Ricordando i caduti della guerra

 Il monumento ai caduti nella piazza principale di AostaIeri era il primo novembre e mi dispiace di aver mancato l’appuntamento con il giorno in cui si ricordano i caduti di tutte le guerre. È il tempo della memoria, che dovrebbe indurre noi fortunati abitatori d’Occidente a riflettere sul nostro presente fatato, derivante dal fatto che conosciamo la pace da circa un sessantennio. Poiché, salvo poche incursioni nel nostro territorio (i crolli dell’11 settembre, le bombe dell’11 marzo a Madrid e, al limite, il terrore di piccoli gruppi diluito nel tempo), la guerra si tiene lontana dalle nostre case. È un bene che ciò avvenga, naturalmente, anche perché non la sopporteremmo: non siamo più abituati. Della guerra noi non riusciremmo a concepire non dico i bombardamenti, ma i semplici disagi: il fatto che una lettera possa essere spedita e non arrivare a destinazione, che un treno parta soltanto quando può e giunga solo se ci riesce. Altri sono i Paesi, altri i popoli che hanno imparato a convivere con le difficoltà dei mondi senza pace.
 Forse per questo, nell’illusoria speranza di perpetuare all’infinito la nostra tregua, siamo così impegnati a promuovere altrove il conflitto: si vis pacem para bellum, dicevano i romani. Se vuoi la pace prepara la guerra. Ma, grazie alla nostra opera, le conseguenze della guerra si stanno facendo avanti, spingendosi fino a noi, fino alle nostre terre. Gli americani per primi stanno pagando con 3845 vittime proprie (e chissà quante altrui) la politica estera del loro Presidente e Comandante in Capo e anche per l’Italia c’è stata Nassiriya. Per non parlare del dramma dei rapiti, dove non sempre si giunge al lieto fine, talvolta anche a causa del cosiddetto «fuoco amico».
 Sono elementi di pace le servitù militari, i trattati, che ci legano mani e piedi all’«amico», indipendentemente da ciò che costui combina? Come dobbiamo considerare le incursioni che l’altrui politica, o l’altrui forza militare producono nel nostro quotidiano? Penso alla tragedia del Cermis, o all’aereo statunitense partito dalla base di Aviano e recentemente precipitato a Soramaè, nella val di Zoldo (Belluno), dove si è dispersa l’idrazina, liquido estremamente tossico e inquinante. In tutti questi casi parlare di fatalità sarebbe con ogni evidenza una mistificazione.
 
E poi, sempre più presente, è l’incubo delle guerre per la sopravvivenza, man mano che i cambiamenti climatici vanno facendosi più evidenti. Dopo il petrolio, ci saranno le guerre per l’acqua, ancora più disperate. E torna a fare capolino da dietro le macerie della cortina di ferro lo spettro di un conflitto nucleare, che si profila all’orizzonte, sdoganato dal tentativo criminale di rendere meno devastanti (e quindi più realisticamente utilizzabili) le armi atomiche. In molti si attendono un attacco prossimo all’Iran e non è detto che si debba escludere in partenza l’opzione nucleare.
 
Uno dei cannoni sotto il Monumento al Marinaio, a BrindisiMa noi viviamo in pace. Come giudicare, dunque, l’aumento senza fine delle spese militari? L’acquisto preventivato di centinaia di nuovi bombardieri da parte di un Paese, l’Italia che, lo dice la Costituzione, «ripudia la guerra», accettandola solo come strumento di difesa? O dovremo cambiare nome al dicastero di Parisi e proporre un meno ipocrita «Ministero della Guerra»? O, quanto meno, «Ministero delle Forze armate»? (Seguirà una petizione on line in proposito.)
 
In questo contesto fa eccezione e va doppiamente lodato l’impegno dell’Italia in sede Onu nel proporre una moratoria internazionale della pena di morte. Forse l’impegno contro la guerra dovrebbe essere impegno contro la morte tout court, se è vero che gli episodi d’intolleranza e violenza si moltiplicano nelle nostre pacifiche città, criminalmente alimentati da provvedimenti assurdi e toni incendiari. Da un lato si rifiuta di applicare la legge, di garantire la certezza della pena, ad esempio snellendo i tempi della giurisprudenza; dall’altro lato, invece, si ricorre all’arma del decreto legge, lucrando su tutto, anche sull’omicidio di una donna, commesso per strada, nella capitale d’Italia, da un ragazzo poco più che ventenne. Così si sottolinea la nazionalità dell’assassino, quasi che l’essere straniero (peggio: rumeno) fosse garanzia di qualche tara genetica. E si prepara nuovo combustibile per l’incendio che verrà, giacché l’immigrazione causa per forza di cose qualche problema, ma l’entità del danno dipende dal tipo di accoglienza che si è in grado di garantire agli ultimi arrivati. O forse qualcuno s’illude di poter arrestare i flussi migratori? Quand’anche fosse corretto, o utile, sarebbe comunque impossibile e qualsiasi politica nazionalista rischia di rivelarsi molto dannosa per la pace sociale. Come dimostrano, fra l’altro, gli allegri mattacchioni in camicia nera che hanno ripreso a far danni nelle nostre città.
 
Maternità, Lara CavagninoDovremmo impegnarci contro la morte. Non accettare, ad esempio, che un normale
cittadino
, in metropolitana, aggredisca una passeggera (straniera) senza che
nessuno ritenga di dover intervenire
, com’è successo recentemente a
Barcellona. O che
la faccia franca un sedicente artista, il signor Guillermo Habacuc Vargas, che per un’esposizione ha preso un cane dalla strada e lo ha “esposto” , legato a una corda, impedendogli di alimentarsi, all’interno di una stanza le cui mura erano ricoperte di scritte realizzate utilizzando croccantini. Il povero animale è deceduto poco dopo l’inizio della mostra, senza che nessuno intervenisse. Molte fotografie, a quanto pare, mostrano il pubblico intento a guardare la mostra, con in mano free drink e stuzzichini, senza preoccuparsi della vita del cane. (Firma la petizione per impedirgli di partecipare alla Biennale centroamericana Honduras 2008.)
 E che dire, infine, saltando solo apparentemente di palo in frasca, del consueto stillicidio di vittime sacrificali, sulle nostre strade come nei nostri cantieri, in ragione del medesimo movente per cui si fan le guerre – i soldi?
 Vorrei che la ricorrenza appena passata ci facesse riflettere su tutto questo.


 La stampa della "Maternità" è opera di Lara Cavagnino.

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