Vicenza, 15 dicembre 2007 – Cronaca e foto della manifestazione No Dal Molin

 La prima cosa che colpisce, a Vicenza, è l’organizzazione.
 
La prima indicazione per il parcheggio ce la dà la polizia, al casello, ma subito dopo vediamo alcune persone con la bandiera No Dal Molin, “appostate” ai bivi. Anche i cartelli con le frecce hanno il logo con il caccia sbarrato. Quando il pullman si ferma davanti alla stazione, non c’è ancora molta animazione. Rispetto al 12 febbraio, è attesa meno gente e gli organizzatori sostengono che la manifestazione potrà considerarsi riuscita se si presenteranno 20-30 mila persone. Il tempo di quattro passi nel centro, fino alla basilica del Palladio in fase di restauro, lungo le belle vie di una città d’arte incantevole, soltanto un po’ nascosta dalle bancarelle natalizie, poi torniamo verso la stazione. Nel frattempo, la folla è cresciuta e il corteo bell’e formato. La gente è tanta; anche questa volta decine di migliaia di persone, provenienti da tutta Italia, hanno risposto all’appello di Vicenza.
  

La testa del corteo

 
 

La seconda cosa che colpisce, a Vicenza, è la fantasia.
 
Quella di donne e uomini, semplici cittadini (né agitatori, né professionisti della politica) che da circa un anno mettono in gioco se stessi e la propria esistenza quotidiana per lottare contro l’ennesima ferita inferta al territorio da un modello di sviluppo insostenibile, che trova nelle armi la sua prosecuzione naturale. La nuova base dovrebbe diventare la testa di ponte delle incursioni militari aeree americane in Medio Oriente e in Africa. La nuova base dovrebbe sorgere sulla falda idrica più importante della zona. La nuova base potrebbe ospitare le armi atomiche statunitensi, come già avviene a Ghedi e ad Aviano, sebbene l’Italia abbia firmato il Trattato di Non Proliferazione nucleare.
 

Bambini vicentini

 Contro interessi di queste proporzioni, i vicentini hanno saputo lottare, nei 12 mesi passati, secondo un metodo di azione collettiva, con grande originalità e inventiva, coniando slogan, inventandosi “popolo delle pentole”, innalzando e ora raddoppiando il tendone del Presidio permanente, promuovendo il boicottaggio di banche e aziende interessate alla costruzione della base, stringendo “alleanze” con gli altri movimenti italiani, preparando, a settembre, un campeggio/convegno, piantando alberi entro il perimetro dell’aeroporto, bloccando i lavori di bonifica preliminari e ora organizzando la tre giorni europea, cui hanno aderito cechi, tedeschi, inglesi e anche tanti americani contro la guerra o a favore dell’impeachment di Bush.
 
 Tutto questo è avvenuto nel silenzio quasi totale dei media che, dopo la manifestazione di febbraio, hanno azionato la sordina, stendendo sulla lotta di Vicenza una cortina di silenzio.
 
Contro quest’indifferenza, aprendo il corteo, i vicentini hanno indossato una maschera bianca, simbolo della loro invisibilità. Dietro lo striscione d’apertura, il camion-palco, sul quale si sono alternati gli oratori, quindi ancora i vicentini, una vera folla, con tante bandiere bianche No Dal Molin e quelle arcobaleno della pace.
 

Uno striscione recita, in veneto: «Paroni del mondo gavi’ toca’ el fondo», un grande telone multicolore s’improvvisa, guizzando in aria, mongolfiera; sfilano la delegazione di Emergency, gli abitanti di Quinto Vicentino (che «ha detto NO al villaggio Usa»), bambini con le pentole, gli statunitensi contro la guerra, incappucciati che portano il patibolo con, appesa, la colomba della pace, i No Tav della Val di Susa, uno dei gruppi più numerosi, i socialisti rivoluzionari, i No Mose, quelli del Partito umanista, i No F-35 di Novara e tanti, tanti altri. Un anarchico “occupa” la cima di un semaforo, dalla quale sventola la bandiera rosso-nera; sotto, si fanno avanti quelli di AcerraNo inceneritore»), gli «studenti e studentesse» contro il precariato, i veterani dell’Iraq contro la guerra, poi chi denuncia l’«accordo militare Italia-Israele» e invoca una «Palestina libera», e ancora i No Expo 2015 di Milano, il tarantino Comitato di Quartiere di Città Vecchia… Chiude il corteo la miriade di sigle dell’universo anarchico e dei partiti comunisti.
 
Il risultato, stando a ciò che si dice il giorno dopo, è che siamo 80 mila.
  


 

 

 
 Vicenza non è sola, perché a Vicenza «è in gioco una questione cruciale di democrazia», come scrive Gianfranco Bettin sulla prima pagina di Carta, in edicola sabato 15 dicembre.
 
In ballo sono le ragioni «di chi pensa che il diritto di decidere su [certe] questioni non possa che appartenere alla comunità che dovrebbe sopportarne le conseguenze». «In questo senso», dice Bettin, «il richiamo alla democrazia partecipativa, alla imprescindibile condivisione delle scelte quando esse siano di [una certa] portata, supera perfino lo specifico contenuto di politica militare». Che, naturalmente, è del tutto inaccettabile. Questo, mi sembra, è il punto principale: il diritto delle comunità a decidere in prima persona del futuro, del proprio modello di sviluppo. Un’esigenza alla quale la politica oppone continuamente il proprio rifiuto, motivato dalla necessità di rispettare veri o presunti accordi internazionali. Per questo la lotta delle comunità è oggi ancora più preziosa: perché il Palazzo non ha il coraggio (lasciamo stare l’intelligenza politica) di rispondere alle richieste dei cittadini e continua con ostinazione ad approfondire il solco tra sé e loro.
 Cioè, per dirla con Dario Fo, presente sul palco: «Non ascoltate la gente, cari politici, e questa sarà la vostra tomba. Cretini!».
 


 L’immagine dei bambini che "suonano" le pentole è di Silvia Rinaldi.
 Guarda le altre foto nell’album.

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4 risposte a Vicenza, 15 dicembre 2007 – Cronaca e foto della manifestazione No Dal Molin

  1. AIRPLANO scrive:

    cosa dicono no al F- 35 …. l’ italia lo merita e lo avrà …
    non possiamo rimanere con una flotta anni 70 come la Libia … Abbiamo visto i risultati .
    Comunisti, so che preferite un aereo di fabbricazione russa … ma comunque gli americani non fanno brutti aerei.

  2. mariobadino scrive:

    Umano o spam che tu sia (l’ultima parte del commento mi sembra un po’ innaturale, ma sarò io a esagerare con le interpretazioni) può darsi che l’Italia “meriti” i caccia F-35 per non restare indietro, ma l’articolo era su tutt’altro (la contrarietà della popolazione vicentina alla costruzione di una base USA sul proprio territorio). Per quanto riguarda gli F-35, si tratta semplicemente di decidere che cosa è giusto fare con i soldi dei cittadini, se comprare armi d’attacco che la nostra Costituzione ci vieterebbe di usare, oppure investire in quei servizi pubblici che tutti vituperano, pur di dirigere altrove il flusso degli investimenti pubblici. Quello degli F-35 – che probabilmente saranno in parte assemblati a Cameri (Novara) – è presentato come un affare con grandi ricadute per tutta la zona: si tratta palesemente di una bugia (per l’assemblaggio servono tecnici specializzati, non manodopera locale) ed esistono molte critiche nei confronti dell’F-35, tanto dal punto di vista dei costi, quanto da quello dell’efficienza. Credo che in proposito sia intervenuto anche l’equivalente americano della Corte dei Conti. Tutto questo dico SENZA neppure prendere in considerazione le riflessioni che mi stanno più a cuore, improntate alla necessità di non lasciarsi invischiare nelle prossime guerre; per “rubarti” le parole, «abbiamo visto i risultati» in termini di democrazia e diritti, ma anche in termini militari, tanto in Afghanistan e in Iraq, quanto in Libia. Su una cosa, comunque, hai ragione: in genere anch’io mi fido di più degli aerei americani che di quelli russi.

  3. AIRPLANO scrive:

    No , assicuro di essere un umano , e assicuro anche che uno dei diritti del nostro paese è quello di essere difeso… Usa o no Usa … F-35 o no F-35 … ed è ciò che oggi viene trascurato . Io ritengo che il nostro belllissimo paese abbia bisogno degli Usa in tutto.

  4. mariobadino scrive:

    Credo che il diritto alla difesa non possa implicare il ragionamento per cui “la miglior difesa è l’attacco”, come ha insegnato la «guerra preventiva» di George W. Bush, quella che Obama ha ereditato e intensificato. Le basi americane in Italia fanno parte di uno scacchiere necessario al governo di Washington per intervenire in Medioriente e in Africa, ma perché dare per buono il diritto degli Usa di intervenire in quelle regioni del mondo? In che maniera l’intervento militare in queste regioni assicura pace e sicurezza agli Stati uniti? O all’Italia? E perché accettare che un possibile pericolo sia bombardato prima che abbia in qualche modo tentato di nuocere?

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