nei giorni scorsi le statistiche ufficiali sulla
povertà in Italia: ed è parola che esitiamo a pronunciare, è realtà non
semplice da definire e da misurare. Sono comunque troppe le persone e
le famiglie che stanno male, e bisogna evitare che l’anno prossimo
siano ancora di più o stiano ancora peggio.
Come già accennato qui sopra, Presidente, le
ricordo che da almeno 15 anni in Italia domina l’ideologia liberista
alla moda di Arcore. Lei pone le questioni giuste, mi sembra, ma non
suggerisce in che maniera affrontarle…
Dalla crisi deve, e può, uscire un’Italia più giusta. Facciamo della
crisi un’occasione per impegnarci a ridurre le sempre più acute
disparità che si sono determinate nei redditi e nelle condizioni di
vita; per riformare un sistema di protezione sociale squilibrato e
carente; per elevare, a favore dei figli delle famiglie più modeste, le
possibilità di istruzione fin dai primi anni e di ascesa nella scala
sociale.
Come
già accennato qui sopra, Presidente (repetita iuvant), le ricordo che da almeno 15 anni
in Italia domina l’ideologia liberista alla moda di Arcore. Lei pone le
questioni giuste, mi sembra, ma non suggerisce in che maniera
affrontarle…
Ci sono stati in questi mesi dibattito e confronto in Europa e in
Italia sui temi del clima e dell’energia, sui temi dell’innovazione
necessaria e possibile. Lo sforzo che in questo momento va compiuto per
sostenere le imprese – grandi, medie e piccole – che sono in difficoltà
pur essendosi mostrate capaci di ristrutturarsi e di competere, non può
essere separato dall’impegno a promuovere indirizzi nuovi per lo
sviluppo futuro dell’attività produttiva in Italia. Vanno in
particolare colte le opportunità offerte dalle tecnologie più avanzate
per l’energia e per l’ambiente. Facciamo della crisi l’occasione per
rinnovare la nostra economia, e insieme con essa anche stili di vita
diffusi, poco sensibili a valori di sobrietà e lungimiranza.
Ma lo ha visto, Presidente che cos’hanno fatto?
In sede europea hanno detto che il nostro sviluppo e il nostro Pil
vengono prima della salute del mondo e che loro proprio non se la
sentono di smettere d’inquinare… Hanno persino tolto gli incentivi
per chi usa tecnologie pulite!
Ho, nel corso di quest’anno, levato più volte la mia voce per
sollecitare attenzione verso le esigenze del sistema formativo, del
mondo della ricerca, e delle Università che ne rappresentano un
presidio fondamentale. E’ indispensabile, per il nostro futuro, un
forte impegno in questa direzione, operando le scelte di
razionalizzazione e di riforma che s’impongono sia per ottenere
risultati di qualità sia per impiegare in modo produttivo le risorse
pubbliche. A ciò deve tendere un confronto aperto e costruttivo, al
quale può venire un valido apporto anche dalle rappresentanze
studentesche, come ho avuto modo di constatare in diverse città
universitarie, da Roma a Milano a Padova. Facciamo della crisi
un’occasione perché l’Italia cresca come società basata sulla
conoscenza, sulla piena valorizzazione del nostro patrimonio culturale
e del nostro capitale umano.
Ma il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini, Presidente, ormai lo
sanno tutti! La cosiddetta riforma del ministro dell’economia…
pardon, dell’istruzione… serve solo a risparmiare sulla formazione e
sulla cultura, e a smantellare ciò che resta della scuola pubblica
italiana, a vantaggio delle private! Si è mai accorto, signor Garante
della Costituzione, che esiste un articolo della medesima che autorizza
le scuole private solo se non comportano oneri per lo Stato? S’è mai
accorto che questi oneri ci sono? E, per passare dalla scuola alla
«piena valorizzazione del nostro patrimonio culturale», ha visto che
vulcano d’idee quel Bondi, con il suo supermanager di alta scuola Mc Donald’s?
Spero di aver dato, almeno per qualche aspetto, il senso
dell’atteggiamento da tenere dinanzi alla pesante crisi che si farà
sentire anche in Italia nell’anno che ora inizia.
Non spetta a me indicare quali decisioni vadano prese in via
immediata. Il governo è intervenuto innanzitutto per porre il nostro
sistema bancario, che pure è apparso meno esposto, al riparo da rischi
gravi, e si sta confrontando con ulteriori esigenze di intervento, sul
versante economico e sul versante sociale. In seno al Parlamento – la
cui capacità di giudizio e di proposta resta fondamentale nel nostro
sistema democratico – tocca a ognuno fare la sua parte, in un clima di
reciproco ascolto e senza pregiudiziali chiusure.
I soldi dei cittadini alle banche. E in cambio?
L’ho già detto sopra, lo Stato dovrebbe tenere per sé quantomeno la
gestione delle banche beneficiate. Troppo facile, altrimenti: si fa
bancarotta, lo Stato rifonde e si riparte contenti! Ma i soldi dello
Stato sono i soldi dei contribuenti.
Quanto al fatto che «la capacità di giudizio e di proposta» del
Parlamento resti «fondamentale nel nostro sistema democratico», la
prego di non confondere gli auspici con la realtà. Purtroppo non
è più così, non è mai stato tanto poco «così» negli ultimi 15-20 anni.
Nel far fronte alla crisi, l’Italia non agisce da sola. Agisce come
parte di quella Europa unita che si conferma come non mai un punto di
riferimento essenziale: e siamo orgogliosi di avere concorso con
tenacia e coerenza a costruirla. Tuttavia, l’Italia è condizionata
nelle sue scelte dal peso dell’ingente debito pubblico accumulato nel
passato, e nessuno può dimenticarsene nell’affrontare qualsiasi
problema.
Dobbiamo considerare la crisi come grande prova e occasione per aprire
al paese nuove prospettive di sviluppo, ristabilendo trasparenza e
rigore nell’uso del danaro pubblico.
E comprendendo che uno «sviluppo» vero, finalmente corretto e sostenibile, non è quello del Pil, ma quello della decrescita!
E’ una grande prova e occasione non solo per l’Italia. La portata
della crisi è tale da richiedere imperiosamente il massimo sforzo di
concertazione tra i protagonisti dell’economia mondiale, per definire
nuove regole capaci di assicurare uno sviluppo sostenibile, ponendo
fine alla frenesia finanziaria che ha provocato stravolgimenti e
conseguenze così gravi. Il mondo in cui viviamo è uno, e come tale va
governato.
Per l’Italia, la prova più alta – in cui si riassumono tutte le altre
– è quella della nostra capacità di unire le forze, di ritrovare quel
senso di un comune destino e quello slancio di coesione nazionale che
in altri momenti cruciali della nostra storia abbiamo saputo esprimere.
Ci riuscimmo quando dovemmo fare i conti con la terribile eredità della
seconda guerra mondiale: potemmo così ricostruire il paese, far
rinascere la democrazia, stipulare concordemente quel patto
costituzionale che è ancora vivo e operante sessant’anni dopo, creare
le condizioni di quella lunga stagione di sviluppo economico e civile
che ha trasformato l’Italia. E ci riuscimmo ancora quando più tardi
sconfiggemmo il terrorismo.
Lasci perdere, Presidente, l’invito alla
«coesione nazionale». Ma davvero dal suo osservatorio privilegiato lei
non vede di che risma sono fatti i vari berlusconi della nostra
politica? Davvero non vede il grado di avvilimento delle Istituzioni,
certo legato alle caratteristiche di chi le rappresenta? Che cosa pensa
il popolo italiano dei propri rappresentanti in Parlamento? Che cosa
pensa del presidente del consiglio lo dicono i sondaggi, ma se è così,
se davvero ci siamo bevuti il cervello, non posso credere che nella sua
posizione e con la sua esperienza politica alle spalle sia caduto in
trappola anche lei. Ci faccia da padre: ci metta in guardia! Non perda
tempo a invocare «coesione» tra Veltroni e Berlusconi… Non vede che
abbiamo bisogno di altre persone? E di un’opposizione intransigente, di
fronte a certi tentativi di cambiare in peggio le regole dello Stato?
Dobbiamo riuscirci anche ora, a partire dall’anno carico di incognite
che ci attende. Ed è una prova non solo per le forze politiche, anche
se è essenziale che queste escano da una logica di scontro sempre più
sterile. Esse possono guadagnare fiducia solo mostrandosi aperte
all’esigenza di un impegno comune, ed esprimendo un nuovo costume,
ispirato davvero e solo all’interesse pubblico. E’ una crisi senza
precedenti come quella attuale che chiama ormai a un serio sforzo di
corresponsabilità tra maggioranza e opposizione in Parlamento, per
giungere alle riforme che già sono all’ordine del giorno e che vanno
condivise.
Ancora una volta le ricordo, signor Presidente,
chi governa in Italia. E le chiedo, con una certa apprensione, se lo
«sforzo di corresponsabilità tra maggioranza e opposizione» da lei
auspicato non rischi di trasformarsi in uno sforzo di correità.
Tutto ciò è importante e tuttavia non basta. Sono chiamate alla prova
tutte le componenti della nostra società, l’insieme dei cittadini che
ne animano il movimento, in una parola l’intera collettività nazionale.
Questo è lecito attendersi dalle generazioni che oggi ne costituiscono
la spina dorsale: un’autentica reazione vitale come negli anni più
critici per il paese.
Presidente, gliel’ho detto: ho l’influenza. Però
mi sto attrezzando. Vede? Non smetto di scrivere neppure da malato.
Poi, quando mi passa, vedrò d’intensificare!
Lo spirito del mio messaggio – italiane e italiani – corrisponde alla
missione che i padri della Costituzione vollero affidare al Presidente
della Repubblica : unire gli italiani, tenendosi fuori dalla
competizione tra le opposte parti politiche, rappresentando, col
massimo scrupolo d’imparzialità e indipendenza, i valori in cui possono
riconoscersi tutti i cittadini. I valori costituzionali, nella loro
essenza ideale e morale. Il valore, sopra ogni altro, dell’unità
nazionale. I valori della libertà, dell’uguaglianza di diritti, della
solidarietà in tutte le necessarie forme ed espressioni, del rispetto
dei ruoli e delle garanzie che regolano la vita delle istituzioni.
Sento che questo è il mio dovere, questa è la mia responsabilità. E vi
ringrazio per le manifestazioni di simpatia e di fiducia, per gli
schietti e significativi messaggi che mi giungono da tanti di voi: mi
confortano e mi spronano.
Ma se è suo dovere stare al di sopra delle
parti, non può per questo, Presidente, non accorgersi che una delle due
parti si pone spesso – pubblicamente – al di fuori della legalità
costituzionale e di quei valori cui lei richiama. E non può non capire
che, se esiste, nel Paese, una certa convergenza tra le forze
politiche, è solo per l’appiattimento recente del panorama
parlamentare, con il suicidio di quella parte politica che fu sua (dico
genericamente la sinistra) e la gran voglia veltroniana di "fare
assieme" le riforme. Mi dica, però, in coscienza: davvero lei ritiene
gli attuali schieramenti soggetti degni di rappresentare i cittadini?
A voi che mi ascoltate, a tutti gli italiani, a tutti coloro che
venendo da lontano operano in Italia nel rispetto delle regole e
meritano il pieno rispetto dei loro diritti, un augurio più che mai
caloroso e forte per l’anno che nasce. Per difficile che possa essere,
lo vivremo con animo solidale, fermo, fiducioso.
Speriamo bene, Presidente. Ricambio i suoi auguri per un buon 2009 di lotta.
(Ho sbagliato qualcosa?)
Condivido pienamente, caro collega le tue risposte al mammalucco mosso dagli “invisibili fili”…
Quel “coso” a cui (perché di un “coso” si tratta) ti rivolgi vegeta in un contesto lontano secoli-luce da quello in cui viviamo.
I nostri interlocutori politici sono ormai scomparsi dalla faccia di questa martoriata italica terra…
Ottimismo caro collega, ve ne è veramente bisogno.
Mi sembra che il punto sia proprio il vivere («vegetare», se preferisci) «in un contesto lontano secoli-luce da quello in cui viviamo». Quello che non capisco è perché! Perché il Presidente della Repubblica vuole fare a tutti i costi il riformista, ad esempio. Se l’essere «lontano secoli-luce», ecc. ecc. fosse una questione anagrafica, ad esempio, Napolitano tenderebbe a difendere l’esistente, a conservare la forma istituzionale che i padri costituenti hanno dato alla Repubblica. E invece Napolitano vuole le riforme, le sente indispensabili, è stato permeato da una logica di cambiamento che secondo me non sta tanto bene nella persona del Garante della Costituzione. Va bene l’imparzialità del Presidente, ma volere le riforme al punto da farle fare a QUESTO parlamento mi sembra un po’ eccessivo. Quindi, probabilmente, abbiamo semplicemente perso, come dici, «i nostri interlocutori politici» e forse siamo noi quelli un po’ strani… Per cui, se è l’ottimismo che ci vuole, proviamo a (sor)riderci sopra. Magari sarà satira…