Il solito ombrello, cambia lo stile – di Alessandro Robecchi

Ripubblico, con il consenso dell’autore, l’articolo Il solito ombrello, cambia lo stile, di Alessandro Robecchi, uscito sul manifesto del 4 dicembre 2011. Per riflettere sul clima irresponsabile di «unità nazionale» attorno al governo che, per conto delle banche e degli altri poteri forti, sta per mettere in atto la “macelleria sociale”.

Voi siete qui – Il solito ombrello, cambia lo stile
di Alessandro Robecchi.

Si parla di stile quando non si può parlare di sostanza. Quindi fino a oggi il governo Monti è stato descritto con i toni elegiaci tipici di chi si sveglia da una lunga seduta di ipnosi e torna alla vita reale. Il confronto è impietoso e i grandi giornali fanno a gara per farlo notare: al confronto dell’Alvaro Vitali che avevamo prima a capo del governo, ora abbiamo Shakespeare. Quello usava l’aereo di stato per andare dal salotto alla piscina, questo prende il treno. Quello di prima mentiva come un venditore di tappeti, questo parla a stento con le frasi secche di un bancomat: «È possibile effettuare una nuova operazione». Quello di prima si circondava di ceffi degni di un film sulla mafia marsigliese, questo parla alla pari con i banchieri di mezzo mondo, non guarda il culo alle deputate finlandesi, non fa cucù alla Merkel, non frequenta professioniste dell’amore e non viaggia con la scorta di avvocati. Quello di prima, tra capelli magicamente ricomparsi e cerone, sembrava un laboratorio di chirurgia estetica, quello di adesso è un signore elegante e posato. La forma è salva, anche se il salto è vertiginoso e potrebbe creare qualche trauma. Da domani, però, la forma conterà un po’ meno e si guarderà più alla sostanza. I tagli alle pensioni. I tagli alla sanità. Le tasse per i soliti che già le pagano. Le consultazioni invece delle trattative. Il Parlamento chiamato a dire signorsì. Quello di prima regalava nuove frequenze alle sue stesse tivù con una gara di dubbia correttezza (valore: oltre una decina di miliardi), quello di adesso conferma il regalo. Quello di prima spendeva come Creso in armamenti, bombardieri, caccia (oltre una quindicina di miliardi, ma probabilmente chi legge altri giornali e non questo non lo sa), quello di adesso non intende risparmiare un euro su quello spreco assurdo (ma probabilmente chi legge altri giornali e non questo non lo sa). Quello di prima andava a Porta a Porta, questo andrà a Porta a Porta. È il solito ombrello, direbbe Altan. Ma vuoi mettere lo stile?

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Appello per un audit dei cittadini sul debito pubblico


Condivido
, e quindi copio e incollo dal sito rivoltaildebito.org, un appello in favore di un audit dei cittadini (una specie di inventario partecipato dal basso) sul debito pubblico italiano, vale a dire uno studio delle voci che lo compongono per valutare e decidere che cosa pagare subito, che cosa rinegoziare, che cosa – e perché no – respingere al mittente, riaffermando il primato della politica – di una politica etica in favore dei cittadini – sull’economia.

La proposta, rilanciata in Italia da rivoltaildebito.org, viene in realtà dalla Francia, a dimostrazione (se mai ve ne fosse bisogno) che quello del debito pubblico – e dell’impossibilità di pagarlo senza distruggere un’economia nazionale e senza attuare una vera e propria “macelleria sociale” – è un problema sovrannazionale che, come tale, andrebbe trattato, ad esempio reimpostando le coordinate di un sistema di mercato ormai fuori controllo e cacciando i sacerdoti del liberismo dalle stanze dei bottoni.

Appello per un audit dei cittadini sul debito pubblico
da rivoltaildebito.org.

Dalla Francia (http://www.audit-citoyen.org/ ) proviene un appello per creare una commissione di audit del debito pubblico in grado di visionare come è fatto quel debito, come è stato contratto a favore di chi e di quali interessi. Noi vogliamo fare nostra questa proposta per rivedere in profondità l’entità del debito pubblico italiano accumulato nel tempo per favorire rendite, profitti, interessi di casta e di una ristretta élite e non certo per favorire le spese sociali, l’istruzione, la cultura, il lavoro. Una proposta che serve per impostare un’altra politica economica, del tutto alternativa a quella avanzata in questi anni dai vari governi che si sono succeduti e improntata alla redistribuzione della ricchezza, alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare, dell’ambiente contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria. Una politica economica per il 99% contro l’1% del pianeta.

APPELLO PER UN AUDIT DEI CITTADINI SUL DEBITO PUBBLICO

Scuole, ospedali, alloggi d’urgenza… Pensioni, disoccupazione, cultura, ambiente… Viviamo quotidianamente l’austerità finanziaria e il peggio deve venire. «Noi viviamo al di sopra dei nostri mezzi», questo è il ritornello che ci viene ripetuto dai grandi media. Ora «occorre rimborsare il debito» ci si ripete mattina e sera. «Non abbiamo scelte, occorre rassicurare i mercati finanziari, salvare la buona reputazione, la tripla A». Non accettiamo questi discorsi colpevolizzanti. Non vogliamo assistere da spettatori alla rimessa in discussione di tutto ciò che ha reso ancora vivibile le nostre società, anche in Europa. Abbiamo speso troppo per la scuola e la sanità oppure i benefici fiscali e sociali dopo venti anni hanno prosciugato i bilanci? Questo debito è stato contratto nell’interesse generale oppure può essere considerato in parte come illegittimo? Chi possiede questi titoli e approfitta dell’austerità? Perché gli Stati devono essere obbligati a indebitarsi presso i mercati finanziari e le banche mentre queste possono farsi concedere prestiti direttamente e a un costo più basso dalla Banca centrale europea? Non accettiamo che queste questioni siano eluse o affrontate alle nostre spalle da esperti ufficiali sotto l’influenza delle lobbies economiche e finanziarie. Vogliamo dire la nostra nel quadro di un ampio dibattito democratico che deciderà del nostro avvenire comune. In fine dei conti, siamo dei giocattoli nelle mani degli azionisti, degli speculatori e dei creditori oppure cittadini, capaci di deliberare insieme sul nostro avvenire? Noi ci mobiliteremo nelle nostre città, nei quartieri, nei villaggi, nei nostri luoghi di lavoro, lanciando l’idea di un grande audit del debito pubblico. Vogliamo creare sul piano nazionale e locale dei collettivi per un audit dei cittadini con i nostri sindacati e associazioni, con esperti indipendenti, con i nostri colleghi, i vicini, i concittadini. Prenderemo in mano i nostri destini perché la democrazia riviva.

Marie-Laurence Bertrand (CGT); Jean-Claude Chailley (Résistance sociale); Annick Coupé (Union syndicale Solidaires); Thomas Coutrot (Attac); Pascal Franchet (CADTM); Laurent Gathier (Union SNUI-Sud Trésor Solidaires); Bernadette Groison (FSU); Pierre Khalfa (Fondation Copernic); Jean-François Largillière (Sud BPCE); Philippe Légé (Économistes atterrés); Alain Marcu (Agir contre le Chômage!); Gus Massiah (Aitec); Franck Pupunat (Utopia); Michel Rousseau (Marches européenne); Maya Surduts (Collectif national pour les droits des femmes); Pierre Tartakowsky (Ligue des droits de l’homme); Patricia Tejas (Fédération des Finances CGT); Bernard Teper (Réseau Education Populaire); Patrick Viveret (Collectif Richesse) ; Philippe Askénazy, économiste; Geneviève Azam, économiste; Étienne Balibar, philosophe; Frédéric Boccara, économiste; Alain Caillé, sociologue; François Chesnais, économiste; Benjamin Coriat, économiste; Cédric Durand, économiste; David Flacher, économiste; Susan George, écrivain; Jean-Marie Harribey, économiste; Michel Husson, économiste; Stéphane Hessel, écrivain; Esther Jeffers, économiste; Jean-Louis Laville, sociologue; Frédéric Lordon, économiste; Marc Mangenot, économiste; Dominique Méda, sociologue; Ariane Mnouchkine, artiste; André Orléan, économiste; Dominique Plihon, économiste; Christophe Ramaux, économiste; Denis Sieffert, journaliste; Henri Sterdyniak, économiste.

>>> L’immagine di questo articolo è tratta dal sito rivoltaildebito.org, dal quale è possibile scaricare materiale per la diffusione, come l’adesivo e il volantone.

>>> In merito alla proposta di un audit sul debito leggi anche l’articolo di Guido Viale.

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Un Audit sul debito – di Guido Viale

Ripubblico, con il consenso dell’autore, l’articolo di Guido Viale Un Audit sul debito, uscito sul manifesto del 29 novembre. È un testo che condivido per intero perché – mi sgolerò a dirlo – prima di sprecare tempo e risorse per pagare il debito occorre innanzitutto studiarlo, valutare di quali voci è composto, decidere quali quote vanno restituite subito (e a chi), per quali quote invece è ipotizzabile rinegoziare i tempi o non pagare affatto (perché, sovranamente, ci si può opporre all’idea di rimborsare la grande speculazione).

Come diverse altre voci nei vari Stati d’Europa Guido Viale (e anch’io, nel mio piccolo), propone un «audit», un inventario del debito, premessa necessaria per decidere il da farsi. Perché l’alternativa è solo quella di raggranellare soldi in ogni modo, a prezzo di lacrime e sangue, se va bene tassando di più chi ha di più ma, più verosimilmente, continuando a tassare chi ha già abbondantemente dato (chi è più debole, si sa, fa più fatica a difendersi), rendendo di fatto impossibile non solo la ripresa economica, ma la stessa democrazia e una cosuccia sempre largamente trascurata come la sostenibilità ambientale.

L’articolo di Viale. Buona lettura.

Un Audit sul debito
di Guido Viale.

Agli storici del futuro (se il genere umano sopravviverà alla crisi climatica e la civiltà al disastro economico) il trentennio appena trascorso apparirà finalmente per quello che è stato: un periodo di obnubilamento, di dittatura dell’ignoranza, di egemonia di un pensiero unico liberista sintetizzato dai detti dei due suoi principali esponenti: «La società non esiste. Esistono solo gli individui», cioè i soggetti dello scambio, cioè il mercato (Margaret Thatcher); e «Il governo non è la soluzione ma il problema», cioè, comandi il mercato! (Ronald Reagan). Il liberismo ha di fatto esonerato dall’onere del pensiero e dell’azione la generalità dei suoi adepti, consapevoli o inconsapevoli che siano; perché a governare economia e convivenza, al più con qualche correzione, provvede già il mercato. Anzi, “i mercati”; questo recente slittamento semantico dal singolare al plurale non rispecchia certo un’attenzione per le distinzioni settoriali o geografiche (metti, tra il mercato dell’auto e quello dei cereali; o tra il mercato mondiale del petrolio e quello di frutta e verdura della strada accanto); bensì un’inconscia percezione del fatto che a regolare o sregolare le nostre vite ci sono diversi (pochi) soggetti molto concreti, alcuni con nome e cognome, altri con marchi di banche, fondi e assicurazioni, ma tutti inarrivabili e capricciosi come dèi dell’Olimpo (Marco Bersani); ai quali sono state consegnate le chiavi della vita economica, e non solo economica, del pianeta Terra. Questa delega ai “mercati” ha significato la rinuncia a un’idea, a qualsiasi idea, di governo e, a maggior ragione, di autogoverno: la morte della politica. La crisi della sinistra novecentesca, europea e mondiale, ma anche della destra – quella “vera”, come la vorrebbero quelli di sinistra – è tutta qui.

Ma, dopo la lunga notte seguita al tramonto dei movimenti degli anni sessanta e settanta, il caos in cui ci ha gettato quella delega sta aprendo gli occhi a molti: indignados, gioventù araba in rivolta, e i tanti Occupy. Poco importa che non abbiano ancora “un vero programma” (come gli rinfacciano tanti politici spocchiosi): sanno che cosa vogliono.
Mentre i politici spocchiosi non lo sanno: vogliono solo quello che “i mercati” gli ingiungono di volere. È il mondo, e sono le nostre vite, a dover essere ripensati dalle fondamenta. Negli anni il liberismo – risposta vincente alle lotte, ai movimenti e alle conquiste di quattro decenni fa – ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale: mediamente, si calcola, del 10 per cento dei Pil (il che, per un salario al fondo alla scala dei redditi può voler dire un dimezzamento; come negli Usa, dove il potere di acquisto di una famiglia con due stipendi di oggi equivale a quello di una famiglia monoreddito degli anni sessanta). Questo trasferimento è stato favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili; ma è stato soprattutto il frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali. Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato infatti investito, se non in minima parte, in attività produttive; è andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato e ha trovato, grazie alla soppressione di ogni regola, il modo per riprodursi per partenogenesi. Si calcola che i valori finanziari in circolazione siano da dieci a venti volte maggiori del Pil mondiale (cioè di tutte le merci prodotte nel mondo in un anno, che si stima valgano circa 75 mila miliardi di dollari). Ma non sono state certo le banche centrali a creare e mettere in circolazione quella montagna di denaro; e meno che mai è stata la Banca centrale europea (Bce), che per statuto non può farlo (anche se in effetti un po’ lo ha fatto e continua a farlo, per così dire, “di nascosto”). Se la Bce è oggi impotente di fronte alla speculazione sui titoli di stato (i cosiddetti debiti sovrani) è perché lo statuto che le vieta di “creare moneta” è stato adottato per fare da argine in tutto il continente alle rivendicazioni salariali e alle spese per il welfare. Una scelta consapevole quanto miope, che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto. A creare quella montagna di denaro è stato invece il capitale finanziario che si è autoriprodotto; i “mercati”. E lo hanno fatto perché tutti i governi glielo hanno permesso. Certo, in gran parte si tratta di “denaro virtuale”: se tutto insieme precipitasse dal cielo sulla terra, non troverebbe di fronte a sé una quantità altrettanto grande di merci da comprare. Ciò non toglie che ogni tanto – anzi molto spesso – una parte di quel denaro virtuale abbandoni la sfera celeste e si materializzi nell’acquisto di un’azienda, una banca, un albergo, un’isola; o di ville, tenute, gioielli, auto e vacanze di lusso. A quel punto non è più denaro virtuale, bensì potere reale sulla vita, sul lavoro e sulla sicurezza di migliaia e migliaia di esseri umani: un crimine contro l’umanità.

È un meccanismo complicato, ma facile da capire: Continua a leggere

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Baciamo il rospo? Attenti alle controindicazioni – di Alessandro Robecchi

Ripubblico, con il consenso dell’autore, un articolo di Alessandro Robecchi, comparso sul manifesto del 20 novembre.  Mi scuso, innanzitutto con l’autore, se mi ci son voluti ben 10 giorni per fare un semplice copia e incolla, ma – davvero – non ho avuto un attimo di tempo. Nel frattempo Alessandro ha pubblicato diversi altri articoli, che consiglio spassionatamente (a me è piaciuto in particolare questo).

Della necessità (o meno) di “baciare il rospo”, accettando il governo «tecnico» come il minore dei mali hanno discusso tanti a sinistra. Alessandro lo fa con la consueta ironia, rilevando ad esempio che è «per il bene del paese», lo dicono tutti, «anche quelli che il paese l’hanno distrutto guadagnandoci un bel po’».

Che cosa pensi io, a chi frequenta il blog è probabilmente già chiaro. In proposito, rinnovo l’invito, a tutte le persone che intendono rifiutare la truffa della “responsabilità” ad aderire all’Appello per un Movimento degli Irresponsabili Estremisti (IE). (C’è anche il gruppo Facebook)

Lascio la parola a Robecchi.

Voi siete qui – Baciamo il rospo? Attenti alle controindicazioni
di Alessandro Robecchi.

Mettiamola così: siamo gente perbene che si concede poche e innocenti trasgressioni. Tra queste, una volta ogni vent’anni circa, ci viene questo strano impulso di baciare un rospo. Il manifesto ne discute con passione e con le sue intelligenze migliori: baciare il rospo? Personalmente preferirei baciare Kate Moss, ma mi rendo conto che il principio di realtà è una faccenda seria. Ora, baciare un rospo richiede un discreto sprezzo del pericolo. Prima di baciare un rospo, che so, un Dini, un Monti, consiglio di leggere il foglietto illustrativo e le controindicazioni. Ci sono casi noti? C’è una statistica? Lo sapete, vero, che i rospi e certe coloratissime rane del Costa Rica, provocano effetti allucinogeni? Per dire: uno bacia un rospo e vede gli elefanti rosa. I pro: sempre meglio che vedere Cicchitto. I contro: che ce ne facciamo di elefanti rosa, non sarebbe meglio avere qualche diritto in più, o un po’ di redistribuzione del reddito? Viviamo in un posto dove si possono baciare rospi ma non, per dire, ottenere diritti come coppie di fatto, quindi delle due l’una: o troppa gente ha baciato rospi allucinogeni per decenni, oppure Monti ha baciato il papa. Due ipotesi plausibili, ma della seconda c’è la foto sui giornali. Veniamo alla casistica nota. Che baciare rospi alteri la percezione del reale è sotto gli occhi di tutti: La Russa e Bersani che sostengono lo stesso governo mi pare una prova abbastanza decisiva che le allucinazioni non sono una favola. È per il bene del paese, dicono tutti, anche quelli che il paese l’hanno distrutto guadagnandoci un bel po’. Per ora, il pensiero dominante è che è meglio baciare un rospo che farsi mordere da un serpente a sonagli, fin qui ci arrivo anch’io, ma non vorrei che mentre siamo lì con rospo in mano ci distraiamo un po’ e non vediamo l’anaconda di undici metri che ci punta famelica: il famoso mercato che fa e disfa. Sarà lui a mangiarci tutti interi, mica il rospo! Capire quanto il rospo lo aiuterà nel pranzetto è solo un dettaglio. Coraggio. Smack!

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Adesso Basta: Appello per un Movimento degli Irresponsabili Estremisti (IE)

NB: Quanto segue non è la proposta di un nuovo partito, ma un’iniziativa più o meno scherzosa che afferma la necessità di riappropriarsi del linguaggio in un mondo in cui Scilipoti può definirsi «responsabile» e i «moderati» sono quelli che fanno la guerra.

Adesso Basta: Appello per un Movimento degli Irresponsabili Estremisti (IE)
di Mario Badino

Adesso basta: non c’è bisogno di sopportare oltre.

Indirizzo questo appello alle persone di buona volontà, senza ambizione di creare un nuovo partito (ci manca solo questo) ma desideroso di contribuire a organizzare un’idea, un simbolo e uno slogan per tutti quei soggetti (cittadini, movimenti, partiti, organizzazioni sindacali e chi più ne ha più ne metta) che non si arrendono all’idea della supremazia dell’economia (e del mercato) sulla politica e sulla democrazia, con le sue regole e conquiste.

Siccome la crisi economica è la scusa ideale per cancellare d’un tratto tutte le istanze dei movimenti, dalla difesa del territorio (che uccide, ormai, ogni volta che piove), alla natura pubblica dei beni comuni (nonostante 27 milioni di voci di segno contrario nei referendum di giugno), siccome per i tecnocrati al governo sembra venuto ormai il tempo dei tagli indiscriminati al welfare e delle privatizzazioni, siccome tutto questo dev’essere mandato giù, nella propaganda ufficiale, come segno di «responsabilità» e «moderazione», è giunta l’ora di riunire le nostre scalcagnate armate sotto la bandiera ideale degli Irresponsabili Estremisti.

Rivendichiamo con orgoglio il senso delle parole e la nostra differenza rispetto alla neo-lingua che considera «responsabile» saccheggiare i propri stessi Paesi, trasferendo le ricchezze di tutti nelle tasche di pochi!

Rivendichiamo con orgoglio la nostra indisponibilità all’accettare che la forbice tra i super-ricchi e i sempre più poveri si allarghi continuamente!

Se oggi appare «responsabile» affidare la cura dell’economia a chi ha generato la crisi, scegliamo di essere «irresponsabili»!

Se oggi è considerato un segno di «moderazione» bombardare Paesi stranieri per il petrolio e l’influenza politica, non temiamo di essere «estremisti» e continuiamo a opporre alle bombe e alla spesa militare l’articolo 11 della nostra Costituzione e l’urgenza di indiviuduare priorità diverse nella spesa pubblica!

I soldi ci sono, basta strapparne la gestione ai «moderati» e ai «responsabili», ovvero i sacerdoti e gli schiavi del “libero” mercato, i custodi dell’ortodossia liberista, che tutto hanno chiaro, tranne la profondità del precipizio verso il quale ci stanno trascinando!

Aderire al movimento degli Irresponsabili Estremisti (IE) è facile. Continua a leggere

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No F-35: Non lasceremo in pace chi vuol fare la guerra

http://youtu.be/VygE_A7VN7Q

Una delle molte manifestazioni alle quali idealmente ho aderito negli ultimi tempi (e alle quali per un motivo o per l’altro, non sono riuscito a partecipare) è stata quella contro i nuovi cacciabombardieri F-35 lo scorso 12 novembre a Novara. Ne riporto il discorso di chiusura, sia pure con colpevole ritardo, consapevole che l’attualità di queste parole non è legata alla maggiore o minor presentabilità di un presidente del consiglio… Perché dubito fortemete che il professor Monti concentrerà i suoi tagli sul capitolo delle spese militari!

Il video qui sopra, Non siete Stato voi di Caparezza, anche se direttamente non parla di armi, mi pare sia una colonna sonora adeguata [PS: Monti o non Monti, il Parlamento italiano è sempre quello di due settimane fa…].

Discorso di chiusura alla manifestazione NO F35 di Novara
dal sito www.noeffe35.org.

Siamo giovani studenti o disoccupati, siamo lavoratori precari, siamo operai e impiegati, siamo dipendenti pubblici da razionalizzare, siamo irriducibili antimilitaristi e disarmanti pacifisti, siamo riformisti e antagonisti, siamo cittadini di buon senso indignati ed esasperati.

Per l’ennesima volta siamo qui a manifestare.

Dobbiamo ripeterci, dobbiamo insistere.

Quelli che hanno le chiavi del potere non sentono, sono sordi di fronte alle nostre richieste.

Ma noi non demordiamo.

Noi insistiamo; non ci fermiamo.

Chi passi dalle parti dell’aeroporto militare di Cameri, a pochi chilometri da qui, può vedere il loro capolavoro.

Crescono gli hangar destinati a ospitare la fabbrica della morte, la fabbrica per assemblare i cacciabombardieri F-35.

Ormai lo sanno tutti che cosa sono questi cacciabombardieri: armi d’attacco, micidiali macchine di morte per lo sterminio di massa.

I loro predecessori (Tornado e compagnia bella) li abbiamo visti recentemente in azione sui cieli della Libia.

O meglio: l’aeronautica militare riferisce che erano in azione e che hanno compiuto innumerevoli missioni al suolo.

Noi non abbiamo visto un bel niente.

Le guerre vengono nascoste agli occhi del mondo. Continua a leggere

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Valle d’Aosta, ambiente e salute


Alcune notizie
dal fronte della salvaguardia ambientale (e della salute umana) in Valle d’Aosta.

Della vicenda di Comboé, vallone alpino compreso in una Zona a Protezione Speciale per le sue ricchezze naturalistiche, e per anni minacciato da un’inutile strada poderale poi realizzata, ho già detto tante volte, recentemente in un articolo dal titolo Comboé devastato, nel quale lamentavo, dopo il compimento della “grande opera”, l’avvio di lavori di “miglioramento” fondiario che hanno cancellato la zona umida che caratterizzava la parte bassa del vallone.

Per fortuna, contrariamente alle abitudini valdostane, di Comboé si è continuato a parlare: ha scritto un bell’articolo Rosetta Bertolin sull’ultimo numero di «Alpe», giornale dell’omonimo partito valdostano, che si può scaricare QUI. E la notizia ha varcato i confini regionali, le “Colonne d’Ercole” di Pont-Saint-Martin, approdando sulla versione online del «Fatto Quotidiano», in un articolo a cura di Fabio Balocco, esperto di piste silvo-agro-pastorali, leggibile QUI.

Invito tutte e tutti a dare alla vicenda la massima diffusione possibile, anche al di fuori del territorio regionale, nella speranza che non passino sotto silenzio quelle che è possibile considerare come vere e proprie aggressioni all’ambiente. E chissà che per una volta indignazione e clamore non contribuiscano a impedire che altri luoghi facciano la fine di Comboé.

Buone notizie, invece, dal fronte dei contrari al pirogassificatore, che l’amministrazione regionale valdostana vorrebbe costruire per bruciare i rifiuti di una popolazione che non raggiunge le 130 mila unità ed è ancora lontana dalle percentuali minime di raccolta differenziata imposte dalla legge per il 2012.

Lo Statuto della Valle d’Aosta prevede la possibilità di indire un referendum propositivo (in Italia esiste solo quassù e nella provincia di Bolzano), che, in caso di vittoria dei contrari all’inceneritore, potrebbe imporre, per il problema dei rifiuti, una soluzione “a freddo”, considerata meno pericolosa per la salute umana.

Per ottenere il referendum sono necessarie 5.500 firme (ho già detto che la popolazione valdostana è poco numerosa). Ebbene, Valle Virtuosa, l’associazione che promuove la consultazione, ha recentemente superato la soglia delle 5.000 (e siamo solo a metà del tempo a disposizione).

Tutt@ possiamo aiutare i promotori a raggiungere il maggior numero possibile di firme, perché è giusto far capire a chi in passato ha voluto boicottare lo strumento referendario che questa volta raggiungere il quorum è possibile, come hanno dimostrato 27 milioni di italiani lo scorso giugno, proprio per questioni legate alla salute e ai beni comuni.

L’invito è, innanzitutto, a firmare, se non lo si è già fatto. E poi a dare una mano per la raccolta delle firme, la distribuzione dei volantini, la diffusione dell’informazione. I banchetti saranno organizzati secondo il seguente calendario:

sabato 19 novembre, mattina e pomeriggio ad Aosta, in Place des Franchises;
domenica 20 novembre, mattina e pomeriggio, ad Aosta, in piazza Chanoux, per il mercatino del biologico;
lunedì 21 novembre, in mattinata ad Aosta al mercatino del Quartiere Cogne, con possibile presenza contemporanea al mercato di Verrès Châtillon;
sabato 26 novembre, mattina e pomeriggio ad Aosta in Place des Franchises e/o presso la Porta Pretoria;
domenica 27 novembre, mattina e pomeriggio ad Aosta in Place des Franchises;
martedì 29 novembre mattina al mercato di Aosta;
venerdì 2 dicembre, pomeriggio, ad Aosta in Place des Franchises;
martedì 6 dicembre mattina al mercato di Aosta.

Si può firmare anche presso il proprio comune di residenza (quello di Aosta, in più, dovrebbe certificare le firme anche per chi risiede negli altri comuni).

Per altre informazioni è possibile consultare il blog di Valle Virtuosa. Sulla questione di Comboé invito invece a visitare quello degli Amici del Vallone.

>>> La foto di Comboé è di Francesco Cordone. Quella della manifestazione contro il pirogassificatore è tratta dal blog del Comitato Rifiuti Zero Valle d’Aosta.

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