Ancora un articolo del 2008 (in realtà un testo del 2006 rimaneggiato nel 2008), che avevo pubblicato nel blog come allegato e che chissà dov’è finito. L’intento – il lettore lo avrà capito – è quello di far ripartire la sezione Camminante, alla quale tengo molto.
Dopo la Puglia, è il turno della Valle d’Aosta, con la cronaca, spero poetica, della mia ascesa dal paese di Villeneuve ai resti di Châtel Argent. Oggi mi limito a pubblicare il resoconto, le foto le devo cercare.
PS: Senza che io lo sapessi, questo testo – reperito in internet – è stato usato da una compagnia teatrale per introdurre uno spettacolo tenutosi (o ambientato) a Villeneuve. Ne ho avuto notizia per caso, da un’amica che era allo spettacolo.
Passeggiata Villeneuve – Châtel Argent
Giunto a Villeneuve, parcheggio appena fuori del paese. La Dora ha tanti sassi e poca acqua; è limpida e fredda, accompagnata, lungo l’argine sinistro, da una fila di alberi spogli. Oggi è il secondo giorno di marzo e il termometro segna tre gradi sopra lo zero. Appena più in alto, però, il vento freddo sferza e gela il volto di chi sale. M’incammino lungo una stradina stretta, lastricata di pietra e scavata sul fianco della roccia.
Nel cimitero, che incontro dopo pochi metri, sorge l’antica chiesa di Santa Maria, risalente alla metà dell’XI secolo. Secondo il cartello, si tratta di una fra le più importanti testimonianze dell’architettura romanica in Valle d’Aosta, costruita su un sito frequentato sin dal neolitico e poi utilizzato dai romani. Si tratta di uno fra i più antichi centri di culto cristiani della regione, come testimonia la presenza, sotto la chiesa, di resti di un complesso di edifici del V secolo d.C.
Osservo da lontano, senza neppure verificare se il cancello è aperto o chiuso. Le tombe sembrano stringere la chiesetta d’assedio; alcune lapidi sono addossate ai muri. Giro su me stesso e continuo la marcia, salendo verso i resti di Châtel Argent, fortificazione posta a guardia della via di fondovalle. Mi reggo alle ringhiere di legno per procedere lungo il sentiero gelato. Una grossa nube ha coperto quel poco di sole che c’era. Dove manca la staccionata, devo pattinare.
Alcuni cartelli di legno mi fanno compagnia lungo l’ascesa. Li hanno realizzati i ragazzi della I A della scuola media di Villeneuve nell’anno scolastico 1994-95. Ricopio sul mio taccuino le iscrizioni ormai sbiadite: indicano i nomi delle piante e le loro qualità. Così il percorso si anima e si trasforma in un certame, nel quale alberi e arbusti litigano fra loro per decidere chi sia il più importante.
«Sono slanciato, elegante», dice il pioppo cipressino, «e ho le foglie cuoriformi».
«Ho buon legno per fare i mobili», risponde il pino silvestre.
«Sono pioniera», si vanta il larice: «dalla mia resina si ottiene la trementina».
«Ho bacche viola digestive e aromatiche», si bea il ginepro.
Avanzo, a passo lento. Sulla sinistra, a monte, gruppi di betulle; dietro di loro, la collina brulla, chiazzata di neve, e il cielo. Alla svolta del sentiero i primi brandelli di muro annunciano il castello. La torre pare uscire dritta dalla terra ed ergersi contro il cielo azzurro abitato da nuvole bianche che corrono nel vento. Dal paese giunge il suono del campanile, che batte le quattro e mezza. Quasi a tempo scaduto, interviene il crespino, ultimo concorrente, che informa:
«Sono spinoso. Ho bacche rosse ricche di vitamina C».
Un tempo, Châtel Argent (chiamato così perché vi si batteva moneta) era formato da un’ampia cinta muraria che racchiudeva la torre circolare, il corpo d’abitazione, una cisterna e una cappella. Ampi tratti di mura si sono conservati, la torre è rimasta pressoché intatta e anche i muri della cappella sono in buono stato. La cappella è la parte più antica, costruita probabilmente tra l’XI e il XII secolo, ma già in epoca romana il luogo ospitava una cisterna. Questa era caratterizzata da un intonaco di colore rosato molto suggestivo, tanto che de Tiller, nel suo «Historique de la Vallée d’Aoste», lo attribuì alla presenza prolungata di depositi di vino. La realtà è invece più prosaica, perché il colore era dovuto al coccio pesto – polvere di mattone – utilizzato come impermeabilizzante. L’aspetto attuale della fortezza risale al 1275, quando il territorio era sottoposto all’autorità del conte Pietro II di Savoia.
Varco la cerchia delle mura e non posso non pensare agli esseri umani che hanno camminato, lavorato, sognato, forse cantato e goduto in questo spazio un po’ distaccato dal mondo. Guardo la montagna e i boschi, oltre la rupe sulla quale mi trovo. Calpesto le erbe lunghe, ingiallite dall’inverno e pettinate dal vento. Ancora qualche passo e penetro nella cappella, piccola, senza più il tetto. L’unica navata dà ricetto a qualche alberello dal fusto minuto. Nell’abside, che guarda verso valle, si aprono due feritoie. Col viso appiccicato a una di esse, osservo dall’alto la chiesa di Santa Maria e il cimitero, la Dora che scorre (ora la poca acqua sembra verde), i campi e le case. Altre piccole balze, la chiesa di Saint-Pierre, il castello… Sulla mia zucca, invece del soffitto, il cielo incerto, sospeso tra l’azzurro e il bianco delle nubi. Lontano e silenzioso, vola un uccello nero.
Esco nuovamente sul prato ed ecco la torre, imponente, tra masse di nuvole forate dal sole. La oltrepasso e scendo dall’altra parte, fino alla statua che raffigura Nostra Signora degli alpini d’Italia, posta dalle penne nere di Villeneuve nel settembre del 1970. È spigolosa, a metà strada tra Boccioni e Picasso, ma bella contro il bianco del cielo. Alla Madonna, madre, è aggrappato disperatamente un soldato. Salgo più in alto; da dietro, vedo le braccia e le mani dell’alpino spuntare dietro le scapole della Madonna, stringere, cercando soccorso, le spalle di Maria.
Per scendere, prendo un’altra strada: qui la neve non è ghiacciata, ma riceve i miei passi cedendo appena. Posso azzardare una timida corsa. Sento il campanile battere le cinque e scendo giù, fin dentro il paese.
___________
PS: Ho scritto questo testo, se non sbaglio, nel marzo del 2006. Quest’anno sono tornato a Châtel Argent verso la fine di febbraio. Rispetto all’ultima volta, alcune cose sono cambiate, perché il comune di Villeneuve (o chi per lui) ha fatto alcuni lavori di manutenzione del sentiero e dell’area storica. Ci sono meno erbacce, gli arbusti all’interno della cappella sono stati rimossi, mi sembra che siano stati tolti alcuni cartelli con la descrizione degli alberi. Il posto, nel complesso, rimane stupendo e dà un’impressione strana, come di trovarsi appena fuori dal mondo: potresti immaginare qualche soldato di ronda sugli spalti, forse un fantasma degli antichi guerrieri di quel vecchio fumetto con Paperino vichingo, magari invece militari in attesa di un nemico che non arriva mai, come nella Fortezza del Deserto dei Tartari di Buzzati. [Aosta, 8 marzo 2008]