Il sottomarino giallo

  FINO AL 4 MAGGIO!
 
 Ho approfittato
della settimana della cultura
(cinema e musei gratis e varie iniziative fino a lunedì 31) e sono andato al
Museo archeologico di Aosta, a vedere la mostra «Arrivano i Beatles. Storie di
una generazione
» (dal 9 dicembre al 4 maggio: a meno di proroghe è quasi
finita
). Anche se non sono mai stato esattamente un patito del gruppo, ricordo
che quando ho deciso di abbandonare Bimbo Mix e le canzoni dei cartoni animati
per qualcosa di più “adulto” mia mamma mi ha portato in un negozio di musica, dove
ho acquistato una cassetta dalla copertina verde, intitolata (se non sbaglio) A
collection of oldies
, e contenente i primi successi dei Beatles. Che in un
certo senso, quindi, sono stati il mio primo incontro con il rock e forse
persino una specie di rito di passaggio.
 
 La mostra è bella e la consiglio a
tutt*.
Fra l’altro, si tratta anche di un salto nel passato recente, in pieno
mito anni ’60, agli albori della società dell’immagine, un percorso guidato da
oggetti dell’epoca, fotografie, filmati…
 
 Cominciamo con le «curiosità»: i Beatles
in numeri
, dalle 18 canzoni che hanno un nome di donna nel titolo ai 24 «yeah»
gridati in She loves you, ai 3 miliardi e 740 milioni di persone nate dopo lo
scioglimento del gruppo, passando per 42 dischi d’oro, 60 milioni e mezzo di
voci su Google (un milione e 800 mila i risultati solo in italiano). Secondo punto,
il costume:
la pettinatura alla Beatles, suggerita alla formazione da Astrid
Kirchten
, artista tedesca legata a Stuart Sutcliffe, primo bassista del gruppo.
Ci troviamo proiettati in un mondo che sembra lontano anni luce, con una
copertina della Domenica del Corriere (anno 1964, tavola a colori di Walter
Molin
o ambientata in un salone da barbiere): «Rapati dai genitori i fans dei
Beatles
», s’intitola. A Melbourne, informa, a seguito di una «sfrenata
manifestazione d’isterismo collettivo» costata il ferimento di 150 ragazzi,
alcuni genitori, «dopo aver sculacciato a dovere i propri figli, li hanno
trascinati dai parrucchieri e, legati i più recalcitranti alle sedie, li hanno
fatti “tosare” eliminando così quelle orribili capigliature con le frangette
“alla Beatles”
». Poco più in là, i quattro «zazzeruti» (così li definiscono i
giornali italiani) fanno la loro figura al «simposio dei calvi londinesi» dove
sono stati invitati a suonare, a prescindere dall’abbondanza delle loro
capigliature. E l’abbondanza è il filo conduttore dell’intera mostra, tentativo
di restituire la «Beatlemania» che fu: un numero impressionante di copertine e
dischi originali
, banconote con la faccia dei quattro (dollari, ma anche euro),
francobolli, tantissime foto e poi gli scrapbooks, album fotografici sui
Beatles, artigianali alcuni, composti di ritagli di giornale, altri
“ufficiali”, pubblicati per essere venduti…

 «Come avete trovato l’America?»
 «A sinistra dopo la Groenlandia» (John,
1964)


 
 C’è il video della trasmissione
americana Ed’ Sullivan Show, ospiti i Beatles, puntata dell’8 febbraio ’64,
seguita da 73 milioni di telespettatori Usa, inframmezzata dalla pubblicità del
preparato per pizze e torte, delle compresse per il mal di testa. I Beatles
cominciano con Twist and Shout, bellini, tranquilli, colle chitarre e le
vocettine pulite, la cravatta e i coretti, l’inchino dopo ogni canzone e il
pubblico in delirio: ragazze giovanissime li seguono a ritmo, cantano e
gridano.
 
 
Continua la «Beatlemania»: nelle teche
scarpe, spille, astucci, taccuini, scotch, fibbie, cappellini, portachiavi,
libri, cuscini, adesivi, matrioske, satuine, puzzle, piatti, fiammiferi, gomme
da masticare
, valigette di latta, bicchieri, teiere, tazze, vassoi, carte da
gioco
, tutto con la faccia o l’effigie dei quattro, lettere d’amore pubblicate,
pagine di giornale, biglietti di concerti… I Beatles risollevano da soli
l’economia inglese: Londra diventa la capitale della «Beatlemania», richiamando
moltissimi turisti che vogliono vestire come loro, sfoggiare la loro
pettinatura, ballare la loro musica. Nel 1965 la regina in persona ringrazia
i quattro musicisti nominandoli baronetti.

 
 Continuo il giro, m’imbatto nel tour
italiano
(Milano, Genova, Roma): The Beatles con Peppino di Capri MILANO –
Velodromo Vigorelli 24 giugno ore 16 e ore 21.15 presentati da Leo W.
Poi
manifesti di tutto il mondo, moltissime riviste, biografie, guide,
spartiti: Help! tradotta in Se non mi aiuti tu, testo italiano di Mogol. E
ancora: vestiti, magliette, picture disk, un vinile con immagini in 3D e gli
occhialetti
, fumetti, giradischi portatili, portadischi, cartoni animati,
audiocassette, un oblò dal quale si osserva un sottomarino giallo luminoso,
cravatte, la pubblicità del sandwich Submarino amarillo (da Pizza Kingmucho
más que pizza!
), un disco d’oro per le oltre 500.000 copie dell’album The
Beatles 1967-1970
.
 
 
Passo sulle strisce pedonali in Abbey
Road
e mi vedo riflesso nello specchio (deformante) assieme ai Beatles. Sono
decisamente più alto. Ecco la copertina di The Abbey Road EP dei Red Hot Chili
Peppers
, che attraversano la strada nudi, con la parte davanti infilata in un
calzino bianco. Ecco le foto dell’India, la leggenda della morte di Paul
McCartney
, un teatrino delle marionette, infine, e la scritta: «Go to Saint
Bénin and visit Pepperland!
» [Vai al Saint Bénin e visita Pepperland!]
 
 Il priorato Saint Bénin, dice la targa
in francese, nacque nel 1596 come collegio e fu la «culla intellettuale della
maggior parte dei valdostani che hanno lasciato tracce durevoli nella storia
del Paese di Aosta»
. Oggi questo «monumento medievaleggiante, dalle linee scure e
armoniose, aureolate di prestigio
» ospita esposizioni in coppia con il Museo
archeologico
. Se nella prima parte Arrivano i Beatles si concentra
sugli aspetti dell’epopea legati a musica e costume, al Saint Bénin è di scena
il cinema, con foto originali e manifesti. Sono presenti i film dei Beatles, i film
in cui recita Ringo Starr
, i film ai quali i Beatles avrebbero dovuto
partecipare
, ma poi non se ne fece più niente. Ricordiamo, in particolare:
 
 A Hard Day’s Night (Tutti per uno),
1964;
 
 Help! (Aiuto!), 1965;

 Come ho vinto la guerra, 1967;
 
 Yellow Submarine, «film d’animazione
simbolo del ‘68»;

 Let it be, 1969-’70 (esce insieme all’omonimo
disco, quando il gruppo si è già sciolto da un mese. «Fu il documentario del
nostro scioglimento», commentò McCartney).

 
 
Ammetto di non aver fatto una gran cronaca,
ma non sono un esperto. Consiglio invece di vedere la mostra; c’è tempo fino al
4 maggio.
A questo proposito, mi scuso per le anticipazioni (e anche per il
disegno del sottomarino giallo). Dal momento che ho rotto la macchina
fotografica
(mi è rimasto incastrato l’obiettivo, non esce più), vi regalo
questa meraviglia, che ho realizzato con… Word, il tipico programma di grafica!
Le altre due illustrazioni dell’articolo rappresentano fronte e retro del
biglietto d’ingresso
, passati allo scanner per voi. Insomma: ci si aggiusta come si può, clemenza nei commenti!

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2 risposte a Il sottomarino giallo

  1. ianele scrive:

    Gentile Sig. Badino,

    in occasione del 40° anno dall’uscita di “Yellow Submarine” abbiamo organizzato una mostra sui Beatles, in collaborazione con il Comune di Trieste e con il contributo della la Regione FVG, e soprattutto grazie alla partecipazione del collezionista che ci fornisce il materiale.
    Si tratta di una particolare esposizione di materiale di collezionismo (privato) che spazia dagli album originali in vinile, ai gadgets, agli autografi, a posters e cartoline.
    La mostra è aperta dal 5 agosto al 23 agosto, ad ingresso gratuito.
    Augurandoci che le possa interessare, Le porgiamo cordiali saluti
    Elena Iannone
    http://beatlesherethereeverywhere.blogspot.com/

  2. Mario scrive:

    Mi dispiace, ma sicuramente non potrò visitare la mostra. Ho “lanciato” la notizia per tutte le persone interessate…
    http://mariobadino.noblogs.org/…erpool-a-trieste

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