Due delle cinque persone arrestate ieri da Hamas avrebbero confessato di essere gli esecutori materiali del rapimento e dell’omicidio di Vittorio Arrigoni.
Se tutto ciò sarà confermato i due salafiti, accusati di «alto tradimento» saranno condannati a morte (si veda questo articolo di Repubblica online).
Spero di non ferire chi sta soffrendo per la scomparsa di Vittorio, ma non credo che lui – sostenitore dei diritti umani e dell’esigenza, soprattutto, di «restare umani» – apprezzerebbe che la vendetta fosse applicata in suo nome, attraverso la pena capitale.
“Giustiziare” i colpevoli serve soltanto a produrre nuovo odio e violenza, passioni che certo non mancano a Gaza. Auspicabile, invece, è che si faccia la necessaria chiarezza sulle dinamiche degli eventi: la fazione salafita al-Tawhid wal-Jihad ha dichiarato di non aver nulla a che fare con la morte di Vittorio, condannando i rapitori come una «scheggia impazzita». Un comitato di teologi islamici ha emesso una fatwa (decreto religioso) nel quale si afferma che l’assassinio di Arrigoni è «un crimine contro l’Islam» e «fa il gioco del nemico sionista». È davvero l’unica percorribile l’ipotesi di un commando fuori controllo, considerato il ruolo chiave di Vittorio nel testimoniare dei crimini di guerra israeliani?
Al di là delle – non facilmente liquidabili – tesi “complottistiche”, secondo le quali l’intelligence di Tel Aviv avrebbe un ruolo nella vicenda, non è possibile non rilevare come 45 anni di occupazione militare o di embargo abbiano trasformato la società palestinese e chiedere con forza, qualora mai esistesse una comunità internazionale, la fine di una politica antipalestinese fatta di bombe come di restrizioni dei diritti umani fondamentali, se non per giustizia almeno per prevenire il diffondersi del radicalismo religioso in una terra oggi disperata per l’assenza di prospettive.
I “sepolcri imbiancati” che dall’Italia e dal mondo – da Barack Obama all’ineffabile Ignazio La Russa – hanno condannato come «barbarie» la morte di Vittorio sono gli stessi “potenti” che non muovono un dito per consentire la fine di una situazione all’interno della quale la stessa mancanza di speranza incoraggia derive di tipo estremistico, nella convinzione che dove i discorsi non possono, potranno le bombe e dove l’essere umano ha fallito, provvederà Allah.
Proprio l’azione politica di questi “signori” (ricordo en passant il trattato di cooperazione militare che lega l’Italia e Israele) rendeva così preziosa la testimonianza di Vittorio, una delle poche voci non embedded, che anche negli ultimi giorni raccontava di raid israeliani su Gaza con tanto di morti e feriti, commessi nell’ignoranza del mondo.
Una buona notizia è dunque che l’account di Facebook sul quale Vik scriveva ha ripreso a raccontare ciò che succede nella Striscia, grazie all’opera di alcuni amici. «Vittorio ha lasciato in mani fidate l’accesso a questa pagina. D’accordo con la famiglia abbiamo deciso di continuare a pubblicare», si legge in un post.
Restiamo umani.
>>> Ho pubblicato QUI il mio ricordo di Vittorio.
>>> L’evento Facebook relativo alla commemorazione di domani, 18 aprile, alle ore 21.30 al circolo Arci Espace Populaire di Aosta.
>>> L’immagine di questo articolo è un tributo a Vittorio realizzato da Carlos Latuff, vignettista brasiliano, amico sincero della Palestina.
>>> QUI il podcast della serata per Gaza organizzata dall’Espace Populaire in collaborazione con Fusoradio l’8 giugno 2009, con un collegamento telefonico con Vittorio dalla Striscia.