Nessuna retorica sui «nostri» soldati. Rispettiamo i caduti: chiediamo una stampa libera

 
 Sarò stronzo, non so, ma se c’è una cosa che mi fa rabbia è la retorica
intorno ai «nostri» militari nel mondo, che esplode, puntuale, dopo ogni
attentato. Oggi a Kabul sono morti 6 paracadutisti della Folgore, e
insieme a loro 10 civili, mentre almeno 50 persone, tra le quali altri
4 militari italiani, sono rimaste ferite. Il dolore c’è, non si discute, eppure la domanda è sempre la stessa: che cosa fanno i nostri militari a Kabul?
Proteggono la democrazia e il popolo afgano? O pagano il tributo alle
guerre di Bush, trasformatesi poi nelle guerre di Obama? O magari il
pedaggio alla via delle commesse per Finmeccanica, la nostra
multinazionale delle armi, rendendo possibili le belle joint venture per assemblare gli F-35 a Cameri (Novara)?
 
 Non so che cosa farmene del cordoglio
delle istituzioni. Spero soltanto che non m’impongano il minuto di
silenzio a scuola. Perché – l’ho detto – non è il valore della vita di
queste vittime che metto in discussione: è l’onestà delle intenzioni.
Infatti, penso io, celebrare i nostri «eroi» in quella che è sempre più
spesso presentata per ciò che è, una guerra, significa celebrare la
guerra in sé, ribadirne ancora una volta la legittimità, tanto per il diritto internazionale
quanto per la felicità del popolo afgano.
 
 Peccato che i sondaggi (quando
indicano gradimento per Berlusconi sono la Bibbia, altrimenti non hanno
alcun valore) indichino che la grande maggioranza degli afgani non
vuole gli eserciti occidentali; che, soprattutto, gli afgani non sono
più felici di prima della guerra; che i talebani stanno riacquistando
influenza e potere.
 
 Qualunque cosa si pensi del conflitto in sé, e del
grado di violenza che comporta, gli osservatori più avveduti concordano
su questo: quella afgana è ormai una partita persa per la coalizione
occidentale. Non saperlo riconoscere, o avere interessi (di qualunque
tipo) per restare laggiù
comunque, significa essere i veri
responsabili della morte dei 4 paracadutisti e dei 10 civili, ma
soprattutto delle centinaia e centinaia di afgani innocenti che, tutti i giorni, fungono
da «vittime collaterali» delle operazioni mirate della coalizione a guida americana.
 
 Intanto, secondo una logica a me incomprensibile, la Federazione nazionale della stampa ha rimandato a data da destinarsi la manifestazione nazionale di sabato a Roma per la libertà di espressione in Italia, iniziativa di cui ci sarebbe invece un gran bisogno subito.
 
 «Con profondo rispetto verso i caduti, nell’espressione di
un’autentica, permanente volontà di pace quale condizione indispensabile di una
informazione libera e plurale capace di rappresentare degnamente i valori della
convivenza civile, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha deciso,
d’intesa con le altre organizzazioni aderenti (Cgil, Acli, Arci, Art. 21,
Libertà è Giustizia e numerose associazioni sindacali, sociali e culturali), di
rinviare ad altra data la manifestazione per la libertà di stampa programmata a
Roma per sabato prossimo».
 
 Questo il comunicato. Come se lottare per la libertà di stampa
e per un Paese migliore fosse un modo per mancare di rispetto ai
soldati caduti. Forse, alla fine, la sola maniera di onorarli veramente sarebbe chiedere
conto dell’accaduto a chi li ha mandati laggiù in barba all’articolo 11
della nostra Costituzione.


 Nella foto: Roma. Carabinieri in tenuta antisommossa presidiano l’Altare della Patria in occasione della manifestazione No War No Bush Day, il 9 giugno del 2007.

Questa voce è stata pubblicata in General. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Nessuna retorica sui «nostri» soldati. Rispettiamo i caduti: chiediamo una stampa libera

  1. ilfesso scrive:

    Caro Mario, vatti a leggere il ‘sobrio’ commento a questa notizia che ho pubblicato su Facebook e vedrai che c’è chi è più stronzo di te!

  2. Mario scrive:

    Ho letto il commento e non immaginavo che sapessi essere così “sobrio”. Naturalmente sono d’accordo con te. A parte i fascistoni che in guerra ci vanno volentieri (e purtroppo credo che la Folgore ne sia piena), la responsabilità per la morte di questi esseri umani (e di migliaia di altri esseri umani – i civili afgani vittime “collaterali” delle nostre operazioni “mirate”) va a chi li ha mandati in Afghanistan. Gli stessi che ora piangono lacrime di coccodrillo. La vera domanda adesso è: come insegnante, lo faccio il minuto di silenzio a scuola? Cos’è che viene strumentalizzato meno? Ma mi si nota di più se non vengo o se vengo e me ne sto in un angolo? (ah, no, Nanni Moretti non c’entra)

I commenti sono chiusi.