Di Wikipedia (come di ogni altra cosa, del resto) pensate pure ciò che vi pare. L’enciclopedia collaborativa fatta dagli utenti, gratuita e in continuo aggiornamento, è oggi uno strumento comodo e molto utilizzato per acquisire velocemente informazioni sugli argomenti e i personaggi più disparati. Opera meritoria o meno, è inevitabile che certe voci e pagine si riferiscano a temi controversi e c’è anche chi, non avendo di meglio da fare, passa la giornata a modificare le varie voci in maniera come minimo discutibile (penso in particolar modo agli antifemministi e a certa gente, in massima parte politici, che si modifica – a quanto si dice – la propria pagina da sola).
La scientificità di un progetto come Wikipedia è dunque opinabile e tuttavia oggi l’enciclopedia online è un progetto presente, nel mondo, in ben 270 lingue. Leggere il comunicato (dello scorso 4 ottobre) che annunciava l’oscuramento temporaneo della versione italiana di Wikipedia (è rimasta chiusa i giorni 4, 5 e 6 ottobre) in protesta contro la legge bavaglio e il comma “ammazza blog” (che, di fatto, metterebbe nei guai tante altre realtà della rete) mi ha fatto impressione. Sarà perché è comparso su uno strumento ben inserito nel sistema, che in fondo non si propone di fare la rivoluzione (nonostante la sua gratuità che, di questi tempi, è davvero un elemento rivoluzionario), ma il grido di allarme di Wikipedia mi ha colpito più delle mie stesse riflessioni. L’Italia sarebbe il primo Paese occidentale in cui persino un progetto difficilmente etichettabile come sovversivo, Wikipedia, è costretto a chiudere i battenti, per tutelare la rispettabilità di qualche potente, in realtà già tutelata dal codice penale, articolo 595. Il codice, però, se la prende con un reato vero: la diffamazione; l’obbligo di rettifica (oltretutto senza la possibilità di aggiungere un commento), invece, è a discrezione di chi si senta diffamato e dunque ne faccia richiesta, senza che a decidere sia una parte terza e senza che c’entri qualcosa la veridicità della notizia pubblicata.
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Wikipedia, non Facebook!
In ogni caso, e spero non si evinca proprio quello dall’articolo, non volevo fare il panegirico neppure di Wikipedia, che considero parte integrante di un sistema ingiusto, quello del quale Berlusconi costituisce soltanto una posizione molto degenerata (perché rappresenta soprattutto interessi personali e non interessi di parte, di lobby). Dicevo solo che se neppure una cosa come Wikipedia può sopravvivere al bavaglio, forse anche i meglio disposti ad accettare la propaganda del governo potrebbero decidersi a vedere le cose per ciò che sono: censura!