Costruire un tessuto di resistenza democratica – incontro con Luigi De Magistris

 Luigi De Magistris all'espace populaireÈ venuto a portare un messaggio di speranza il magistrato Luigi De Magistris, lunedì sera all’espace populaire di Aosta. Una speranza che deriva dalla mobilitazione dei cittadini della Calabria, dalla qualità degli interventi in occasione degli incontri in giro per l’Italia, i migliori dei quali sono avvenuti nelle realtà più degradate. È la speranza di costruire un tessuto di resistenza democratica, di vigilanza, perché la Costituzione repubblicana è a rischio, soprattutto per quanto riguarda la libertà d’informazione (garantita dall’articolo 21) e l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Se questi diritti fossero toccati il Paese potrebbe cadere in una situazione senza uscita. Solo attraverso la conoscenza e la cultura sarà possibile invece cambiarlo in meglio. Oggi esiste un atteggiamento aggressivo del potere nei confronti di «una certa informazione» e «una certa magistratura», ma il problema è che bisogna parlare di «una certa» componente dell’informazione e della magistratura, perché c’è un’altra parte che è allineata. Ogni magistrato dovrebbe tenere d’occhio, con molta umiltà, l’articolo 3 della Costituzione, che dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. La legge e il suo rigore devono essere gli stessi per tutti.
 
 De Magistris parla di come la criminalità è evoluta nel corso degli ultimi anni. Tra il ’92 e il ’93, con Tangentopoli, si è avuta un’occasione storica per farla finita con il sistema della corruzione. L’occasione è stata mancata, tanto che oggi la situazione è peggiore di prima, perché ora il sistema di pagamento di illeciti è cambiato e non si fonda più sui contanti, ma sulle partecipazioni, sull’offerta di lavoro. È nata in questo modo una vera e propria emergenza democratica, perché questo tipo di corruzione favorisce il controllo del voto. Negli ultimi anni, la criminalità organizzata ha abbandonato la strategia dinamitarda, ciò che deriva da un rafforzamento delle mafie, che non hanno più bisogno del «colpo militare», perché si sentono sicure: la criminalità organizzata è penetrata nelle istituzioni. Parte della magistratura, dal canto suo, si è avvicinata al sistema, al potere. È un quadro a tinte fosche, ma ci sono alcuni elementi positivi, ad esempio una consapevolezza più diffusa di una volta tanto circa il problema, quanto al riguardo dei diritti del cittadino. Questa conoscenza produrrà un cambiamento forte, che in gran parte verrà dal basso.
 
 
La maggior parte della serata si risolve in un dibattito, con domande e risposte e un De Magistris contento di essere lui, per una volta, l’«interrogato». C’è chi parte proprio dal grado maggiore di consapevolezza della popolazione per un’analisi sconfortante, citando ad esempio il conflitto d’interessi del Presidente del Consiglio. Tutti lo conoscono, come tutti sono a conoscenza delle varie macchie dei politici, eppure nulla cambia: l’illegalità è forse diventata normale? Come si può ricostruire una cultura della legalità, dell’indignazione? Il magistrato ricorda che, anche quando le persone sanno, c’è sempre qualcos’altro da conoscere. Se fosse passato il disegno di legge di Mastella, ad esempio, avremmo saputo qualcosa sull’ex governatore della Banca d’Italia soltanto tra 7-8 anni. Oggi c’è chi cerca di impedire che le persone si facciano un’idea precisa della situazione. Per non permettere ciò bisogna continuare a lavorare, a fare la propria parte. Importante è ad esempio il ruolo delle cooperative, come il Consorzio Goel, nella Locride. Un impegno che si scontra continuamente con i poteri forti, con i poteri occulti. De Magistris racconta la vicenda di Monsignor Bregantini, trasferito dalla Locride a Campobasso perché scomodo, perché dava lavoro a tutti, anche ai parenti dei mafiosi, favorendo la loro emancipazione e il loro reinserimento nella legalità. Negli ultimi due o tre anni, Bregantini aveva parlato pubblicamente della massoneria e dei rapporti di questa con la politica e con la criminalità organizzata. Il trasferimento di Bregantini, come quello disposto contro lo stesso De Magistris, sono segnali devastanti da parte delle istituzioni, perché non tengono in minima parte la mobilitazione dei cittadini, la loro solidarietà verso le vittime del provvedimento.
 
 
Secondo De Magistris, la decadenza in Italia è iniziata nei primi anni ’80, con la nascita della televisione commerciale, un media capace di invadere le famiglie e condizionare il modo di pensare dei cittadini. Occorrono spazi di libertà nell’informazione, ad esempio internet. La società civile può fare democrazia partecipativa, discutere dal basso, riprendere un dibattito e sperare di cambiare la politica, anche quando si è tacciati di giustizialismo solo perché si parla di giustizia: si tratta di uscite mediatiche che lasciano il tempo che trovano.
 
 Per quanto riguarda la passione dei media per la cronaca nera e la microcriminalità (quella più grande non sembra angosciare il Belpaese), De Magistris ricorda l’esigenza che la magistratura dia una risposta uguale per tutti, anche per quella microcriminalità che alla fine tanto micro non è. Serve maggior prevenzione, un maggiore controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine, una risposta della magistratura che sia rapida ed efficiente. Serve la certezza della pena. Ma non bisogna abbassare la guardia di fronte alla grande criminalità. Il potere politico vorrebbe una magistratura rigorosa e magari autoritaria nel reprimere alcuni reati, ma non altrettanto severa nei confronti della corruzione, della criminalità organizzata, ecc. Bisogna invece rifarsi alla legge e avere la stessa capacità operativa sempre. De Magistris invita a fare attenzione alla tendenza in atto a criminalizzare gli immigrati: si tratta di un messaggio preoccupante dell’informazione, per quanto un certo numero d’immigrati sarà ovviamente coinvolto in alcuni reati, come ad esempio il traffico di droga. I criminali, tuttavia, sono criminali indipendentemente dalla loro nazionalità. Inoltre, affrontare il problema dell’immigrazione fissando tetti massimi è illusorio: bisogna invece agire a monte.
 
 De Magistris, che è napoletano, considera quello della «monnezza» campana uno degli scandali più grandi d’Italia, che ci mette in condizioni da Terzo Mondo (ma in realtà queste cose in Africa non succedono). Eppure, l’emergenza è già scomparsa dall’informazione e tra poco sarà estate. Perché il problema non è stato affrontato, nonostante la Campania sia stata governata per anni dalla stessa amministrazione? Ciò che veramente preoccupa il magistrato è il livello di assuefazione della gente, capace di entrare a mangiare in ristoranti vicino ai quali s’innalzano cumuli di spazzatura. Se ci si comincia ad abituare a una cosa di questo tipo poi che cosa si fa? Non ci sono prospettive.
 
 Di fronte al conformismo imperante, di fronte al «così fan tutti», De Magistris richiama il concetto della dignità individuale. La situazione comunque è grave e in Italia non esistono isole felici: alcune regioni lo sembrano, senza per questo esserlo davvero. Anche nel centro e nel nord certi meccanismi sono gli stessi che esistono in Calabria, la differenza è che la criminalità organizzata, al sud, è militarizzata. Un anno fa in Calabria è stato ucciso un presunto mafioso che viaggiava su un’auto blindata. Per l’attentato è stato utilizzato un bazooka e l’auto è rimasta praticamente disintegrata. La stampa ha dato pochissimo o nessun risalto alla notizia.
 
 
Alla domanda di rito sul parere del magistrato sul provvedimento dell’indulto, De Magistris si esprime negativamente per come si è proceduto. Era necessario avviare un processo complessivo di riforma a seguito del quale un indulto poteva avere un senso. Invece si è cominciato dal fondo, senza provvedere ai passaggi preliminari, con il solo risultato di salvare determinate categorie di colpevoli e di non risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Riformare il sistema implica anche la necessità d’intervenire nella giustizia quotidiana, quella delle piccole cose, che in Italia funziona male. Questo, in parte, perché i mezzi (e a volte gli uomini) non sono sufficienti, ma soprattutto a causa di alcune leggi che hanno reso sempre più difficile fare i processi, in particolare quelli penali. Serve una riforma legislativa, anche per quanto riguarda la pratica quotidiana del giudice, perché la giustizia non è fatta soltanto dei massimi sistemi. Un’emergenza italiana è oggi la lunghezza dei processi, molti dei quali cadono in prescrizione. Secondo De Magistris è giusto mantenere un tempo massimo entro il quale un reato possa essere punito, ma non è accettabile che (ad esempio) l’80% dei reati contravvenzionali (come quelli edilizi) non sia perseguibile a causa della scadenza dei tempi. Una soluzione possibile sarebbe quella d’interrompere il meccanismo della prescrizione quando ormai c’è stato l’accertamento del reato, per evitare che il colpevole sfugga la punizione per qualche ragione “tecnica”, relativa a lungaggini procedurali.
 
 C’è anche chi pone un problema di coscienza. Quando si partecipa a gare d’appalto è sufficiente evitare di fare i cartelli, di fare o chiedere favori, oppure per essere nel giusto è necessario denunciare chi si comporta contro la legge? Dove finisce la responsabilità del cittadino? La risposta del magistrato è obbligata: occorre denunciare, ma lo Stato deve saper offrire adeguate garanzie di tutela, per evitare che chi denuncia venga isolato. Quando poi si tratta di fatti molto seri, occorre mettere in guardia il cittadino dai pericoli che il suo gesto comporta, spiegare fino a che punto le istituzioni sono in grado di proteggerlo. Fino a 4 o 5 mesi fa i cittadini avevano dimostrato un coraggio crescente. Ultimamente ci sono stati alcuni episodi d’intimidazione. Bisogna ricordare che a volte è più pericoloso restare in silenzio, se si è già stati catalogati come persone oneste che potrebbero parlare da un momento all’altro. Infine, affidarsi allo Stato come persone fisiche è più pericoloso che farlo attraverso quelle associazioni che aiutano le potenziali vittime.

 De Magistris conclude invitando a non aver paura del conflitto sociale, il quale, se pacifico, è essenziale per la vita democratica di qualunque Paese. La violenza va evitata, anche perché può comportare la repressione, da parte del potere, anche di altre istanze di dissenso, magari del tutto pacifiche. Oggi il potere tende a reprimere il libero pensiero.

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