Opere inutili e ideologia unica, s’intitola questo post: ideologia unica devastante, con buona pace di chi certi sistemi economico-filosofici li aveva dati per morti. Dico del liberismo, che sopravvive a tutto, anche a quella crisi finanziaria che avrebbe dovuto ridisegnare le regole dei mercati. A distanza di alcuni mesi dai proclami (non soltanto) obamiani, quelle banche cui i soldi pubblici (semplifico: i miei, i nostri) hanno evitato il fallimento ricominciano con i giochetti e le pretese di indicare la giusta rotta; le imprese che godono e hanno goduto di sgravi fiscali e altri incentivi pretendono di calpestare qualsiasi criterio di utilità sociale: «Non siamo associazioni caritatevoli», sembrano sussurrare. Però i fondi pubblici se li sono presi.
È naturalmente il caso della Fiat, che a Pomigliano ha imposto di rinunciare ai diritti (malattia, sciopero) in cambio di lavoro; la stessa Fiat che chiude Termini Imerese e sembra voler abbandonare il meridione d’Italia. Ma sorge spontanea la domanda: quanti miliardi di soldi pubblici (miei, nostri, nuovamente) erano stati dati – direttamente o meno – alla casa automobilistica di Torino perché investisse nelle aree meno sviluppate del Paese? Può davvero Fiat smontare baracca e burattini senza restituire il maltolto?
Certo, per imporre politiche aziendali più eque ci vorrebbe un governo diverso, che non identifichi il bene comune con l’interesse di certi settori della società, praticando in tal modo distinzioni «di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche (vedi tessera Fiom, ndr), di condizioni personali e sociali». Un governo capace (e desideroso) di imporre almeno alcune regole in cambio dell’aiuto alle aziende; regole che non possono essere quelle del mercato e del liberismo, ma dovranno essere in linea con le leggi dello Stato e i principi sanciti dalla Costituzione, ad esempio la concezione del lavoro come un diritto.
Un governo capace di chiedere contropartite alle imprese che aiuta o che salva: ad esempio uno stop alla precarizzazione delle formule contrattuali, che non significa flessibilità, ma vite precarie; ad esempio uno stop alle delocalizzazioni; ad esempio uno stop ai licenziamenti.
Un governo che non è certo quello del Presidente senza Consiglio, che ha detto di voler campare fino a 150 anni, ma neppure delle attuali, sedicenti, opposizioni parlamentari, con il piddì che ha appena proposto un comitato a favore della privatizzazione dell’acqua; un partito senz’anima guidato da quel Bersani che ha equiparato i termovalorizzatori alle energie rinnovabili; il movimento che spinge per l’alta velocità in Val di Susa, quello che mai e poi mai si è opposto alle opere milionarie o alle spese militari.
Nella piccola Aosta (35mila abitanti) la giunta composta da partiti autonomisti e Pdl ha condotto la propria campagna elettorale, conclusasi con la vittoria alle comunali dello scorso 23 maggio, all’insegna delle grandi opere, fra cui brillerebbe per idiozia una bella metropolitana: poco più di un chilometro di linea sotterranea per attraversare il capoluogo – peraltro lungo il lato corto. Circa 4 minuti di percorrenza per evitarne 20 a piedi, con una stazione di capo e una di coda, rispettivamente presso l’ospedale regionale e il piazzale della cabinovia che conduce alla stazione sciistica di Pila. Un’unica fermata intermedia, a metà percorso, in corrispondenza di piazza della Repubblica. Spesa prevista: 50 milioni di euro. Più anni e anni di disagio per i cittadini, visto che il centro storico diventerebbe un cantiere.
Ovviamente, ora che le elezioni sono avvenute, della metropolitana (People Mover, l’hanno chiamata) non parla più nessuno, il che non saprei dire se è segno buono o cattivo. Spesso le opere partono in sordina e la cittadinanza viene presa in contropiede.
Bisogna vigilare, perché non occorre essere dei geni per capire che una linea di metropolitana interrata per una città di appena 35mila abitanti è il classico esempio di opera inutile, resa interessante agli occhi di alcuni dall’ideologia unica cui si accennava sopra, quella degli appalti milionari.
Per cambiare le cose non basta cambiare governo, nazionale o locale, e, se Dio vuole, Berlusconi non camperà veramente fino ai 150 anni. Per cambiare le cose bisogna avere/pensare un’alternativa da proporre: ricordare, almeno a sinistra, che anche senza fare la rivoluzione armata del proletariato (in questi ultimi anni siamo diventati tutti nonviolenti), se il sistema è iniquo bisogna cambiare sistema, non cercare di pettinarlo per renderlo più presentabile.
Contro la metropolitana ad Aosta sono esposti striscioni come quello della foto.
È in corso una petizione.
È attivo un gruppo di Facebook.
Nel mio piccolo, ho scritto ed eseguito la canzone «People Mover», con musica di Danilo Ciao, ascoltabile QUI.