Che cosa pensa l’Italia dei caduti in Afghanistan?

 
 Oggi a scuola la circolare improvvisata sui due minuti di silenzio in onore dei due militari italiani morti in Afghanistan era appiccicata sulla macchinetta del caffè, di modo che tutti la potessimo vedere. Per i primi caduti, quelli di Nassiriya, erano stati scelti canali più decorosi.
 Forse, dopotutto, è segno che ci stiamo abituando alla morte e alle guerre che non vogliono finire.
 Rispetto il dolore delle famiglie; non condivido il clima di lutto nazionale: i soldati fanno la guerra e in guerra possono morire, è semplice. Con loro, del resto, muoiono anche i civili afghani; muoiono a migliaia nell’indifferenza pressoché generale.
 Ora, i casi sono due: se condividiamo questa guerra e, in generale, la logica bellica, dobbiamo accettare il «sacrificio» degli «eroi» e stupirci semmai che dalla nostra parte le vittime siano così poche
(chiediamoci il perché). Se non condividiamo questa guerra, invece, riportiamo a casa le truppe.
 Quand’ero bambino, se andavo in qualche grande città, mi stupivano sempre, sugli autobus, i cartellini che riservavano il posto ai mutilati di guerra. Benché fossi piccolo, mi dicevo che nel giro di qualche anno quei cartelli sarebbero scomparsi, perché era finito il periodo delle guerre. Il secondo conflitto mondiale, per noi europei, sarebbe rimasto l’ultimo.
 A quanto pare sbagliavo.
 Non smettiamo però di chiederci quale futuro vogliamo per i nostri figli.
 L’altro giorno, il Tg5 ha dato la notizia della Marcia per la Pace da Perugia ad Assisi. Non ha lanciato nessun servizio, ma almeno ha detto che c’era tanta gente. Per "rimediare", ha fatto seguire la notizia da altre due di segno opposto, questa volta corredate di servizi, con tanto di ministrolarussa: una qualche festa di paracadutisti e un raduno di bersaglieri.
 
 Chiediamoci semplicemente quale Italia vogliamo.

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