Firma l’appello on line!
Carissimo premier, in una democrazia (e giustamente si starà chiedendo che cosa c’entri l’Italia) i giornalisti sono quelli che fanno le domande.
Sono i cani da guardia del potere.
Quelli che tengono d’occhio chi governa (e chi altro dovrebbero tenere d’occhio, del resto?).
I giornalisti di Repubblica le hanno fatto 10 domande. Poi gliene hanno fatte altre 10. Fanno 20 domande.
Se non intendeva rispondere, bastava stesse zitto. Dal momento che lei non è capace, ha pensato bene di straparlare un’altra volta, chiedendo un milione di euro di danni a Repubblica perché, birichini, certe domande non si fanno!
«Come e quando ha conosciuto il padre di Noemi?»
«È vero che lei ha promesso a Noemi di favorire la sua carriera nello spettacolo o in politica?»
«Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiano compromesso gli affari di Stato?»
«Lei ritiene di potersi ancora candidare alla Presidenza della Repubblica?»
«Alla luce di quanto emerso in questi due mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute?»
Eccetera eccetera…
Le sembrano domande indiscrete? Meritevoli di una querela?
Mi faccia capire, perché io, come cittadino, vorrei conoscere la risposta a queste e altre domande (come ad esempio su cosa poggi l’origine della sua fortuna economica).
Carissimo premier (è un eufemismo: a rivolgermi a lei come vorrei mi beccherei sul serio una querela!), in una democrazia (e l’Italia – per il momento – ancora lo è) fare domande è permesso. Non so se sia permesso, invece, occupare una posizione come la sua e sottrarsi all’obbligo morale di dare una risposta. E sicuramente non è permesso minacciare quei pochi organi di stampa che non le appartengano o non siano schierati in suo favore, perché in democrazia (ma che parola odiosa!) il dissenso è il sale della cittadinanza attiva e responsabile.
La lascio con l’appello di tre importanti giuristi, Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, contro la sua ennesima intimidazione alla stampa libera.
Essendo questa una lettera aperta, invito tutte e tutti a firmare l’appello on line.
Con nessunissima stima,
Mario Badino
Cittadino italiano
Il testo dell’appello:
L’attacco a "Repubblica", di cui la citazione in
giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto
come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare
l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle
informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della
democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che
hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo.
Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non
gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle:
non tacitare chi le fa, ma rispondere.
Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi
esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con
qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le
informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era
vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i
regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.
Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non
solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi
d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica,
senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del
diritto.
Franco Cordero
Stefano Rodotà
Gustavo Zagrebelsky
Firma l’appello on line!
Ho inviato questa lettera aperta al presidente del consiglio, ma la sua casella postale risulta piena. Buon segno?
Infatti il diritto non è credibile, è solo la foglia di fico dello sfruttamento dei privilegiati sugli altri.
Infatti l’unica speranza è la cattiva pubblicità che sta cadendo su Berlusconi. Forse…
solidarietà piena al adirettore ed alla direzione.
Avanti così.
Chi non rispetta le regole non può dettare le regole. In democrazia, chi è al governo deve essere il primo esempio di rispetto delle regole.
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