Inquinanti industriali: lettera aperta dell’associazione Contramianto e altri rischi di Taranto

 

 Ricevo
e volentieri pubblico questa lettera aperta di Contramianto e altri rischi Onlus, che giunge da Taranto, una delle realtà d’Italia che maggiormente subisce, in termini di malattie e decessi, le conseguenze di un modello di sviluppo criminale, nel quale l’egoismo di pochi si trasforma in occasione di sofferenza fisica e morale, nonché di dipendenza economica, per molti.
 
 Incidenza degli inquinanti industriali e conseguenze sulla salute della popolazione di Taranto e dell’area jonica

 
 Lettera aperta
 
 A Regione Puglia, Provincia di Taranto, Comune di Taranto, Comune di Statte, ARPA, ASL Taranto
 
 La situazione della città di Taranto e del territorio jonico per la contemporanea presenza di numerosi insediamenti industriali con emissioni inquinanti ha determinato negli anni gravi effetti sulla salute della popolazione con aumenti di patologie e conseguenti crescite dei livelli di morbilità e mortalità.
 Tale situazione è oggettiva e desumibile dagli studi scientifici e dagli atti pubblici degli organi sanitari a livello locale, nazionale e mondiale.
 Le numerose inchieste avviate dalla Procura e quelle ancora in corso come le azioni giudiziarie stanno e cercheranno di chiarire eventuali responsabilità e responsabili.
 In tutta questa vicenda rimane di certo che migliaia di lavoratori e cittadini per colpe non loro patiscono il dramma della malattia e la tragedia della morte, mentre rimane in capo agli organi istituzionali la responsabilità di controllare, garantire e tutelare la salute della popolazione come previsto dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato. Riteniamo pertanto al momento prioritario conoscere quali interventi gli organi istituzionali intendano adottare per ridurre/eliminare gli effetti degli inquinanti e salvaguardare la cittadinanza dalla sinergica azione di tali sostanze e contestualmente quali interventi di sanità pubblica siano programmati a garanzia della salute della cittadinanza anche in relazione agli obblighi previsti dalla L.833/78 nei confronti del sindaco nel caso di situazioni di emergenza sanitaria. Continua a leggere

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Viva Palestina ancora in Egitto

 Carovana bloccata tenta via alternativa
 
 Viva Palestina, la carovana di attivisti internazionali guidata dal parlamentare britannico George Galloway, che doveva raggiungere Gaza ieri, 27 dicembre, è ancora ferma in Egitto a causa del divieto del governo del Cairo di superare il valico di Rafah. Contrariamente a quanto avevo affermato in un precedente articolo, la carovana sta subendo lo stesso trattamento riservato ai 1400 attivisti della Gaza Freedom March. Le due iniziative, volte a spezzare il blocco di Gaza voluto dallo Stato d’Israele, sono ferme in Egitto, nonostante gli accordi precedentemente presi con le autorità del Paese, a causa delle pressioni esercitate da Israele e Stati Uniti.
 Come si legge sul quotidiano israeliano Haaretz, più di 400 membri di Viva Palestina hanno iniziato uno sciopero della fame, che intendono interrompere solo al momento della partenza della carovana per Gaza.
 Update: Secondo l’agenzia d’informazione Arab Monitor, «i 250 automezzi con tonnellate di aiuti umanitari a bordo, a cui l’Egitto ha impedito di attraversare il Mar Rosso, partendo da Aqaba, per raggiungere la striscia di Gaza», si dirigeranno ora verso il porto di Latakia, in Siria, per poi «imbarcarsi alla volta del porto egiziano di el Arish e da qui raggiungere il territorio palestinese assediato da Israele e dal regime egiziano».

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Viva Palestina a Gaza!

 
Viva Palestina!
 
  Purtroppo la notizia pubblicata qui sotto, ripresa da www.ilmediterraneo.it, non sembra trovare conferma. Sembra che la carovana Viva Palestina sia ancora ferma in Egitto e che alcuni membri della spedizione abbiano iniziato uno sciopero della fame per protestare contro il divieto di accedere alla Striscia di Gaza imposto dal governo egiziano.
 Aggiornerò il blog non appena avrò notizie più precise.

 
 La carovana
Viva Palestina è riuscita a raggiungere la Striscia di Gaza ieri, 27 dicembre, rompendo così l’embargo israeliano che da 3 anni costringe un milione e mezzo di persone in uno spazio di 44 chilometri quadrati, senza poter ricevere altro se non i pochi aiuti internazionali che Israele lascia passare, o i beni che filtrano clandestinamente tramite i tunnel (anche armi, è chiaro, ma insieme a queste tutti i generi di prima necessità).
 La carovana trasportava centinaia di tonnellate di aiuti, ma il suo arrivo nella Striscia costituisce un evento dalla portata simbolica enorme, perché permette alla popolazione di Gaza, colpita giusto un anno fa dai bombardamenti dell’operazione «Piombo Fuso» (ma gli ultimi 6 palestinesi uccisi risalgono all’altro ieri, 26 dicembre: 3 a Gaza e 3 in Cisgiordania) e tenuta prigioniera entro confini stabiliti da Israele, di sentire l’abbraccio e la presenza di una comunità internazionale spesso troppo impegnata a blandire la sedicente «unica democrazia del Medioriente» per riconoscerne e condannarne i crimini.
 I buoni uffici del parlamentare inglese George Galloway, organizzatore della carovana, hanno fatto il "miracolo" permettendo l’apertura del valico di Rafah, anche se fino a ieri l’Egitto sembrava intenzionato a bloccare Viva Palestina. Continua a leggere

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Gaza Freedom March

 
 Se c’è
una cosa che mi rode è non aver neppure preso in considerazione di salire su un
aereo e volare al Cairo, dove si stanno radunando i partecipanti alla
Gaza Freedom March, iniziativa internazionale volta a rompere l’embargo
decretato da Israele contro Gaza, territorio in cui (soprav)vive un
milione e mezzo di abitanti, senza altri mezzi che ciò che riesce a
passare clandestinamente attraverso i tunnel o per via ufficiale – ma
con il contagocce – attraverso i valichi con Israele e con l’Egitto:
gli aiuti umanitari.
 Se c’è una cosa che mi rode è non poter essere sul posto domani, 27
dicembre
, a un anno esatto dall’inizio dei bombardamenti dell’operazione
«Piombo Fuso», che in 22 giorni hanno spento più di 1300 vite umane e
distrutto la maggior parte delle infrastrutture di Gaza.
 Se c’è
una cosa che mi rode è il non saper dire con certezza se la mia assenza
è dovuta a codardia, a senso di responsabilità legato al mio novello status
di papà, o a semplice pigrizia – ma no, non è pigrizia: è quando vedi
che succedono le cose e ti sembra impossibile prendervi parte davvero,
perché un conto è pigiare sui tasti del tuo computer e un altro è
lasciare tutto e partire per un "altrove" inatteso, con l’inquietudine,
tra l’altro, di chi sa che se va male non si ritorna indietro.
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Lo «scandalo» della Chiesa

 
 Premessa.

 
 Nel suo discorso natalizio, Benedetto XVI ha spiegato che a «ferire» l’umanità, più che la crisi economica è quella morale. La Chiesa interviene allora offrendo speranza, chiamando ad accogliere gli immigrati, a essere solidali «con coloro che sono colpiti dalle calamità naturali e dalla povertà, anche nelle società opulente».
 Joseph Ratzinger ha poi citato come è tradizione i luoghi del pianeta nei quali sussistono guerra e sofferenza, invocando pace e benessere per la Terrasanta, l’Iraq, il Medioriente, l’Asia e l’Africa tutte.
 Quanto all’Italia, ha auspicato che «la nascita di Cristo rechi in ciascuno nuova speranza e susciti generoso impegno per la concorde costruzione di una società più giusta e solidale».
 

 
 Considerazione

 
 Non occorre essere particolarmente cattolici o credenti per sottoscrivere quanto qui sopra riassunto.

 
 Perché allora la Chiesa non si comporta di conseguenza?

 
 Perché la Chiesa, che non esita a entrare in questioni politiche e sociali che sono di competenza esclusiva dello Stato italiano, non si permette analoghe intrusioni quando è in gioco l’interesse dei potenti?

 
 Che senso ha invitare all’«accoglienza» nei confronti dei migranti quando nei Cie si muore e il papa non pensa neppure lontanamente di scomunicare il governo italiano e i tre quarti del parlamento?

 
 Che senso ha pregare per la pace in Iraq dopo essersi inginocchiati insieme a George Bush, come persone legate da una grande comunione spirituale?

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Nei Cie si muore [da Femminismo a Sud]

 
 Dal blog
Femminismo a Sud. Buon Natale.
 


 Già lo sapevamo che quest’anno, come molti altri, c’era ben poco da festeggiare. Tante persone che tentano di non perdere il proprio diritto al lavoro, alla casa, al pane, alla vita. Tante forme di r-esistenza che subiscono criminalizzazioni e repressione. Diciamolo: se quel tizio di nome gesù fosse esistito e fosse vissuto oggi avrebbe fatto persino una fine peggiore rispetto a quella fatta tanti anni fa perchè sfidava l’ordine precostituito con le sue leggi e la sua ipocrisia. L’avrebbero chiamato terrorista, sovversivo o "clandestino" e l’avrebbero lasciato a marcire dentro un Cie.

 Dalla lista antirazzista di Milano:
 
 mentre milioni d’italiani banchettano allegramente, nel caldo tepore delle proprie case o nell’opulenza dei ristoranti di turno, migliaia di persone festeggiano nel gelo delle galere e di quei campi di concentramento che si chiamano CIE, proprio da uno di questi vi portiamo un augurio: oggi, attorno alle 3 del pomeriggio, una trans da poco rinchiusa in via corelli, si è impiccata…
 
 non sta a noi interpretare il significato d’un gesto essendo questo a qualificarsi da solo: nei CIE si muore!!
 
 non è il primo caso, non sarà tristemente l’ultimo, in un luogo dove solo la distruzione del proprio corpo pare unico strumento per cercare di rompere quel muro di silenzio e d’indifferenza in questo momento, ancora una volta, le parole potrebbero essere molte ma queste ci si strozzano in gola per la rabbia e lo schifo, non ci resta che augurare che vi vada tutto di traverso!!
 

 Nella tua città c’è un lager. Smetti di ignorarlo, perchè nei Cie si stupra e si muore.
 
 [Upload]
 
 Da Macerie:
 
 Una mezzoretta fa ci è arrivata una telefonata da dentro uno dei Cie qui del nord Italia: gira voce, ci hanno detto, che in via Corelli sarebbe morto un recluso, suicida. E proprio mentre cominciavamo a fare qualche verifica abbiamo rintracciato in rete questo lancio di agenzia:
 
 «Un trasessuale brasiliano di 34 anni, bloccato domenica scorsa perché irregolare, si è impiccato nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Per uccidersi ha usato un lenzuolo, fissato alle sbarre della finestra della sua stanza al Cie. Il cadavere è stato scoperto intorno alle 15.30 da un altro immigrato trattenuto nel centro, che ha dato l’allarme.
 
 Secondo la prima ricostruzione, il transessuale sarebbe entrato nella sua stanza attorno alle 14 e da quel momento nulla di strano è stato notato fino alla tragica scoperta del suo gesto. Liberato dalla stretta del lenzuolo, il trans è stato subito portato in infermeria dove sono iniziate, senza esito, le manovre rianimatorie. Quando è arrivata l’ambulanza, il rianimatore non ha potuto fare altro che constatare la morte. Ignota al momento la causa del suicidio. La polizia tiene a sottolineare che in questi giorni il Cie non è particolarmente affollato.»
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Gingombèlls

 Ti piace o presepe?
 O, gingombèlls, gingombèlls, gingol oldeuèi!
 
 Quante volte da bambini abbiamo storpiato la canzone di Natale per
eccellenza? Che poi, anche da grandi, non è che abbiamo imparato il
testo:
 
 «Jingle bells, jingle bells, jingle all the way!», d’accordo. «Oh what fun it is to ride on a one-horse open sleight!», ma poi come continua?
 
 Per chi conosce l’inglese, è il
solito invito al Natale festa-piena-di-gioia, l’allegria della slitta che
corre sulla neve scampanellando, come se ci fosse sempre un motivo per
correre festosamente sulla neve e per scampanellare energicamente. O è forse la gioia
della festa di Babbo Natale (personaggio commerciale inventato dalla
Coca Cola in sostituzione di altri personaggi della tradizione, meno
"spendibili" sul mercato degli acquisti selvaggi e dei giochi per
bambini), sorta di straniero che piomba furtivo di notte nelle case
degli italiani – padani compresi – e invece di essere accolto da un
antifurto o da un cane trova un panettone nel camino, ad ammorbidire la
caduta? Continua a leggere

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