Il referendum di Vicenza e i «Tornado» italiani in Afghanistan

 

 4 cacciabombardieri
italiani «Tornado» partiranno dalla base di Ghedi (Brescia) diretti in Afghanistan.
La notizia proviene dall’Aeronautica, quindi è ufficiale. I «Tornado»
sono armi d’attacco. Il ministro della Difesa sostiene che i caccia
italiani saranno impiegati soltanto «per osservare». Osservare che
cosa? Il «nemico» o gli ordini? E gli ordini di chi? Perché non guasta
ricordare che dall’agosto del 2003 il comando della «missione internazionale di pace» in Afghanistan, con mandato Onu, è stato assunto dalla Nato con
un vero e proprio colpo di mano, che il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite ha dovuto ratificare a cose fatte. Se gli ordini sono
quelli della Nato, ai vertici della quale c’è sempre un generale
americano, si può affermare che i nostri «Tornado» agiranno su indicazione di Washington che,
ormai
da anni, cerca di ottenere dagli alleati un ruolo «più attivo», che
includa la possibilità di combattere. E il tipo di combattimento che va
per la maggiore oggi in Afghanistan consiste nel bombardamento degli obiettivi sospetti (ufficiali italiani sono da tempo impiegati nella localizzazione dei bersagli).
 
 Nella base italiana di Ghedi (italiana italiana, non americana in Italia) sono depositate 40 testate atomiche (altre 50 ad Aviano), in aperta violazione del Trattato di non proliferazione,
con il quale l’Italia s’impegna, fra l’altro, a non ospitare sul
proprio suolo armi nucleari. I «Tornado» che raggiungeranno
l’Afghanistan possono essere armati con testate nucleari. Naturalmente
in questo caso non lo saranno. Però la possibilità induce a una
riflessione sulla pericolosità dell’arsenale nucleare Usa in Italia che
, rilevano Tommaso di Francesco e Manlio Dinucci sul manifesto del 30 settembre,
«consiste nel fatto che il nostro paese viene ad essere agganciato alla
strategia nucleare statunitense». Una strategia che non sembra
disdegnare l’ipotesi di perfezionare l’arma atomica per poterla
utilizzare realmente in caso di guerra.
 
 Anche
per questo si rende necessario rifiutare la logica della sudditanza militare. L’Italia, per la propria posizione strategica
nel centro del Mediterraneo, è necessaria, dal punto di vista
logistico, alla macchina da guerra americana. Quanti credono nella
possibilità di un sistema diverso da quello della guerra permanente
hanno il dovere di sabotarne gli ingranaggi: è importante battersi
perché i soldi delle nostre tasse non siano utilizzati per l’esercito e gli armamenti, così come è importante che la volontà dei cittadini di un territorio prevalga sugli accordi tra Stati, anche a proposito dell’installazione di una nuova base.
Il caso di Vicenza è esemplare, ma non è l’unico visto che, tanto per fare un esempio, gli Usa vogliono anche il raddoppio di Sigonella.
 
 Domenica prossima, 5 ottobre, la cittadinanza di Vicenza sarà chiamata a esprimersi, con un referendum, per dire ciò che pen
sa a proposito della base. Per dire no, bisogna votare «Sì»,
perché il quesito chiede se si desidera che il Comune acquisti l’area
per destinarla ad altro uso. Il Presidente del Coniglio ha invitato il
sindaco di Vicenza, Achille Variati, a revocare la consutazione
perché ha paura del responso delle urne. A proposito, ho scritto
Coniglio al posto di Consiglio, che sbadato! Dal Presidio permanente, invece, invitano lo zio Sam a rassegnarsi,
perché Vicenza, lei, non si rassegna e la base non si farà. Un buon
voto, domenica, alle donne e agli uomini di Vicenza, e a tutt* l’invito
ad accompagnarli nella loro lotta.
 
 Siamo tutti vicentini
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