Contro la manovra che verrà non basta indignarsi, occorre trovare la via per agire, perché è una manovra costituente, capace cioè di cambiare le regole di base della Repubblica, quelle che condizionano la vita di tutti noi; perché non serve a uscire dalla crisi e, anzi, prepara tempi più cupi; perché si propone di svendere il Paese e cancellare il welfare (ciò che ne rimane); perché, infine, contiene diversi elementi di incostituzionalità.
Contro la manovra occorre lottare, rompendo quel clima di «responsabile» accettazione che i fautori del pensiero unico liberista tentano in ogni modo di favorire (sono loro che possiedono i media, dopotutto), al fine di vedere conseguiti i loro scopi. Un primo modo per dire il proprio no è aderire all’appello lanciato dai giuristi estensori dei quesiti referendari per l’acqua bene comune.
Lo pubblico di seguito. Per aderire, bisogna andare QUI.
La manovra finanziaria di Ferragosto 2011 è incostituzionale
Appello dei giuristi estensori dei quesiti referendari per l’ acqua bene comune e prime adesioni.
La lettura della manovra di Ferragosto e del dibattito politico che ne ha accompagnato la presentazione produce una sensazione di profonda preoccupazione in chi ha a cuore la democrazia e i beni comuni. Impressiona in particolare la disinvoltura con cui si maneggia una materia tanto delicata e fondativa di un ordine giuridico legittimo quanto quella della gerarchia delle fonti del diritto. La manovra mette in moto una sorta di processo costituente de facto che di per sé denuncia la natura profondamente incostituzionale, a diritto vigente, della filosofia ispiratrice dell’intero provvedimento.
Al primo articolo si legge infatti che il Decreto legge è emanato «In anticipazione della riforma volta a introdurre nella Costituzione la regola del pareggio di bilancio». All’art. 3 si aggiunge che: «In attesa della revisione dell’art. 41 della Costituzione, Comuni, Provincie, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione del presente Decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto quello che non è espressamente vietato dalla legge».
L’art. 41 è uno dei perni della Costituzione economica italiana vigente. Esso sancisce che: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
In Italia il processo di revisione costituzionale può svolgersi soltanto ai sensi dell’art. 138 Cost. che prevede doppia votazione in ciascuna Camera ed eventuale referendum confermativo. Fino a che questa revisione costituzionale non è avvenuta, la vigente Costituzione economica italiana è quella mista, che prevede un sistema di libera iniziativa privata sottoposto tuttavia a controlli anche preventivi volti a salvaguardare l’interesse sociale e la dignità della persona e l’ambiente. Cancellare per decreto ogni potere di controllo politico sull’attività economica costituisce una violazione palese e profonda del nostro tessuto costituzionale vigente che lo sbilancia in modo ancora più evidente a favore dell’interesse privato (spesso multinazionale) ai danni di quello delle persone comuni.
A ciò si aggiunga che la nostra Costituzione struttura uno Stato sovrano cui non può essere precluso da poteri esterni di qualsivoglia natura di investire sul lungo periodo, promuovendo la persona umana e il suo sviluppo oltre a molteplici altri valori non economici (solidarietà, ambiente, paesaggio, ricerca scientifica, istruzione) anche nell’interesse delle generazioni future. Il Decreto viola inoltre la funzione costituzionale del risparmio, frutto dei sacrifici dei lavoratori, di cui all’art. 47 della Costituzione. La preconizzata costituzionalizzazione del pareggio di bilancio rende impossibile l’investimento sociale e impone una visione aziendalistica dello Stato che la nostra costituzione non contiene in alcun modo ma che è soltanto una delle cifre di quel fallimentare modello neoliberista, ancora troppo potente anche in Europa, che non ammette di aver prodotto la profonda crisi attuale.
È assolutamente necessario affermare con forza che il popolo sovrano, composto nella stragrande maggioranza di quelle persone comuni ai cui danni la crisi si sta orchestrando, si è espresso appena due mesi fa nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione tramite i referendum in modo politicamente inequivocabile contro il modello di sviluppo neoliberista che il Decreto di ferragosto ripropone pervicacemente. In particolare, sul piano del diritto costituzionale vigente non può essere riproposta la privatizzazione/liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Continua a leggere