Ogni volta che ho pubblicato un post su una pubblicità sessista ho cercato di entrare nella testa di chi non sarebbe stato d’accordo con me. Intendo dire: a meno di avere a che fare con cose spudorate come questa, è molto difficile convincere alcuni – e alcune, forse – che si è perfettamente consapevoli che il tale scatto, il tale spot, il tale messaggio sono basati su un gioco di parole, una battuta, uno scherzo. È difficile fare capire che se si sta protestando non è perché non si è capita la battuta, oppure perché si è troppo seri per accettare il gioco.
Allo stesso modo, visto che la pubblicità sessista insiste continuamente sull’esposizione del corpo femminile, è difficile far capire che non si sta criticando la scelta libera e consenziente della nudità, che non si hanno problemi con la sfera del fisico, dell’intimo o del sessuale. Che non si è bacchettoni, insomma, ma indignati per una ragione specifica. È difficile perfino rispondere all’obiezione: «Ma guarda che chi ha fatto quella pubblicità non lo ha fatto per svilire la donna, lo ha fatto per guadagnare dei soldi!», come se le intenzioni contassero più del risultato.
Più volte rispondo alle critiche – quelle immaginarie e quelle che ricevo nei commenti – dicendo che, in una società perfetta, certi “scherzi” sarebbero anche tollerabili; nella nostra no, perché si vanno a sommare a migliaia e migliaia di messaggi dello stesso tipo, che riducono la donna (e l’uomo, lo so bene) a un certo tipo, un certo ruolo, un’unica possibilità esistenziale.
Io credo che certe pubblicità siano sessiste nel “linguaggio” che usano, ma soprattutto nelle conseguenze che producono. L’insistere su messaggi di dominazione maschile, ad esempio, dove l’uomo incombe sulla donna con il proprio corpo, attraverso forme di violenza più o meno riconducibili allo stupro o ad altri tipi di supremazia (si veda QUI e QUI), a lungo andare non può non veicolare in alcuni (e in alcune!) una determinata concezione dei rapporti di genere.
Ragionare sullo sfruttamento pubblicitario del corpo femminile, comunque, non significa soltanto criticarne l’esposizione a fini commerciali oppure – quando c’è – il messaggio violento soggiacente; occorre anche riconoscere il modello convenzionale di perfezione – inesistente in natura, perché raggiunto non solo a base di diete e palestra, ma anche di ritocchi al photoshop – che viene proposto/imposto come termine di paragone per tutte; riconoscerlo e identificarlo, correttamente, come irraggiungibile – perché falso.
Ho già parlato dell’iniziativa promossa dal blog Totem Girl, che invita a stampare adesivi da appiccicare sui cartelloni sessisti che ricoprono i muri delle nostre città. Alcuni di questi spiegano perfettamente ciò che sto cercando di dire, parlando di un ideale convenzionale fittizio: «Questa immagine danneggia gravemente la tua autostima»; «La visione di questa immagine induce a vergognarti del tuo corpo»; «Questa immagine favorisce l’anoressia»; «Questa immagine può limitare il tuo ruolo nella società», ecc. Se sei grassa, se non sei vestita in un certo modo, se non raggiungi una certa taglia di reggiseno, se non hai determinate priorità (rassodare il culo, ad esempio, tenere sotto controllo il peso, mettere in mostra certe parti del tuo corpo), se non hai l’atteggiamento “giusto” nei confronti del tuo partner o del tuo capo, allora sei fuori posto, sei brutta, non puoi aspettarti granché dalla vita. Quindi corri ai ripari, datti da fare e… migliora.
Ho cercato, in questa lunga premessa, di dire perché mi indigno di fronte a pubblicità che sviliscono la donna; ho cercato di spiegare perché parlo di svilimento e non di una semplice, innocua, battuta, di un giro di parole, di un’immagine scherzosamente ammiccante. Forse sarei più convincente se non indugiassi sul termine «sessismo» (che però è quello giusto) e ricorressi al più generale «mercificazione», che ben si addice a entrambi i generi. È un fatto che lo sfruttamento della persona a fini commerciali non è limitato alla donna, ma è anche un fatto che il ruolo ritagliato per l’uomo non è mai succube, non è mai pensato per (o non finisce mai per) causare un’idea della propria inferiorità. L’uomo è vincente e può tutto, con l’apparente eccezione degli ambiti tradizionalmente assegnati alla donna. Lì, improvvisamente, l’uomo diventa incapace di capire come funziona un deodorante per ambienti ed è la donna a mostrargli come si fa. Ma si tratta, in sostanza, del solito lavoro di delimitazione dei ruoli: i lavori di casa li fanno le donne, ciò che riguarda la casa è roba di donne. L’uomo si occupa di altro.
Veniamo al dunque? C’è, da qualche giorno, in strada, la pubblicità della collezione «Intimissimi Uomo» che reclamizza, come è facile intuire, biancheria intima maschile. Sorpresa: anche in questo caso la testimonial è una donna, la modella Irina Shayk. Ora io mi chiedo, perché una donna, per vendere capi d’abbigliamento maschile? La domanda naturalmente è retorica: perché una donna fa vendere capi d’abbigliamento maschile più di quanto non farebbe un uomo. L’altra domanda, invece, è sincera: perché mi arrabbio? Torno nella mente di chi non la pensa come me e mi dico che forse non c’è niente di male: forse è perfino una “trovata spiritosa”. Ma è l’ennesima volta che il corpo femminile viene utilizzato per veicolare un prodotto attraverso una “trovata spiritosa”. E la modella, che ha indosso boxer e canottiera, sarà pure più “coperta” del solito (ma, l’ho già detto, non è con il nudo che ce l’ho!), però si trova, come per caso, stesa o seduta su un letto, dal quale fissa con occhi e pose sensuali il maschio consumatore: il bottino di guerra, insomma, di chi si comprerà un paio di mutande.
Chi vuole farsi un’idea più precisa trova le immagini QUI. Io non le pubblico perché ho scelto di non corredare di immagini sessiste un articolo che vorrebbe essere antisessista. Consiglio invece di dare un’occhiata al sito sul quale le ho trovate – fashiontimes.it – perché l’articolo presenta un punto di vista leggermente diverso dal mio. F. A. – ignoro chi si celi dietro la sigla – parla infatti di «campagna geniale», con tanto di maiuscole e punto esclamativo. «Intimissimi ha capito tutto!», prosegue. «Gli uomini vogliono le donne, anche quando si tratta di invogliarli a fare shopping! E chi meglio di Irina Shayk può assecondarli?». Ma è la conclusione che mi lascia davvero esterrefatto: «Insomma siamo convinti!», esclama F. A. «Il potere è sempre più in mano alle donne e questa campagna è una geniale conferma». E forse a questo punto bisognerebbe dilungarsi su che cos’è il potere (la seduzione, sembra suggerire l’articolista), sulla percentuale di donne in Parlamento o in qualunque posto in cui si conta, ma forse non è necessario replicare a un articolo come quello e, in ogni caso, penso si sia fatto un po’ tardi.
>>> Per le ragioni esposte qui sopra, non ho corredato l’articolo di immagini. In ogni caso, la foto che campeggia come testata in cima alla pagina sarebbe perfetta.