Italiani gente seria

 Ah ah ah!
 Italiani «brava gente»
 
 Saremo pure «brava gente», noi italiani (lo dimostra, fra i molti esempi possibili, la pratica dei cosiddetti «respingimenti in mare» che a me, che in acqua resto a galla a fatica, fa particolarmente effetto, oppure la nuova legge sulla sicurezza), ma certo non siamo «gente seria». Anche qui, trovare l’esempio calzante non è cosa impervia, basta bussare alle porte dei Palazzi, trasformati – con buona pace del Capo dello Stato, che evidentemente preferirebbe trovarsi a capo di un Paese diverso da quello esistente, e migliore – non tanto in postriboli (dobbiamo evitare a ogni costo di buttarla sul moralismo, perché non è lì il guaio), ma in un «sistema» di corruzione e potere, basato sulla domanda e sull’offerta di «favori», anche sessuali, da compensare con qualche ruolo nei mondi, ormai intercambiabili, dello spettacolo o della politica (a proposito: chissà perché avranno abolito le preferenze?). Un sistema sessista e, più in generale, colpevole di corruzione sistematica nei confronti di una popolazione presso la quale il cittadino, da tempo ridotto al ruolo di consumatore, da acquirente che era è ora trasformato in merce. Palazzo Grazioli, insomma, come metafora della metamorfosi sociale in atto.
 
 «Brava gente» in Afghanistan
 
 Saremo pure «poco seri», noi italiani, ma certo siamo «brava gente» e quando all’estero ci ammazzano un compatriota lo sdegno alto si leva, fino a coprire le ragioni – spesso irragionevoli – per cui il tal compatriota all’estero si trovava. Abbiamo soldati in giro per il mondo, consapevoli di essere «in missione», inconsapevoli forse della natura di tale «missione». Così, se a seguito dell’esplosione di una bomba, muore un parà (lo dico con tristezza e non intendo in alcun modo minimizzare il carattere tragico dell’avvenimento), neppure abbiamo modo di consolarci, di capire, con qualche riflessione sull’ineluttabile crudeltà della guerra, perché – ce l’hanno assicurato – l’Italia non è in guerra: l’articolo 11 della Costituzione non lo permetterebbe. Così, se è vero che un incidente difficilmente evitabile in certi teatri d’azione e «il dolore per la morte del parà» non possono mettere «in discussione la missione», forse sarebbe il caso di domandarsi quale sia il senso di tale «missione», indipendentemente dalle perdite umane, così da sapere almeno per cosa si muore, se per portare nel mondo (e con le armi in pugno!) la «democrazia» e una non meglio precisata «libertà» (quella d’impresa, magari) o per bombardare obiettivi militari dal cielo, facendo strage ogni volta di civili, vittime umane ridotte a «effetti collaterali», con buona pace del Capo dello Stato, che evidentemente preferirebbe trovarsi a capo di un Paese diverso da quello esistente, e migliore.
 
 Vuoti a rendere
 
 Saremo pure brava gente, noi italiani, ma certo non siamo seri. «Craxi aveva sicuramente interpretato meglio di ogni altro uomo politico il cambiamento della società», ha dichiarato recentemente Walter Veltroni (ma non doveva, prima o dopo, andare ad aiutare l’Africa? Ecco una promessa politica della quale Geldoff non ha reclamato il mantenimento, chissà perché). Mentre il PCI «soffriva l’innovazione come tale», ha proseguito l’ex segretario del PD, Craxi aveva adottato «un modo di comunicare felice e moderno». Il che, evidentemente, vale a redimerlo per tutti gli «errori» commessi, più propriamente i reati per i quali l’ex presidente del consiglio è morto non esule, ma latitante. Aveva rubato? Era fautore o complice di un sistema corrotto? Walter non se lo chiede, dice soltanto che sapeva «comunicare». Di un errore, però, si è macchiato: «Se al referendum del ’91 avesse intuito l’idea del bipolarismo invece di mandare tutti al mare molte cose sarebbero cambiate». Vuoi vedere che Craxi era rimasto molto più a sinistra del PD?
 
 L’italia seria
 
 Sarà anche vero che, accanto al Biscione, c’è anche un’Italia seria, maggioritaria forse (ma allora il Biscione chi lo vota? come fa a vincere?). Basta guardare il principale partito d’opposizione, diviso su tutto, ma pronto – a seconda delle ricette dei candidati segretari – a includere chiunque, da Vendola alla Binetti, con buona pace non del Capo dello Stato, stavolta, ma dell’aspirazione, che dovrebbe essere logica in qualunque partito, a un programma condiviso. Chiunque, ma non Beppe Grillo, che personalmente non vorrei a capo di un partito “mio”, perché sono piuttosto critico con alcune sue posizioni, ma che vedrei benissimo come segretario di un partito “altrui”, ad esempio il PD: ci sarebbe una buona volta una posizione chiara, da parte del principale partito d’opposizione, sugli inceneritori, sul nucleare, sulla libertà d’espressione in internet; ci sarebbe finalmente un po’ di verve nell’attaccare la maggioranza, con buona pace del Capo dello Stato, che evidentemente preferirebbe trovarsi a capo di un Paese diverso da quello esistente, e migliore, meritevole di una qualche «tregua». Per di più, a rendere Grillo il candidato ideale per la segreteria del PD, c’è un fatto determinante: come Bersani, Franceschini e Marino, Beppe Grillo non è di sinistra! Ma forse – parlando da anni di ambiente, nuove tecnologie e decrescita – potrebbe proporre una politica di buon senso, almeno per non perdere la faccia con i suoi fan…
 
 Tg1
 
 PS: Nel Paese della «brava gente poco seria», il polso del papa conta più dei 9 morti (e decine di feriti) dell’attentato di Giacarta, o dell’auto che a Roma ha centrato una fermata dell’autobus ammazzando, se ricordo giusto, due persone. Sicuramente, conta di più del fatto che Napolitano non ha rifiutato di firmare la «legge sulla sicurezza». In apertura di giornale, il Tg1 delle 13.30 si è dilungato con tanto di servizi di Aosta su Benedetto XVI che è caduto in camera sua fratturandosi il polso. Tutto il resto, dopo. E dire che a seguire il papa son solo quattro gatti

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