Senza cadere nella retorica, mi piacerebbe dare all’articolo un po’ di pathos, ma non ne ho il tempo.
Suppongo
che un genitore non possa trastullarsi troppo con internet. Il poco
sonno, poi, mi impedisce di ragionare appieno, di documentarmi
sufficientemente, e non riesco più a star dietro alle malefatte del
«miglior governo degli ultimi 150 anni»: non so mai se una legge è
stata già votata o ancora no, se è passata in una sola Camera o se è
stata definitivamente approvata, se le sparate del Pdl e della Lega
hanno avuto un seguito concreto o meno.
Suppongo che un genitore abbia qualche scusante, perciò probabilmente nel prossimo futuro mi farò sentire ancora meno.
Eppure è proprio perché ho una figlia piccola che non posso restare in silenzio a veder passare, una dopo l’altra, quelle "riforme"
che ci riportano indietro nel tempo, abbattendo tutti i traguardi di
civiltà e diritto cui il Paese era – faticosamente – giunto.
Sotto attacco è il lavoro. Io ho ancora diritto al posto fisso (e non più, forse, quello alla pensione), ma Emma?
Sotto attacco è la scuola. Io ritengo di aver condotto studi di qualità elevata. Ma mia figlia che troverà?
Sotto attacco è la libertà di pensiero, nel nome dell’omologazione.
Tutti siamo ridotti al ruolo di consumatori passivi di prodotti
preconfezionati, perché troppa varietà danneggia il libero mercato.
Ha scritto Mariuccia Ciotta, sul manifesto
del 22 gennaio: «L’idea di società del governo è […] quella di
scollegare l’istruzione dal progresso, smantellare i principi base di
ogni civiltà e rendere più fragili i piccoli umani, destinati a non
sapere. Così ecco pronto l’emendamento per rubare un anno di scuola ai
ragazzi, quindicenni fannulloni da mandare a lavorare, apprendisti
stregoni a servizio dei "migliori" (fuori i figli degli immigrati). La
misura che viola la legge sull’obbligo scolastico fino a 16 anni e
sull’età minima per entrare nel mondo dei (dis)occupati è il segno
della regressione del paese, che colleziona decreti su misura per il
capo azienda. Non solo Berlusconi impone di stravolgere le regole a suo
benificio, la legge non è uguale per tutti, ma istiga i suoi ministri a
nuove invenzioni per privare i cittadini dei diritti che sembravano
intoccabili».
Invito a leggere l’articolo intero, che prende in esame altri aspetti della deriva anticulturale berlusconiana, come il decreto Romani contro l’obbligo di programmare film italiani ed europei, oppure la stretta sui film vietati ai minori
anche nelle tivù a pagamento. Anche perché «più si impara a decostruire
l’immagine e la parola», commenta la giornalista, «a individuare
l’ubicazione reale e fantastica di mondi diversi, più aumenta la
capacità critica, e magari si smaschera il tg della sera.
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