Il furto più grande dopo il ventennio (quello fascista, che privò il Paese della libertà e lo condusse a capofitto nella guerra e nelle leggi razziali). Non ci sono altre parole.
Il pareggio di bilancio entra, come obbligo, nella nostra Costituzione.
Tradotto, significa che la sovranità sulla spesa pubblica è sottratta al Parlamento e al governo e demandata agli automatismi decisi da Bruxelles (si legga Berlino), nel nome della fallimentare ideologia liberista che «infiniti addusse lutti» al mondo intero, a cominciare proprio dagli «achei».
In sostanza, con l’introduzione del vincolo di bilancio, sarà vietato indebitarsi: non dovrà uscire più di quanto entra. Il che significa la fine di quanto rimane del welfare, delle politiche sociali, dello stesso concetto di solidarietà sociale e nazionale, perché gli ultimi decenni hanno dimostrato ampiamente che quando c’è da scegliere tra le forze armate e la sanità, le scuole private e quella pubblica, le grandi opere e le opere normali, le pensioni e il lavoro, la scelta dei governi va sempre, anche in tempi di vacche grasse, dove le lobby trovano la loro convenienza.
Non prendiamoci in giro: la spesa sociale si fa con l’indebitamento. Perché il rispetto («responsabile», ça va sans dire) di accordi e trattati con i Paesi alleati (militari in primis, e poi economici e infrastrutturali) viene sempre prima dell’interesse dei cittadini.
Aggiungiamo la “normale” corruzione, le ruberie, gli sprechi e avremo un’idea precisa del perché la fine non tanto dell’indebitamento, di per sé negativo, ma della possibilità stessa di far ricorso al prestito, corrisponde, se non alla fine, a un ridimensionamento radicale – del resto già avviato da tempo e con successo – dello stato sociale e del sistema di tutele e garanzie delle classi e dei soggetti più deboli.
Con il voto del Parlamento italiano, che ha scelto allegramente di mutilare il proprio ruolo e le proprie funzioni di rappresentanza, rinunciando a esprimersi sull’entità della spesa pubblica, la Repubblica italiana muta forma, snaturando la propria Costituzione con l’entusiasta beneplacito di Giorgio Napolitano, che pure della Carta dovrebbe essere il Garante.
Ma «uno Stato o è sociale o non è» e se non lo è più le sue finalità sono ridotte al controllo – peraltro subordinato all’interesse particolare di qualcuno – e alla repressione del dissenso. Come in Val di Susa, o come a Genova 10 anni fa.
Attenzione, però, perché il dissenso da cancellare non è tanto quello dei violenti, ma più in generale quello rivolto contro il modello economico dominante; ad esempio quello di chi, attraverso i referendum di giugno, ha chiesto a gran voce il rispetto dei beni comuni, negandone lo statuto di merce; o quello di chi non accetta che si sacrifichino i lavoratori e i pensionati per acquistare un centinaio di cacciabombardieri.
Siamo noi, alla fine, i «facinorosi», noi che in qualche modo non ci stiamo (ma adesso si dice «terroristi»). E non è un caso che per introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione si sia riusciti ad aggirare il referendum confermativo: non si vorrà mica permettere che i cittadini – questi pericolosi black bloc – esprimano il proprio dissenso con uno strumento violento come il voto…
>>> Nell’immagine, alcuni abitanti della Fattoria degli Animali di Orwell, mentre assistono attoniti alla modifica dei principi proclamati all’indomani della liberazione. Se non ci sentiamo prima, buon 25 aprile.