Un Paese allo sbando

Ho saputo che in un ospedale di Roma i parenti di una paziente hanno dovuto cercare da soli un donatore perché l’ospedale non aveva riserve di sangue disponibili.

Sembra impossibile perché ci ostiniamo a considerarci “primo mondo” e poi perché la salute è un argomento considerato unanimemente serio.

Tuttavia, il fatto riportato è l’equivalente, in termini di cattiva sanità, delle decine e decine di esempi, nel campo dell’istruzione, di scuole senza risorse, con genitori costretti a imbiancare le aule dei figli a proprie spese, alunni che devono portarsi la carta igienica da casa, per non parlare di casi più gravi, come i rivestimenti in amianto che ancora sopravvivono in certe istituzioni scolastiche, in cattivo stato di conservazione.

Ad alcuni sembrerà qualunquismo il cavarsela con un paio di esempi, anche se si potrebbe facilmente continuare l’elenco con le emergenze rifiuti che compaiono e scompaiono dai media senza che si risolva mai nulla, oppure con le emissioni di molte italiche fabbriche, che non rispettano neppure i limiti di sostanze inquinanti previsti dalla legge.

Qualunquismo, dunque.

Eppure lo scopo di questo articolo non è la denuncia. Lo scopo di chi scrive è denunciare la mancata reazione alle denunce. Quanto sopra esposto – o fatti dello stesso genere – non è soltanto sotto gli occhi di tutti, ma viene puntualmente denunciato al grande pubblico (ai cittadini?) dalle poche trasmissioni televisive d’inchiesta giornalistica sopravvissute al trionfo dell’intrattenimento obbligatorio obnubilante. Puntualmente, dopo la “denuncia”, si scatena un fiume di polemiche senza che, in realtà, nulla cambi.

Questo è il male profondo del Paese, ridotto a un coacervo di interessi di parte (politici, economici, altri), a causa del quale qualsiasi esperienza politica istituzionale è destinata a perdersi e tutti, maggioranze e opposizioni, sono visti come una casta di persone fatte allo stesso modo.

Qualche giorno fa ho espresso il mio fastidio per le celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Non mi si prenda per secessionista. Io sono italiano e non ci vedo niente di male, anche se considero il nazionalismo una buffonata e non vedo perché dovrei rallegrarmi di non essere francese o ugandese (se non perché, nel secondo caso, nascere in Italia è ancora preferibile dal punto di vista della qualità della vita: stiamo parlando di «Amor di Patria», dunque, o di semplice egoismo? non si basa su questo sentimento la «Ragion di Stato»?).

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Tratto dal blog Femminismo a Sud e pubblicato con licenza Creative Commons 2.5.

No fly zone contro la militarizzazione dei territori

Pensiero: l’Italia va in guerra. L’ennesima. No. In realtà stavolta in guerra ci va la Sicilia con tutte le tremila basi Nato disponibili a servire e riverire l’alleanza perché si realizzi un altro Kosovo. Tutto ciò mentre gli sguardi invasati dei rinnovati nazionalisti italici sono tutti un fremito di unità e sentono la spinta umanitaria a prendere il controllo delle riserve di energia di mezza europa.

A farla definitivamente oscena questa cosa c’è la sceneggiata di alcuni lampedusani che respingono quelli che fuggono dai conflitti obbedendo a una regia che per raccattare consenso fa il verso ai leghisti e che invece che fare la differenza e trovare alleanze con le altre forme di oppressione rivendica la militarizzazione dell’isola a difesa dai terribili invasori nordafricani.

Non so se è vero quello che dice gheddafi a proposito della terribile vendetta che colpirà i paesi occidentali coinvolti nell’attacco alla sua persona. Se ricordo il missile che per un pelo scansò lampedusa direi che fa sul serio.

Vorrò vedere allora i lampedusani a festeggiare l’efficienza di questa nazione così unita contro le disgrazie altrui. E se è vero che in sicilia vogliono fare una delle basi nucleari, il governo che manda giù i militari ad aiutare questi isolani razzisti si porta avanti con il lavoro. I miei più sentiti complimenti.

A proposito: com’è che quando israele massacra i palestinesi non si parla mai di no fly zone?

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Pubblicato il da mariobadino | Commenti disabilitati su La Sicilia che va in guerra [da Femminismo a Sud]

La colonia libica e la No-Fly Zone

L’Italia non ha mai abbandonato del tutto il proprio ruolo di Paese colonizzatore della Libia.

All’occupazione e al dominio veri e propri, finiti con l’avanzata degli Alleati durante la seconda guerra mondiale, ha sostituito negli anni rapporti altalenanti con il regime di Gheddafi, culminati nel patto Italia-Libia firmato una manciata di mesi fa dal governo Berlusconi, quando il dittatore libico era un «amico» cui baciare la mano e procurare un bel contorno di ragazze, tramite agenzia, la ricetta di molti nell’Italia che compie 150 anni per ingentilire (e vendere) un prodotto o un’immagine.

Dei buoni rapporti tra Roma e Tripoli si sono avvantaggiate le aziende italiane, che nello Stato africano hanno trovato appalti per un’ipotetica autostrada costiera e soprattutto riserve di petrolio da sfruttare.

Ora che, bombardando il proprio popolo, il dittatore libico si è attirato lo sdegno del mondo, il suo “omologo” italiano ha prontamente deciso di abbandonare l’amico di ieri e di accettare l’intervento militare per fermare la repressione gheddafiana nei confronti dei nemici del regime.

Premessa inutile ma non si sa mai: vorrei con tutto il cuore che il regime dittatoriale di Gheddafi cadesse. Annoto, tuttavia, come l’Italia sia in grado di riconoscere un dittatore solo quando il resto del mondo decide di fargli guerra.

Seconda annotazione: anche Saddam Hussein era un dittatore sanguinario e questa è stata la scusa per un intervento occidentale. Guardiamo però a che cosa è successo in Iraq, dopo l’intervento, prima di esaltarci all’idea di una nuova missione «umanitaria». Guardiamo al fatto che, dopo anni, il popolo iracheno non ha scoperto né la pace, né la democrazia, mentre la coalizione occidentale ha ottenuto soprattutto di vedere appagati i propri interessi economici e geo-strategici.

Che cosa bisogna fare per far cessare il bagno di sangue in Libia, dunque?

Ancora una volta, chiamando le cose con il loro nome, la guerra.

Dopo la risoluzione Onu sulla No-Fly Zone, l’Aeronautica militare italiana ha allertato le proprie strutture in previsione di un possibile impiego di velivoli da guerra, quali gli F-16 del 37° stormo di Trapani, gli Eurofighter di stanza a Gioia del Colle, i cacciabombardieri Amx di Amendola, in Puglia, e i Tornado.

Che «il passato coloniale italiano in Libia» finisca con il «far propendere per un ruolo di supporto logistico», come hanno dichiarato fonti militari all’agenzia Adn-Kronos, o siano  invece «possibili missioni operative per assicurare il rispetto della ‘no-fly zone’ e impedire il decollo dei caccia del colonnello Gheddafi», il ruolo della nostra Penisola, piattaforma armata nel Mediterraneo sarà un’altra volta centrale.

Perché No-Fly Zone significa guerra, dal momento che non è sufficiente ordinare a uno Stato di mantenere a terra i propri aerei, ma bisogna costringerlo con la forza, bombardando l’aviazione nemica mentre si trova a terra.

Inizia quindi l’ennesima guerra umanitaria. D’accordo, quando è in atto un massacro non è piacevole stare a guardare; ma che cosa si propongono le potenze occidentali questa volta? Come intendono assicurare il coinvolgimento del popolo libico nella caduta del regime? Come pensano di evitare l’altissimo numero di «vittime collaterali» delle missioni in Serbia, in Afghanistan, in Iraq? Che cosa possono offrire a garanzia del fatto che non interverranno, a cose fatte, nelle decisioni politiche, militari ed economiche del popolo libico?

Gheddafi è un carnefice, ma guerra in Libia è l’ennesimo atto di imperialismo, cui l’Italia, dopo 150 anni di Storia che non ci hanno resi più saggi, non prova neppure a sottrarsi.

Ecco, infine, una giustissima provocazione(?!): se la No-Fly Zone è buona, utile, umanitaria, perché non farne una a beneficio dei territori palestinesi?

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150 anni

Non credo nelle patrie o nei nazionalismi e penso che tutti dovremmo scoprirci parte di un’unica comunità umana, evitando tifoserie e divisioni, perché alla fine a questo si riduce tanta retorica sull’Unità d’Italia, sul 17 marzo Festa nazionale e via discorrendo.

Non credo negli “eroi” del Risorgimento, che forse hanno creduto, ma di sicuro hanno imposto, ciò che hanno portato a compimento: l’annessione di altri Stati al regno dei Savoia, coronando così l’antico sogno di espansione della dinastia piemontese.

Credo poi che l’Italia abbia fatto qualche cosa buona, soprattutto tra la fine della seconda guerra mondiale e quegli anni ’70 che Mariastella Gelmini vorrebbe cancellare dalla scuola e Marcegaglia e Marchionne dal mondo del lavoro, ma che sia ridotta – oggi – a una condizione miserevole che rende patetica l’idea di qualsiasi festeggiamento.

E credo che non basti – e non sia neppure necessario – esporre il tricolore alla finestra, per esprimere la propria condanna dell’egosimo leghista, del razzismo da “piccolo imprenditore padano”, dell’ipocrisia di chi da anni fa la bella vita a Roma per poi riversarle addosso l’epiteto di «ladrona»; quelli che da 15 anni a questa parte condizionano la vita politica del Paese, insomma, e ci hanno portati a fondo.

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La Valle d’Aosta e l’«utilizzatore finale»

La Valle d’Aosta sceglie da 30 anni lo stesso partito per il governo regionale, l’autonomista Union Valdôtaine (UV), che premia in molti modi i saggi, gli avveduti concittadini; ad esempio traforando le Alpi nostrane per “arricchirle” di strade poderali inutili quanto impattanti e costose, oppure promettendo l’incredibile, non importa quanto ridicolo (la metropolitana ad Aosta, 35mila abitanti!) o pericoloso (un piro-gassificatore per far fuori i rifiuti prodotti da 120mila persone, tanto – pochi – sono gli abitanti dell’intera regione).

Alle azioni e alle proposte concrete, l’UV alterna alte riflessioni di etica delle istituzioni e filosofia politica, partorendo ragionamenti del tipo: «negli ultimi anni siamo stati alleati con la sinistra, però adesso vogliono fare il federalismo e, siccome a Roma comanda il PDL, se non vogliamo rimetterci troppo dobbiamo andare da quella parte».

Dopo un paio di tornate elettorali in cui l’UV si è presentata con il (centro)destra (europee e poi comunali, anche se limitatamente al capoluogo regionale) e il voto di fiducia a sostegno del governo Berlusconi da parte del senatore valdostano (in quota UV) “finalmente” la scelta è stata ufficializzata: l’Union passa a destra e con questo fine della suspence.

Prima del grande passo, il partito autonomista ha atteso che davanti agli occhi dei propri concittadini scorresse di tutto, dagli affari di “cuore” di un premier da rottamare, a – in ordine assolutamente sparso – la “riforma” Gelmini, il delirio nuclearista, la farsa criminale del miracolo-monnezza in Campania, quella crudele della ricostruzione aquilana a tempo di record (e in realtà ancora da avviare), le leggi razziste della Lega, la vergogna dei CIE, nuovi campi di concentramento, i fondi tolti alle regioni a statuto speciale dal ministro (sic!) Calderoli, le “rivelazioni” di WikiLeaks su come i diplomatici Usa considerano il nostro Paese e i suoi governanti, le amicizie compromettenti, da Gheddafi alla (nipote di) Mubarak.

Tutto questo e molto altro ancora è stato atteso prima di pronunciare le parole fatidiche: «Sì, lo voglio».

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Ultima ora da Gaza: Terrorismo made in Israel in azione [da Vittorio Arrigoni]

Copio e incollo l’e-mail da Gaza scritta da Vittorio Arrigoni, attivista per i diritti umani dell’Ism (International Solidarity Movement) e inviata stamattina (16 marzo) ai membri del gruppo Google «Gaza Restiamo Umani».

Caccia f 16 israeliani hanno lanciato 2 missili, mezz’ora fa nei pressi di Zaitoun, a Est di Gaza City.

Per il momento si contano 2 morti e un ferito.

Più o meno contemporaneamente, navi da Guerra di Tel Aviv mitragliavano dei pescherecci palestinesi di poco al largo le coste di Gaza, davanti ai miei occhi.

3 ambulanze a sirene spiegate sono sopraggiunte al porto per accogliere a bordo alcuni pescatori feriti.

Seguiranno aggiornamenti

Stay human

Vittorio Arrigoni da Gaza City (porto)

http://www.facebook.com/notes/vittorio-arrigoni/ore-1136-terrorismo-israeliano-in-azione-morti-e-feriti/10150117453449831.

PS: Proprio oggi si celebra l’anniversario della morte di Rachel Corrie, attivista americana dell’ISM uccisa da un bulldozer dell’esercito israeliano il 16 marzo 2003, mentre cercava di impedire pacificamente la distruzione di alcune case palestinesi.

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Ma chissene_frega dell’unità d’Italia [da Femminismo a Sud]

Ho preso le riflessioni che seguono (secondo me condivisibilissime) dal blog Femminismo a Sud.

L’Italia c’è e non ha senso dividere l’esistente, però davvero non riesco ad apprezzare, da un lato, tutta la retorica nazionalista per i 150 anni (ma l’umanità deve per forza continuare a dividersi in Stati, ad arroccarsi in entità aggregative separate, da porre magari l’una contro l’altra?), mentre mi disgusta l’immondizia leghista, quella di chi da anni governa lo Stato, salvo poi inventarsi un’identità nazionale posticcia (la Padania) per giustificare la pochezza dei propri risultati.

Certodicono loro – se non ci fosse il sud a rallentare il resto del Paese…

Ma se da 150 anni siedono al governo proprio signori del nord, oppure signori in combutta con i poteri forti settentrionali, anche le poche volte che a palazzo Chigi è finito un meridionale!

Ma chissene_frega dell’unità d’Italia
dal blog Femminismo a Sud

[brigantesse del sud]

Sono siciliana. Una donna del sud. Non ho pregiudizi. Non sono secessionista, mi sembra una cosa anacronistica perchè i confini di uno stato sono già troppo in questo tempo in cui il mondo dovrebbe essere senza confini, ho comunque la brutta abitudine di studiare, documentarmi, leggere ogni cosa su ogni argomento che mi piace approfondire.

Volevo saperne di più sull’unità d’italia e dopo aver letto tanto, ricostruzioni storiche, documenti, materiale d’archivio e di biblioteca, mi sono resa conto che era tutto così come mi è stato tramandato dai racconti di nonne, anziani, persone che hanno sempre combattuto il revisionismo con la trasmissione della memoria.

Di tutte le colonizzazioni che il meridione ha subito, quella realizzata da garibaldi e la banda di delinquenti che si portava dietro, fu quella che ancora si ricorda con più rabbia. Perché la mistificazione storica fu enorme e perché nessuno concedette alle vittime di quella violenza nessun genere di riscatto.

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