Puglia avvelenata. PeaceLink scrive al Commissario europeo (2)

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Pubblico
in due puntate il testo italiano delle lettere inviate dall’associazione PeaceLink al nuovo Commissario europeo all’ambiente, Karmenu Vella.

La prima, datata 15 novembre, sull’Ilva di Taranto è consultabile QUI.

Ecco invece la seconda, del 19 novembre, sull’area industriale di Brindisi.

Commissario Karmenu Vella
Commissario Europeo per l’Ambiente, gli Affari Marittimi e la Pesca
Berlaymont Rue de la Loi, Bruxelles

Brindisi, 19 novembre 2014

Egregio Commissario,

Brindisi è una città del sud d’Italia, nella regione Puglia, a pochi chilometri da Taranto, sede di Peacelink, che le è nota per la presenza dello stabilimento siderurgico ILVA.

Con questa lettera, intendiamo portare alla sua attenzione il fatto che Brindisi sia sede di una serie di grandi impianti industriali, i cui effetti sulla popolazione sono critici e potenzialmente molto pericolosi.

A Brindisi ci sono due centrali elettriche alimentate a carbone: la più grande è la centrale Enel-Federico II (Cerano), mentre la seconda è la centrale Edipower.

La centrale Enel-Federico II (Cerano) è stata definita dall’Agenzia Europea per l’Ambiente come uno degli impianti più inquinanti d’Europa e sicuramente uno dei peggiori in Italia, con un grave impatto sulla salute umana e un alto tasso di produzione di CO2. La centrale termoelettrica Enel-Federico II (Cerano) produce 2400 MW di energia all’anno, bruciando circa 7 milioni di tonnellate di carbone. L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha sottolineato, in uno studio, che questa centrale termoelettrica rappresenta un reale pericolo per la salute, alla luce degli agenti inquinanti che un impianto di combustione del carbone emette: particolato sottile come PM10 e PM2.5, benzo(a)pirene, diossine e isotopi radioattivi naturali. Particolarmente pericolosi sono i metalli pesanti quali mercurio, nichel, piombo, arsenico e cadmio, responsabili di una serie di malattie cancerogene.

A questo link, uno studio della Società Internazionale dei Medici per l’Ambiente, ISDE, sottolinea il collegamento tra gli impianti alimentati a carbone e il cancro.

http://www.isde.it/Biblonline/relazioni/Centrali%20a%20carbone%20e%20tumori.pdf

Brindisi è anche sede di diversi altri impianti: “Versalis ENI”, “Basell Brindisi” e “Chemgas”, che si trovano all’interno del cosiddetto polo petrolchimico, non lontano dalla centrale elettrica a gas “ENIpower” e dalla centrale a carbone “Edipower”. La concentrazione di fonti potenzialmente inquinanti, estremamente alta, comprende anche l’industria chimica farmaceutica “Sanofi Aventis” e una base di stoccaggio per il GPL, “Deposito Costiero Adriatico”, solo per citarne alcuni.

Questo carico industriale che Brindisi sopporta è particolarmente gravoso e insopportabile per una città nella quale un altro elemento critico è rappresentato dalla vastissima discarica di “Micorosa”, 1,5 milioni di metri cubi di fanghi tossici, provenienti dalla produzione del polo petrolchimico, che ricoprono una superficie di ben 44 ettari. Questa zona è diventata una discarica per rifiuti industriali pericolosi e sostanze chimiche altamente tossiche, in cui un milione e mezzo di metri cubi di scorie di ogni tipo si trovano stoccate fino a cinque metri di profondità.

Nella discarica di Micorosa, sono stati trovati importanti quantità di agenti inquinanti:
cloruro di vinile in quantità di 7,7 milioni volte oltre il limite; 1,1 dicloretilene 198
milioni di volte superiori al limite; benzene 50.000 volte oltre il limite, diossina 40
volte oltre il limite.

La minaccia rappresentata dal polo chimico comprende anche il problema delle torce di emergenza della Versalis ENI, che sfiammano da diversi anni con rilevante frequenza, emettendo nell’aria lingue di fuoco alte fino a decine di metri e un denso fumo nero. Le torce sono state poste sotto sequestro nel 2010, nel corso di un’indagine condotta dal Tribunale di Brindisi, che ha portato a 4 avvisi di garanzia per diversi amministratori della società Polimeri Europa (che nel frattempo è diventata Versalis-ENI) e Basell. Il sequestro è stato sospeso qualche mese dopo, e l’impianto ha iniziato a produrre di nuovo con la modalità delle torce accese. Da allora, le sfiammate continuano a verificarsi sempre più spesso con emissioni di SO2, benzene e IPA.

Brindisi è una bomba. Si può trovare nel suo ambiente ogni tipo di agente inquinante e l’impatto sulla popolazione è estremamente importante, come riportato nel Report BMC Pregnancy and Childbirth sulle malformazioni neonatali di bambini nati da madri che vivono a Brindisi.

http://www.biomedcentral.com/1471-2393/12/165.

L’alta incidenza dei casi di cancro in numerosi lavoratori delle varie industrie è stata sottoposta alle autorità nazionali competenti, ma le denunce non hanno trovato finora nessuna risposta. Brindisi fa parte dal 1986 nella lista delle zone di interesse nazionale per alto inquinamento ambientale (SIN). L’area di Cerano, dove si trova la centrale ENEL-Federico II, e la discarica di Micorosa non possono essere utilizzate per l’agricoltura, ma manca ancora un vero e proprio studio dei casi di cancro, di contaminazione di aria, terra e falda acquifera! Non sono mai state realizzate delle analisi rilevanti né condotto uno screening sulla popolazione, anche se l’elevato inquinamento e i suoi effetti sono evidenti.

Riteniamo che la Commissione Europea debba esaminare la situazione di Brindisi, alla luce della Direttiva Europea sulle Emissioni Industriali 2010/75/EU. Alleghiamo un dossier iniziale per fornire informazioni che supportino la nostra richiesta, rimanendo a
vostra completa disposizione per fornire ogni altro dato necessario.

Cogliamo inoltre l’occasione per chiedere un incontro sulla questione
.
Distinti Saluti,

Marco Alvi
si, Associazione Salute Pubblica
Antonia Battaglia, Peacelink
Alessandro Marescotti, Peacelink
Maurizio Portaluri,
Oncologo nel Servizio Pubblico Nazionale
Ornella Tarullo, Peacelink
Peacelink Taranto/Brindisi/Brussels
a.battaglia@peacelink.it
antoniabattaglia@icloud.com

>>> Leggi la lettera del 15 novembre sull’Ilva di Taranto è consultabile QUI.

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Puglia avvelenata. Peacelink scrive al Commissario europeo (1)

ilva
Pubblico in due puntate il testo italiano delle lettere inviate dall’associazione PeaceLink al nuovo Commissario europeo all’ambiente, Karmenu Vella. La prima, datata 15 novembre, ha per argomento l’Ilva di Taranto; la seconda, del 19 novembre, l’area industriale di Brindisi (a due passi da dove mi trovo).

Comincio con Taranto.

Per il Commissario all’Ambiente Karmenu Vella

Egregio Commissario,

a nome di Peacelink, desideriamo congratularci per il suo recente incarico di Commissario per l’Ambiente, gli Affari Marittimi e la Pesca e allo stesso tempo cogliamo l’opportunità per presentarci.

La nostra associazione ha lavorato molto attivamente sulla questione dell’inquinamento provocato dalle emissioni dell’impianto siderurgico ILVA di Taranto, in Italia, e ha portato avanti una convinta azione con la Commissione Europea per denunciare la questione, fornendo aggiornamenti quotidiani della situazione reale sul posto.

Abbiamo sostenuto le nostre azioni in Europa con il materiale che è servito alla Istituzione di cui è parte, attraverso il Commissario Potocnik, per lanciare due procedure di infrazione contro l’Italia, e di recente il parere motivato sul non rispetto da parte dell’ILVA delle norme europee:

http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-1151_en.htm

L’ILVA è il più grande stabilimento siderurgico d’Europa e ha mancato, secondo la Commissione, di operare in conformità alla legislazione europea in materia di emissioni industriali, con conseguenze potenzialmente serie sulla salute umana e sull’ambiente.

La Commissione Europea ha mandato all’Italia due lettere di messa in mora, nel settembre del 2013 e nell’aprile del 2014, esortando le autorità italiane a prendere le disposizioni necessarie per mettere la produttività dell’ILVA a norma e in regola con la direttiva europea sulle emissioni industriali e con l’altra legislazione europea in materia ambientale.
Ma le infrazioni alla legge sono rimaste e importanti deficienze, come il mancato rispetto delle condizioni stabilite nel permesso di produzione (AIA), rendono l’ILVA uno stabilimento pericoloso per i suoi operai e per la città di Taranto.

Le emissioni incontrollate che fuoriescono dagli impianti continuano a generare impatti negativi sulla salute e sull’ambiente. Siamo sicuri che Lei, Commissario, sappia bene cosa l’ILVA rappresenti per Taranto e sia a conoscenza delle diverse e numerose questioni che sono legate alla produzione dello stabilimento: inquinamento, malattia, morte, come riportato nella documentazione prodotta dalla Magistratura italiana.

In linea con la nostra attività e con l’importanza che riveste il ruolo chiave della Commissione Europea nella questione Taranto, ruolo che ha saputo garantire sottolineando la necessità dell’Italia di doversi conformare al rispetto del Diritto Comunitario a Taranto ai fini della protezione ambientale e dei diritti umani della popolazione, vogliamo assicurare alla Commissione che continueremo nella nostra azione e garantiremo il nostro supporto.

Invieremo presto al Suo Gabinetto le informative riguardanti gli ultimi sviluppi a Taranto e ci auguriamo che questo caso, simbolo del bisogno dell’azione dell’Unione Europea nel campo ambientale, continui a rappresentare una priorità per la Commissione Ambiente.

Cogliamo l’occasione per chiedere un appuntamento.

Distinti Saluti,

Per PeaceLink

Antonia Battaglia
Luciano Manna
Alessandro Marescotti

>>> Nella foto, uno scorcio dell’ILVA di Taranto.

>>> Leggi QUI il testo della lettera di PeaceLink sulla situazione di Brindisi.

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Uccidere è immorale

Uccidere è immorale. La penso così. Fosse una cosa ovvia, saremmo tutti a posto.

Perciò se mi venite a dire che è immorale entrare in una sinagoga armati e ammazzare esseri umani, avete scoperto l’acqua calda.

Due sole considerazioni:

1 –

Uccidere è immorale ANCHE quando si bombarda una popolazione inerme.
Uccidere è immorale ANCHE quando si esercita male il proprio ruolo di tutore dell’ordine, in piazza come in carcere.
Uccidere è immorale ANCHE quando si vendono prodotti cancerogeni spacciandoli per sani.
E uccidere è immorale tutte le volte che si subordina la salute e la vita di milioni di persone alla logica del profitto.

Ma esistono due pesi e due misure nel giudicare i crimini dei forti e quelli degli oppressi.

2 –

La politica antipalestinese di Israele NON PUÒ, alla lunga, non generare episodi di questo genere: quando è negata qualunque possibilità di ottenere giustizia, stabilità, sicurezza, quando si perde ogni speranza di liberazione e di pace è giocoforza che la parola passi alla violenza, alle armi, nelle forme e nei modi che sono possibili a chi non ha un esercito e una capacità militare paragonabile a quella del «nemico».

Oggi Israele paga il prezzo della sua politica (chi scrive non ne è in alcun modo contento, e il fatto stesso che sia necessario precisare certe banalità è davvero ridicolo) e si appresta a creare altro odio, inasprendo sempre più le politiche antipalestinesi e dando maggior mano libera ai coloni.

Ciò detto, uccidere è immorale sempre, e la responsabilità penale di un crimine è sempre individuale. Ma non si può non considerare anche il resto.

>>> La butto sempre in poesia; secondo me aiuta.

I giochi rotti

Esci a giocare e te ne torni indietro
deriso, i giochi rotti, l’occhio basso:
la guerra si alimenta poco a poco,
nell’ingiustizia piatta quotidiana.

[Mario Badino]

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Ora che sgocciola

Ora che sgocciola
troppo, che sgocciola addosso,
che sgocciola contro,
che il cielo è fatto nemico,
che l’acqua viene giù
dall’asfalto delle strade,
dai tetti, dai monti,
dai decreti del governo
bagnati di pioggia
– la pioggia sblocca trivelle
che sbloccano pioggia
petrolio case uragani
lavori mafiosi
mazzette – ora si conta
e il danno e l’affare,
il malaffare non conta
se viene l’appalto,
ricostruire sul greto,
finire lo spazio,
finire l’opera in tempo.

Non è mai vostra la casa che cade
sotto la frana, la mano che affonda.

[Mario Badino, 15 novembre 2014]

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Fastidio

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Non so, magari era persino buono l’intento di quell’articolo trovato su facebook, che per di più non ho neanche letto, ma a me ha piuttosto infastidito l’idea di titolare che con due euro al giorno gli anziani possono seguire una dieta meravigliosa – com’era? sana? equilibrata? non ricordo già più, forse era semplicemente «scacciacrisi».

Mi ha infastidito perché dire che in Italia una persona può anche solo nutrirsi decentemente con due euro al giorno è prendere in giro chi ha bisogno – a meno che non si stia proponendo di uscire dal sistema economico dominante, ad esempio facendosi l’orto.

Capita poia proposito di orto – che sulla Stampa online uno legga che negli «orti degli anziani» di Aosta (si trovano in pieno centro cittadino) l’Arpa ha trovato tracce di metalli pesanti nell’insalata, in particolare Nichel e Cobalto. Ma la presenza di metallo in orti e ortaggi, ha spiegato il direttore dell’Arpa regionale, Giovanni Agnesod, «può essere dovuta anche a fattori diversi dall’inquinamento dell’aria, come l’intervento dell’uomo con particolari sostanze o attrezzature».

Può essere, certo. Come può essere che la presenza in piena città, sul fondo di una valle stretta incastonata tra i monti, di un’acciaieria come la Cogne Acciai Speciali c’entri qualcosa; e qui il fastidio aumenta, e non solo per la presenza ad Aosta di una sorgente perpetua di emissioni, ma anche per la tendenza di tanti a minimizzare (non dico, in particolare, di Agnesod, che non conosco direttamente, e che ha pure il dovere di prendere in considerazione tutte le possibili cause, ma sono in tanti, troppi a voler ridimensionare a ogni costo la portata dell’inquinamento da acciaieria sull’aria che respiriamo).

Mi trovo a Mesagne, in provincia di Brindisi, e ci resterò per tutto l’anno scolastico. Aosta è lontana, l’inquinamento no. Qui c’è Cerano, a due passi, la centrale a carbone. C’è l’area industriale di Brindisi. C’è Taranto, un po’ più in là, con l’Ilva. Non so come girino i venti, non so che aria faccio respirare ai bambini, ovunque uno si giri c’è da deprimersi.

Qui dove sono si tende a bere l’acqua in bottiglia, anche se non si dovrebbe. Ho appena letto un elenco delle marche in cui sarebbe più alta la concentrazione di arsenico. Naturalmente c’è anche quella che prendiamo noi, teoricamente una delle migliori. Ma chi ha scritto l’elenco che gira in internet? Un laboratorio d’analisi o una marca rivale? Anche questo provoca fastidio: l’impossibilità di fidarsi delle voci sconosciute, e il timore che sia meglio farlo, dal momento che, a guardarsi dentro, non sembra possibile fidarsi neppure di quelle istituzionali.

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Una roba noiosa – di Carlo Molinaro

Non è mia, ma di Carlo Molinaro. Trovo che sia bellissima, e molto vera – sia come contenuto, sia.

Una roba noiosa
[di Carlo Molinaro]

Tre precisazioni-premesse:
1) sono noioso e ne sono consapevole;
2) in ciò che dico non c’è niente di personale
contro chicchessia,
anche perché critico una forma di pensiero
diffusa presso quasi tutti
e quindi non può essere un fatto personale;
3) non mi considero e non sono femminista.

Ciò premesso,
ancora ieri sera mi dicono
che è inutile che faccio il veterofemminista
stigmatizzando la parola «zoccola»
tanto la figa piace a tutti.

Io mi sento un po’ scoraggiato, ma ecco,
forse la cosa da fare
è denunciare le trappole linguistiche
(avevo premesso che sono noioso).

Che cosa c’entra la parola «zoccola»
con il fatto che la figa piace a tutti?
Che la figa piaccia a (quasi) tutti
è un dato di fatto; dovrebbe esserlo altrettanto
che il cazzo piaccia a (quasi) tutte,
ma già notate che suona diverso.

Che nesso c’è tra «figa» e «zoccola»?
Se faccio una proporzione
figa : zoccola = cazzo : x
che cosa metto al posto di x?
Non mi viene in mente niente:
non c’è una parola con la stessa valenza.

La trappola linguistica in sottotraccia
è che nel prendere/dare la figa
ci sia un’eco di zoccola.

Si usò nel passato la formula
«mancare di rispetto a»
nel senso di «scopare con»
(ovviamente «a» una donna, «con» una donna).
Cioè si intendeva: «se tu donna fai l’amore con me
e non sei la mia sposa o almeno molto promessa sposa,
o non sei, in alternativa a ciò, una zoccola,
io ti manco di rispetto».

Ora io mi auguro che voi capiate
– se no è difficile andare avanti –
che la traduzione di tale frase è:
«se ti scopo, donna,
ti sottraggo al tuo legittimo proprietario
(marito, padre, famiglia, fratelli)
e quindi compio un’azione indegna
(sanzionata dall’indiscussa società patriarcale
che tacitamente tutti accettiamo e riconosciamo)
tranne se:
a) il tuo legittimo proprietario sono io;
oppure
b) tu sei nella categoria delle prostitute,
di proprietà pubblica/collettiva,
destinate al necessario sfogo sessuale del maschio».

Corollario: «l’unica cosa esclusa,
perché assolutamente intollerabile,
è che sia tu, donna, proprietaria di te».

Allora, ragazzi,
sono noioso, scoraggiato e stanco,
e non sono femminista.
Provo ad andare avanti.
Stanco e deluso perché non c’è stato
(e lo avevo sperato)
uno scatto in avanti a far crollare
il vecchio maniero – la vecchia maniera.

Sentite, ragazzi, se odio
la parola «zoccola»
(con tutta l’infinita serie di sinonimi,
puttana troia bagascia mignotta
e chi più ne ha più ne metta)
non è perché sono un’anima bella:
non lo sono affatto,
sono anzi abbastanza torbido e cattivo.

È che la parola «zoccola»
è irrecuperabile,
irrecuperabile a qualsiasi livello
perché portatrice di un nucleo semantico
(e dunque di un nucleo psichico, mentale, culturale)
che associa la libertà di una donna
…ma neanche solo la libertà, cristosanto,
l’amore, dico l’amore:
associa l’amore di una donna,
inteso come lei vuole, nel modo suo di lei,
offerto a chi lei vuole come vuole, a quanti lei vuole,
simultanei o successivi,
associa questo amore e questa libertà
a una condizione di vendita di sesso all’ingrosso.

È talmente chiaro che non so come spiegarlo.
La parola «zoccola» è una parola-uncino
che corre ad arpionare chi è fuggita
per riportarla all’ordine:
ed è subdola, spesso agisce travestita
da scherzo, da gioco, con sorrisi leggeri.
Ma è sempre in agguato, pronta a colpire:
può bastare persino un modo di vestire
o di svestire, un gesto, un discorso.

Quello sguaiato simpaticone
che siede ubriaco a tarda sera al pub
a gambe larghe e, con questo caldo,
s’è aperto la camicia e spara cazzate
turpiloquenti e ride gorgogliando,
tu cambiagli il genere
ed è una zoccola.

Ma non è solo questo il problema.
Nella parola «zoccola» c’è un’impalcatura
che regge un sistema in cui la donna
è merce e lo è sempre.
È venduta o al massimo (ma sempre sotto
qualche controllo) si vende da sé.

Mai che si muova come una persona,
che può amare o no, amare quanti vuole
o nessuno, vestirsi, spogliarsi,
giocare, pure vendere sesso
(sesso, non sé)
e procreare o non procreare,
fare o non fare, dire o non dire,
sedurre o non sedurre, diventare presidente
o anche niente, insomma quelle cose
più o meno riconosciute come
diritti dell’uomo.

Mi sto proprio scoraggiando, comunque.
Se non capite che nelle frasi
a) «quella lì la sua fortuna ce l’ha fra le cosce»
e
b) «non mancherei mai di rispetto alla tua fidanzata»
c’è la stessa, identica carica di volgarità e violenza
(e temo proprio che non lo capiate)
io forse mi arrendo. Sono stanco.
Troppo lunga è la strada.
Ho più di sessant’anni.
Il mondo è vostro.
Andate a cagare.

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Stefano

Nulla da aggiungere a quanto è stato già detto, eppure tacere mi pesa.
Un ragazzo che muore in stato di arresto, coperto di lividi.
Lo Stato riconosce che è avvenuto il pestaggio.
Lo Stato non è in grado di far luce su questo pestaggio, di assicurare alla giustizia i colpevoli. Colpevoli che non possono essere altri, e la sentenza di assoluzione dice soltanto che non è stato possibile trovare le prove, che le persone che quel ragazzo avevano in custodia, insieme con la sua incolumità, la sua salute.
Colpevoli che oggi sono a piede libero; liberi, nel caso, di fare altre vittime.
Ma se gli imputati indossano la divisa, o se vestono il camice, appurare oltre ogni dubbio la verità è due volte interesse di tutti. Persino al di là del dolore dei cari, che ha diritto a una risposta onesta.
E si continua a negare: lo Stato assolve sempre se stesso. Al limite si parla di mele marce.
Di fronte agli uccisi – non uno, molti – di fronte ai contusi e ai feriti della gestione delle piazze, di fronte agli impediti nell’esercizio dei propri diritti, o nella loro libertà di scelta, le “mele marce”, troppe, generano più di un dubbio sulla qualità complessiva dell’intero raccolto. L’idea che si fa strada nella mente di chi osserva è quella di una forza utilizzata per reprimere non il crimine, ma il pensiero e, con esso, tutti i comportamenti, anche privati, giudicati non ortodossi.
Mentre si mette mano alla Costituzione e allo Statuto dei lavoratori.
Mentre crescono le ragioni di dissenso, le occasioni di conflitto. E appare evidente in quale maniera si intenda rispondere al conflitto.
Il cittadino avverte l’impunità di chi il sistema rappresenta (lo dico anche per chi in polizia c’è per le ragioni più nobili: non cedete sempre allo spirito di corpo). Di chi può essere chiamato a fare il lavoro sporco (e – mele marce o meno – ad alcuni il lavoro sporco deve proprio piacere).
Però divago. Tornando a Stefano, perché è da lui che sono partito, un essere umano in carne e ossa, non un nome o un emblema, il fatto è che quello che è stato ammazzato era un uomo in stato di arresto. Al di là degli esecutori materiali dell’aggressione, chi è responsabile dell’incolumità di una persona in stato di arresto? Chi ha la responsabilità della mancata custodia?
Oggi, come cittadino, ho paura. Paura dell’arbitrio e della licenza. Paura che certe mentalità colpiscano me, arrabbiato col potere, come colpiscono chi ha il “torto” di usare sostanze ritenute illegali, come colpiscono chi ha il “torto” di aver perso il lavoro e di essere sceso in strada a protestare, come colpiscono i membri dei movimenti e comitati che – nonostante tutto – lottano per un’Italia migliore, non schiava dell’interesse economico.

A Stefano e ai suoi famigliari un pensiero e un abbraccio.

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