Mala tempora currunt

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Ieri ho scritto un post che parlava della possibile vittoria del Front National in Francia (al ballottaggio per le regionali come alle presidenziali del 2017) cercando di soffermarmi sul progetto politico di Marine Le Pen.

L’ho scritto, l’ho pubblicato, l’ho riletto, l’ho cancellato.

Riesce difficile, quando si critica il sistema, non apparire equivoci, non lasciarsi confondere nella marea montante – e disgustosa – dei fascismi e dei populismi. E può sembrare ideologico, pretestuoso, tenere duro su parole d’ordine sacrosante – l’antifascismo – in un mondo in cui troppi hanno dimenticato i fondamenti dell’agire politico e democratico post seconda guerra mondiale.

Soprattutto, non voglio che le mie parole di condanna per l’estrema destra – quella francese come quella di Salvini o CasaPound – possano suonare come un’assoluzione per il Pd, o per quelle forze politiche e istituzioni europee che ci hanno portati sull’orlo dell’abisso, all’alba della catastrofe ambientale ed economica, e di una terza guerra mondiale che non suona più tanto improbabile all’orecchio di nessuno.

Il fatto è che quando afferma che, «se l’Europa non cambia e se non si riscirvono tutti i trattati, restituendo il potere ai cittadini, questa Europa è finita», perfino Matteo Salvini ha ragione. Di più: è auspicabile che questa Europa finisca. Ovviamente, non è a Salvini che farei riscrivere i trattati, né le ricette dell’ultra-destra possono costituire un’alternativa appetibile al disastro attuale, ma voglio evidenziare questo aspetto: le tecnocrazie europee fondate sul liberismo e sull’interesse di pochi contrapposto a quello di tutti gli altri non sono un “male minore”; sono alttanto inaccettabili e nocive quanto i nuovi-vecchi «mali» chiamati fascismo e populismo.

Così, quando Marine Le Pen dice di voler imporre un freno al libero scambio nella zona Ue, bisogna stare molto attenti, perché l’idea potrebbe anche andare a genio ai non adepti della religione libero-scambista, a chi (come me) non riesce ad accettare che si accordi la libertà di circolazione alle merci e non alle persone. Questo, naturalmente, non rende credibile la proposta di Marine Le Pen (che, sia detto en passant, alla libera circolazione delle persone è contrarissima), perché l’imposizione di dazi doganali non cambia realmente la natura del sistema economico, che continuerebbe a essere fondato sul profitto e sulle ingiustizie sociali; bisognerebbe inoltre vedere se il ritorno alla competizione litigiosa (e talvolta armata) tra gli Stati nazionali sarebbe davvero vantaggioso rispetto al mercato unico europeo. È vero, tuttavia, e non si può tacere, che il libero scambio nella zona Ue avvantaggia gli uni a danno degli altri, e non sembra che le classi dirigenti attuali siano intenzionate a scrivere regole più giuste e solidali.

«Preferenza» alle aziende francesi nell’assegnare appalti pubblici, più sovranità agli Stati, referendum sull’euro sono altri aspetti delicati del programma del Front National, perché possono essere intesi come una tutela per i territori, per tutti i territori, e invece soffiano sul fuoco del nazionalismo. L’aspetto migliore del progetto europeo è stato l’aver contribuito ad avvicinarci e a farci conoscere attraverso la libera circolazione dei cittadini, i programmi universitari all’estero, ecc; assistere oggi al risorgere dei nazionalismi significa buttare via quei (pochi?) risultati che, nonostante tutto, l’Europa “premionobelperlapace” è riuscita a conseguire.

Parlando del Front National e della destra-destra, comunque, è al tema dei diritti che occorre fare riferimento: nel programma di Marine Le Pen è prevista la fine di ogni aiuto economico ai migranti (con i conseguenti problemi sociali), la cancellazione del matrimonio omosessuale, restrizioni al diritto di aborto, divieto di velo per difendere la laicità dello Stato, ma nel contempo presepe obbligatorio a scuola per difendere la tradizione, addirittura reintroduzione della pena di morte. Sono queste le cose che dobbiamo tenere presenti, qualora mai con un angolo della mente speriamo che non tutto il male venga per nuocere e che – almeno – l’eventuale vittoria del Front National porti a un cambiamento di qualche genere, quale in fondo non importa, purché muti qualcosa nell’oscenità del presente.

E spesso dimentichiamo che il cambiamento può avvenire anche in peggio.

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La stretta autoritaria

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La vittoria del Front National alle regionali in Francia è l’ennesimo passo indietro di un occidente che rinuncia ai diritti e alle conquiste sociali del secondo dopoguerra. Tornano movimenti legati a un passato prossimo che fino a qualche anno fa era, giustamente, un tabù. L’importante, naturalmente, è che si tratti di movimenti disposti ad allearsi con chi detiene il potere economico, cioè il potere reale.

Come al tempo del fascismo, che – secondo i nostalgici – era addirittura dalla parte dei poveri, benché fosse alleato con gli industriali in chiave antisocialista e corporativista.

I terroristi, dal canto loro, islamici o non islamici, “spontanei” o manovrati che siano, sono i naturali alleati di quel potere che mira all’autoritarismo per imporre i modelli economici dominanti: la paura degli attentati ci porta non ad accettare, ma a considerare normali, i soldati per le strade, i mitra esposti agli occhi dei bambini, gli arresti dei manifestanti alla conferenza di Parigi sul clima nel nome delle vittime del 13 novembre.

I bombardamenti in Siria servono a creare nuovo odio antioccidentale, l’odio serve a tirare ancora di più le redini, a guidare la società con pugno più duro, senza rinunciare al titolo formale di democrazia.

A tutt* i/le cittadin*, gli esseri pensanti, il compito di leggere, conoscere, informarsi, al di là delle notizie di parte dei media, delle chiacchiere da bar dei salvini di tutti gli schieramenti.

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Avete già invaso il Kamchatka?

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Sembra sia Risiko il modello, l’occupazione militare di questo e quel Paese da cui poter controllare gli affari e gli intrallazzi, il flusso del petrolio (a proposito: importa a qualcuno del riscaldamento del pianeta?), le vite di cittadini e consumatori.

Primo giorno a Roma (mi tratterrò fino a martedì mattina), nonostante la psicosi attentato.

Magari evitiamo il centro e lasciamo stare la metropolitana.

Appuntamento in centro, domattina, e la metro l’abbiamo già presa due volte. Del resto, come si fa a non usarla?

Ma la città è guardata a vista: le chiese, le stazioni pullulano di agenti di polizia, soldati in mimetica col mitra, e devo dire che fanno una certa impressione i soldati col mitra.

Siamo in guerra, dunque, benché l’impressione sia che la vita vada avanti come sempre, benché la vita vada avanti come sempre, a ben pensarci. Però gli spazi civili sono sempre più spesso trasformati in spazi militari.

Ma questo è normale,

perché questi sono soldati buoni, sono qui per proteggerci.

Dai cattivi, dall’Isis, dagli attentati. Ma chi ci protegge da noi stessi? E chi difende i nostri bimbi dalla vista delle armi? Chi ci protegge dai caccia che rombano sulla nostra testa, che invadono gli schermi all’ora di pranzo?

Com’è possibile che i blindati sfilino per le strade cittadine con il soldato armato di mitra in torretta?

Com’è possibile che una scuola media trovi normale portare classi alla celebrazione del 4 novembre?

Com’è possibile che si prenda in seria considerazione l’idea di una visita didattica a bordo di una nave militare ancorata nel porto più vicino?

Chi ci protegge dai nostri governi, quelli che non hanno soldi per il welfare, ma li trovano subito per le «missioni militari»?

Da sedicenti democrazie impegnate a bombardare la Siria, un Paese abitato in prevalenza da civili, da innocenti, creando incommensurabilmente più morti degli attentati di Parigi, e senza neppure curarsi di tagliare ai terroristi le vie di rifornimento? Senza appurare chi tra gli «alleati» faccia affari con l’Isis?

Rivoltiamo il mondo come un guanto dai tempi delle scoperte geografiche (fine XV, inizio XVI secolo), con brusche accelerazioni dovute ai progressi tecnologici e a regimi particolari, e un’impennata del senso di impunità dell’occidente a partire dalla fine della guerra fredda (e, ad esempio, dalla prima guerra del Golfo).

Siamo alleati e amici di dittatori (finché non cadono in disgrazia) e criminali di guerra.

Di fronte al dramma senza fine della Palestina, stiamo con Israele, criminale di guerra.

Di fronte alle uccisioni e alle violazioni dei diritti umani nel Kurdistan turco, stiamo con la Turchia, che quei diritti calpesta e compra il petrolio di contrabbando dal sedicente stato islamico.

Siamo con il governo fascista di Kiev contro la popolazione di lingua russa dell’Ucraina perché bisogna rintuzzare le pretese russe di essere una potenza nello scacchiere internazionale.

Respingiamo i disperati che hanno fame o fuggono da guerre che noi stessi abbiamo generato.

Chi ci protegge da queste nostre politiche? L’odio antioccidentale cresce a ogni bomba «intelligente» che centra il suo bersaglio facendo esplodere con sé una manciata di «vittime collaterali».

Ma noi tiriamo avanti, con i diritti in bocca e la mano sopra il portafoglio.

Fino alla completa invasione del Kamchatka. (1)

>> (1) Veniva sempre questo compito da portare a termine, quando si gicava a Risiko.

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Che fai, non respiri?

Questo qui sopra è il video della mia poesia «La Peste Nera», che tratta il tema dell’inquinamento atmosferico.

Lo ripubblico come spunto di riflessione dopo l’uscita del rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) che diffonde dati davvero catastrofici sulle morti premature per inquinamento in Italia.

I dati, relativi al 2012, indicano 84.400 decessi nella Penisola, su un totale di 491.000 in tutta l’Unione.

Le riprese e il montaggio del video sono di Salvatore Cosentino; le musiche originali di Luca Carlomagno.

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Il COP21, Babbo Natale e la Befana

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Iniziano in contemporanea tante cose, questa settimana: il COP21 (conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici), lo shopping natalizio, l’avvento, le letterine a Babbo Natale, il giubileo straordinario inaugurato in Africa.

Mentre i Paesi del mondo annunciano di volersi impegnare a cercare un accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra per evitare (contenere) i cambiamenti climatici, i supermercati, come se niente fosse, si riempiono di pandori e panettoni, confezioni regalo ingombranti, difficili da smaltire, con tonnellate di ammiccante superfluo, buone per salpare all’abbordaggio del portafogli del consumatore.

Mentre si pone l’accento sui danni del cambiamento climatico, a sedersi intorno a un tavolo, presumo con le loro bottigliette di plastica, saranno i più grandi inquinatori del pianeta, certo credibilmente intenzionati, questa volta, a limitare i propri guadagni e quelli dei loro Paesi, e a riconoscere che la Terra è di tutti e che tutti dobbiamo averne cura. Nei grandi parchi del centro, intanto, il lupo e l’agnello sono stati visti passeggiare insieme, zampa nella zampa.

Si è già ripetuto, nonstante il clima particolare dovuto agli attentati del 13 novembre, il consueto copione di scontri e lancio di oggetti da parte di manifestanti, repressione e fermi da parte delle forze dell’ordine, con la solita condanna di ogni violenza da parte delle forze politiche. Il ministro dell’interno, Bernard Cazeneuve, ha detto in proposito che gli atti violenti devono essere denunciati con fermezza «per rispetto verso le vittime degli attentati».

Che cosa c’entri il rispetto per le vittime degli attentati con il fatto di denunciare chi ha scelto mezzi discutibili per denunciare l’ennesima farsa allestita alle spalle del pianeta non è dato sapere. È tuttavia significativo che, alla vigilia dell’inizio del COP21, la Francia abbia comunicato al segretario generale del Cosiglio d’Europa la propria intenzione di derogare al rispetto della Convenzione europea dei diritti umani, fintanto che l’emergenza terrorismo non sarà rientrata.

I diritti umani ai quali è possibile derogare, secondo quanto previsto dalla stessa Convenzione, «in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione» sono il diritto a un processo equo (art. 6), il rispetto della vita privata (art. 8), la libertà d’espressione (!!, art. 10) e quella di riunione e di associazione (art. 11).

Quando sarà dichiarata la fine dell’«emergenza» è ovviamente una domanda fondamentale, in un Paese che nel nome delle sicurezza si appresta a modificare perfino la Costituzione. Alla fine si vedrà che i terroristi non cancelleranno la nostra libertà fondamentale (i consumi), ma soltanto quelle accessorie (i diritti).

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Tornando all’argomento di partenza, infine, occorre rilevare come i cambiamenti climatici, costituiscano in prospettiva, per tutti i Paesi del mondo, una minaccia enormemente più seria di quella terroristica, in termini sia di possibili vittime, sia di sicurezza delle infrastrutture. Di fronte a qualcosa che riguarda la vita di tutti, saranno i soliti noti a decidere che cosa fare: quelli che guadagnano – o i cui amici guadagnano – dalle attività più inquinanti che esistano, dall’Ilva di Taranto che nessuno vuol chiudere, ai tanti bombardamenti sul Medioriente e sull’Africa. Perché non è che le guerre non abbiano, anche, un costo ambientale.

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Ci salverà la cultura?

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Si potrebbe fare un esperimento. Imporsi un libro a settimana. Un libro al mese. Un libro.

Leggere un libro intero e vedere che succede. Se l’occhio cade. Se resta al proprio posto.

Sfogliare i giornali. Informarsi senza la tivù. Provare.

Concedersi un paio di film al cinema. Un concerto.

Annotare da qualche parte le proprie impressioni prima di scriverle su internet. Contare fino a cento. Verificare ciò che si è scritto. Almeno l’ortografia.

Ricordare ora e per sempre che «po’» si scrive con l’apostrofo, non con l’accento.

Entrare in un museo. Visitarlo.

Passeggiare un poco al giorno (o alla settimana, al mese) nella natura.

Firmare un appello urgente di Amnesty International dopo aver letto che cosa si sta firmando.

Progettare un viaggio, che poi lo si faccia veramente o meno. Coltivarne l’idea.

Salire su un treno e visitare la città vicina.

Fabbricare un oggetto.

Piantare un albero, raccogliere rifiuti, adottare un giardino, un’aiuola.

Diffidare dei più forti.

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Er popolo cojone

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Che cosa penso esattamente della situazione attuale (gli attentati di Parigi, la guerra al terrore, la guerra in Siria, la guerra in generale) l’ho detto QUI. Il contributo di oggi mi è stato suggerito (senza che lo sapesse o sappia) da una collega, che nel gruppo Whatsapp della scuola (non credevo che avrei mai utilizzato la “parola” Whatsapp nel blog, ma le fonti mi piace citarle sempre) ha pubblicato una poesia di Trilussa del 1914, giusto all’inizio della prima guerra mondiale.

Sono versi che mettono in evidenza quanto anch’io mi sforzo di ripetere: si fanno e disfano le alleanze, si finanziano ora gli uni, ora gli altri attori delle guerre, a beneficio di interessi diversi, sempre, da quelli dichiarati: si mettono avanti le fedi e gli ideali per nascondere che distruzione e stragi avvengono, banalmente, «per un matto che commanna», indossi esso la divisa nera dei terroristi, oppure la giacca e la cravatta.

Trilussa (1914)
La ninna nanna de la guerra

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili.
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

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