Sulla triste (sconfortante) storia del parroco di Lerici, che con i suoi manifesti invita le donne a fare autocritica perché, se vengono uccise così di frequente dagli uomini evidentemente un poco se lo meritano, ho letto un ottimo post che ripubblico, prendendolo dal blog Abbatto i Muri.
Al di là delle sparate del singolo individuo (le quali troppo spesso sono avallate da certi silenzi o viceversa da certi interventi delle istituzioni, non solo religiose), quando si parla di femminicidio bisogna fare molta attenzione, sia perché a volte si finisce con il colpevolizzare la vittima, assolvendo di fatto il suo aggressore, sia perché c’è sempre chi è in cerca di pretesti per invocare una restrizione delle libertà – femminili e di tutt* – allo scopo di «proteggere», di volta in volta, le «nostre» donne, i «nostri» bambini o la popolazione nel suo insieme (vi dice niente la lotta al terrorismo?).
Off topic, perché il punto non è questo: Al parroco di Lerici non parlo: non credo che ascolterebbe. Ma se mi ascoltasse, gli consiglierei di rileggersi il vangelo.
La Slut Walk delle parrocchiane – dal blog Abbatto i Muri.
Di tutta questa faccenda la parte più interessante è quella che parla di parrocchiane che manifesteranno in minigonna. Perché poi, in generale, mi sembra tutto abbastanza deprimente. Lo è il fatto che si chiamino ad intervenire patriarchi per “aggiustare” la voce di altri patriarchi facendo in modo che si adeguino ai tempi e alle urgenze elettorali. Lo è il fatto che non si sappia produrre una sola alternativa che non sia la gogna e la censura, a legittimazione di un entourage a tutela della dignità delle donne fatto di censori, sbirri, indignati, affrante e incazzate signore che – e spero di ricalcare uno stereotipo anche se so che non è così – si fanno ancora teleguidare dal volere della Chiesa quando si tratta di contraccezione e legge 194 ma storcono il naso quando si parla una lingua che oramai credo sia soltanto di poche persone, pochi uomini.
L’estremista delle posizioni neomachiste messo alla gogna da chi fiuta la notizia, sempre per quella storia che produrre indignazione, specie se si tratta di violenza sulle donne, fa aumentare le vendite dei giornali e procura tanta audience (immagino puntatone di programmi pomeridiani con vescovi e parlamentari di destra a ribadire la sacralità del corpo delle donne), è utilissimo a chi ha bisogno di realizzare la perfetta simmetria tra martiri, le donne, e tutori (o tutrici comunque facendo parte di un sistema tutoriale istituzionale). Trovato l’estremista che oggi è lui e domani chissà, si legittima l’idea che vi sia una sorta di controllo sociale necessario a delimitazione di pensieri e opinioni e a soddisfazione della pubblica morale.
Vedete? Dicono gli ipocriti tutori, che si affrancano da altre critiche di cui sono oggetto quando limitano i corpi delle donne in mille altre maniere ben più insidiose. Vedete? Noi ci siamo, a noi dovete affidarvi, perché siamo noi i custodi dei vostri corpi.
Il corpo delle donne che diventa sempre più come un tempio, la cui offesa è offesa contro la morale e non contro la persona, ancora, di nuovo. E vorrei non vederci questo enorme regresso ma non posso essere felice quando leggo il giornalista che ha fatto lo scooppone andando a mettere sotto torchio un signore che è il prodotto culturale delle peggiori campagne politiche leghiste che dice: “Il buon Dio ci ha dato il raziocinio e i freni inibitori“.
Nessuno dei due, prete e giornalista, si scosta dalla teoria sessista e stereotipata per cui l’uomo sarebbe violento a prescindere. Il primo ne trae motivo di giustificazione e colpevolizzazione per le donne e il secondo ne trae motivo di espiazione e redenzione. L’uno confessa e l’altro si flagella. Ma nella sostanza, mi pare, siano d’accordo. E se qualcun@ vede un progresso nel fatto che l’uomo dica che l’autocontrollo risolve ciò che egli è in natura io direi che vede male.
Come previsto, comunque, il prete aggiusta il tiro e guardacaso usa le stesse identiche parole usate per rilevare la necessità del rispetto della dignità delle donne. “Quando vediamo le nostre madri e sorelle in abiti discinti la dignità delle nostre madri e sorelle viene maltrattata, umiliata.” – egli dice.
Tutti quanti si muovono dunque entro i limiti di una cultura che stabilisce la enorme fragilità delle donne, la necessità che siano tutelate, la santificazione del loro ruolo sociale, la sacralità del loro corpo, inviolabile, perché materno, puro, e noi, bambine, votate al martirio, bisognose di protezione, che crediamo in una religione che relega le donne a ruoli un cicinino anacronistici, ci indispettiamo perché quanto detto dal prete suona un po’ come un sacrilegio, una specie di dispetto alla Madonna, invece che per tutto il resto.
Le stesse femministe, quelle autoritarie, non sono state in grado di scardinare alcunché perché si muovono in quella stessa cultura e le loro teorie sono perfettamente speculari, opposte e uguali, a quelle del prete in questione. L’uno dice che l’uomo è violento di per se’ e le femministe autoritarie dicono la stessa cosa. L’uno dice che per disinnescare una donna deve contenersi e le altre dicono che deve essere lui a contenersi, pentirsi e restare lì per tutta la vita in condizione di eterna prostrazione con il pene e il cervello lucchettati.
L’uno dice che le donne sono buone per fare le mogli e le madri e le femministe autoritarie dicono che esse sono naturalmente buone, migliori, salvifiche, aggiustatutto, materne, sante, dunque in grado di portare salvezza in giro per il mondo e nelle proprie case, talmente grandiose, queste donne, che sarebbero in grado di risolvere economia del mondo, ecologia del pianeta, tutto di tutto. Il prete dice che dato che le donne sono così dovrebbero stare a casa a prendersi cura dei parenti, marito e figli, e le femministe dicono che dato che siamo così istintivamente portate alla cura dobbiamo prenderci “cura” del mondo intero (che culo! accentramento invece che condivisione delle responsabilità). Ed è in nome di quella capacità alla “cura” che si chiedono quote rosa e posti in parlamento. Non per la competenza. Non per il merito. Ma perché saremmo così come ci definisce il prete, né più e né meno.
Ché poi le quote servano per le donne privilegiate affinché abbiano ulteriori privilegi e che la restante parte delle donne viene rispedita a casa dal lavoro e addomesticata a ritenere che le politiche di conciliazione lavoro/famiglia siano un regalo a supporto della loro “natura” di madri/mogli/multitasking/multiaccessoriate/sante, è un’altra storia.
In relazione ai corpi, poi, il prete dice che le donne non possono andare in giro scosciate per via dei brutti istinti maschili. Le femministe autoritarie dicono che bisogna essere prudenti e che non bisogna sollecitare nell’uomo l’istinto primordiale che ce l’hanno sempre ‘npizzu, lì lì da venire, pronto a manifestarsi alla prima perdita di controllo, ché basta che si mostrino in giro tanti culi e tante tette nei programmi televisivi e nei manifesti pubblicitari e all’uomo gli si risveglia il coso, il mostro dormiente.
Sostanzialmente dicono la stessa cosa. Il primo risolve dicendo che le femmine devono coprirsi e le seconde praticamente pure. Il primo perché se non lo facciamo siamo pulle e le seconde perché offendiamo la dignità delle donne, oggettifichiamo, disumanizzandoli, i corpi femminili e addirittura saremmo complici del maschilismo e traditrici del branco di genere femminile se mostriamo i corpi un po’ come ci pare in casa, in strada, in televisione, nei manifesti pubblicitari. Il primo pensa che le donne devono coprirsi per le ragioni di cui sopra e le seconde, talvolta rappresentate dal Pd, lo stesso che è accigliatissimo su questa storia, chiedono e ottengono ordinanze cittadine per il decoro, per il rispetto della pubblica decenza, relegando le prostitute (definite “meretrici”) in periferia perché i loro “abiti succinti turbano la morale e quiete pubblica“.
Ipocrisie. Tante ipocrisie giocate sulla pelle delle donne e degli uomini. Le prime comunque considerate imbecilli e deboli e non in grado di difendersi mai e di innescare meccanismi controculturali tali da poter sovvertire significati tanto retrogradi e i secondi considerati solo “mostri” da mettere sotto controllo in una perfetta riedizione de “La bella e la bestia” o dei più moderni “Twilight” in cui alle donne tocca sempre e comunque di prendersi cura del mostro che è in lui e se esce fuori è sempre lei che ne è responsabile.
Sulle questioni di pura omofobia sociale io direi che il prete ha nella sua corrente di pensiero grandi ispiratori e se avesse prodotto un volantino su questo – temo – nessuno si sarebbe incazzato altrettanto.
Il perché è presto detto, almeno lo è per me: in una società divisa tra preti e sacerdotesse femministe in cui si pensa che tutto ruoti attorno alle figure dell’uomo e della donna, dove gli altri generi da entrambi sono considerati niente, giacché entrambi la pensano allo stesso modo su moltissime cose, più di quelle che dicono, dove i primi vogliono le donne riproduttive e le seconde naturalmente votate alla cura, con l’istinto materno eccetera, in un totale e categorico rifiuto di qualunque altra opzione, ritenendo che le donne che non rientrino in questi stereotipi e categorie siano “anormali”, in una società così immaginata non c’è spazio per gay, lesbiche, trans.
Non c’è spazio per una donna che non sia biologicamente tale, che non ce l’ha proprio per niente l’istinto alla cura o che vuole figli ma non è etero e non c’è spazio per un uomo, anche etero, che non reputa se stesso uno stallone, o che non vuole figli. Non c’è spazio per una espressione differente di femminilità e mascolinità che non è certo quella che io vorrei giacché non sono io a determinare le necessità altrui ma è quella che vedo espressa da tanti che conosco che non hanno bisogno di camminare con la museruola al pene, che scelgono, sono straordinari e si portano sul groppone una reputazione di merda per un marchio che viene impresso loro dalla nascita. Lo stesso che mi porto dietro io. Loro i carnefici e io sono la martire.
Perciò di tutta questa storia la parte più interessante sono le parrocchiane in minigonna. Che loro lo sappiano o no forse non si rendono conto che c’è più femminismo in loro che non nelle femministe che in Italia non vogliono fare una Slut Walk. Buona Slut Walk Parrocchiale, dunque, e mettetevi minigonne che siano davvero mini perché se le mettete lunghe solo un po’ sopra al ginocchio non vale.
—>>>Segnalo il post di Loredana Lipperini che ha perfettamente colto quanto volevo dire: i fenomeni si innescano a catena, così, in modo virale, basta la prima condivisione e via… perché quella che si fa non è più comunicazione ma condivisione di pornomostruosità per pornoindignazione. Perché i troll/flamer vanno disinnescati e non resi famosi. Ma in questo tempo medioevale di ronde virtuali e tribunali dell’inquisizione antisessisti se togli una preda alle folle lincianti assetate di sangue si sa che sei tu la cattiva…
—>>>La prima immagine corrisponde a La Fontaine – Tales and Novels in verse – v2 p130