I recenti fatti della Free Gaza Flotilla, attaccata illegalmente in acque internazionali dalla marina israeliana (9 i morti accertati fra i pacifisti), ha fatto tornare in primo piano la necessità di adoperarsi per fermare la politica omicida di Israele, rivolta innanzitutto contro i palestinesi di Gaza (un milione e mezzo di esseri umani privati della libertà di movimento e sottoposti a un duro embargo, che include i generi di prima necessità, alimenti e medicine compresi).
Negli ultimi quattro anni, Gaza è rimasta bloccata e, a intervalli, colpita da bombardamenti aerei e "omicidi mirati" (l’azione più grave è stata naturalmente l’operazione «Piombo fuso» che per 22 giorni, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, ha colpito la Striscia, causando più di 1200 morti, la maggior parte dei quali civili).
Anche in Cisgiordania, i soprusi e le ruberie di terre, attraverso il proseguimento della politica di espansione delle "colonie" israeliane, sono all’ordine del giorno e un muro dell’infamia divide le zone israeliane da quelle palestinesi, separando arbitrariamente appezzamenti e famiglie, assegnando le risorse maggiori (anche idriche) a Israele.
Israele, nonostante questa politica vergognosa, lesiva dei principali diritti umani, continua a godere di ottimi rapporti con l’Occidente: con gli Stati uniti, ma anche con l’Unione europea, che è oggi il primo partner commerciale di Tel Aviv. Se gli Stati europei volessero davvero ottenere pace e giustizia in Palestina non avrebbero altro da fare che minacciare l’interruzione degli scambi commerciali.
In attesa di un’assunzione di responsabilità da parte dell’Occidente (e nella speranza che i continui eccessi della "politica" israeliana finiscano per ritorcerlesi contro: l’isolamento di questi giorni potrebbe essere la premessa per un cambio di rotta?), tutte e tutti possiamo fare la nostra parte, come cittadini responsabili, boicottando l’acquisto dei prodotti israeliani.
I prodotti israeliani sono quelli il cui codice a barre comincia con 729 (come nell’immagine di questo articolo).
Può sembrare velleitario, ma è quanto ci chiedono gli attivisti internazionali presenti in Palestina: infliggere un danno economico è l’unica cosa che può far riflettere chi per interesse è disposto a calpestare i diritti umani.
Naturalmente, lo dico per le solite "anime candide" che accusano i detrattori della politica della guerra di voler punire una
popolazione intera o di essere antisemiti, non si tratta di affamare Israele, che dispone di risorse infinitamente più grandi (facciamo un esempio) di quelle di Gaza (lei sì sotto assedio), e di una libertà
di movimento incommensurabilmente maggiore.
Si tratta di lanciare un segnale, piuttosto, a chi di
segnali ne lancia in continuazione con le bombe e i commando armati. Per questo, occorerrà pubblicizzare il proprio boicottaggio con azioni dimostrative, oppure scrivendo alle ditte che si è deciso di danneggiare economicamente, spiegando le ragioni per le quali non acquisteremo più i loro prodotti e che cosa dovrà accadere perché il boicottaggio abbia fine.
Non si tratta, infatti, di uno strumento eterno, ma di una risorsa limitata alla fascia temporale
suggerita dalla coscienza dei boicottanti: magari la fine del blocco di Gaza e l’avvio di un vero processo di pace.
Consulta la lista
dei codici a barre di tutte le nazioni e alcune notizie sulle relazioni
economiche tra Italia e Israele e sulle aziende italiane che
commercializzano prodotti israeliani.
Leggi anche l’articolo Sanzioni per chi boicotta Israele.
Ho tratto l’immagine di questo articolo
dal blog Femminismo a Sud