Alla c.a. del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Gentile Presidente.
L’hanno contestata, a Bologna, gli studenti dell’Università. Tra lei e loro c’erano – giustamente – le forze dell’ordine. Impossibile un contatto diretto, impossibile un dialogo costruttivo. Ma lei si è limitato a dire che «le manifestazioni di dissenso e di protesta se sono motivate e si esprimono correttamente possono essere prese in attenta considerazione, altrimenti no». Suppongo pertanto che le loro motivazioni, quei ragazzi, avrebbero dovuto scriverle sul guscio delle uova che hanno lanciato agli agenti. Ma dimentico che sono proprio quelle uova ree di non esprimere «correttamente» il dissenso.
I giovani di Bologna avrebbero dovuto fare come me: inviarle un’e-mail a cui non risponderà nessuno, nonostante le assicurazioni fornite dalla scritta che esce in automatico quando si compila l’apposito modulo online. Presidente, i ragazzi che oggi l’hanno contestata l’hanno ritenuta responsabile di una gestione ideologica della crisi, dannosa per il Paese. Io presumo la sua buona fede, ma non credo che possa non aver notato – non nella sua posizione e non con il suo personale percorso politico – il carattere classista delle scelte operate dal governo tecnico da lei fortemente voluto.
Il suo desiderio, ovviamente condivisibile, di tranquillizzare i Paesi “amici” e i mercati, favorendo la fine del quindicennio berlusconiano, si è tradotto nell’accettazione di tutte le ricette e i diktat della Banca centrale europea, delle agenzie di rating e della Germania, anche contro le indicazioni espresse da 28 milioni di cittadini italiani che, con i referendum di giugno, chiedevano, ad esempio, una maggior tutela dei beni comuni e, conseguentemente, nessuna privatizzazione dei servizi fondamentali.
Oggi in Italia si divarica sempre più la forbice tra i ricchi e i poveri. Il lavoro è diventato un privilegio per ottenere il quale occorre accettare di sottoporsi all’umiliante calvario di formule contrattuali ormai fin troppo tipiche, che non permettono di far progetti per il futuro. Contemporaneamente, la Penisola è attraversata dalla protesta di cittadini che lottano innanzitutto per affermare il proprio diritto a essere consultati quando si prendono decisioni che riguardano la loro vita. Cittadini che non hanno voce in capitolo né quando si tratta di decidere il modello di trasporto ferroviario, né quando bisogna valutare i benefici dell’acquisto di 131 cacciabombardieri di ultima generazione. Cittadini che nel nome del profitto e delle alleanze militari vedono aggrediti i loro territori, senza che il rispetto dei principi fondamentali enunciati dalla Costituzione possa tradursi in realtà.
A questo scenario, Presidente, contribuisce attivamente chi da lei è stato indicato quale possibile “solutore” della crisi, e vuole costruire un modello di Stato più privato che pubblico.
Sbaglierò, ma non mi sembra che lei trovi nulla da eccepire.
Mario Badino
Cittadino italiano