Il sessista non ha bisogno di scuse [da Femminismo a Sud]

 
 Questa mia foto è stata pubblicata sul blog Femminismo a Sud. Volevo
copincollare l’articolo, ma – a parte che non ne ho il tempo – che
senso avrebbe proporre due volte di seguito la stessa cosa? Vi rimando
all’originale, che s’intitola Il sessista non ha bisogno di scuse.
Troverete, tra l’altro, il solito uso del corpo femminile per vendere
un prodotto, e l’interpretazione di un ragazzino che ha scritto il suo
commento con il pennarello rosso. Il contenuto e gli errori mi inquietano particolarmente, perché il cartellone si trovava vicino alla scuola media in cui
insegno.

Questa voce è stata pubblicata in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura). Contrassegna il permalink.

4 risposte a Il sessista non ha bisogno di scuse [da Femminismo a Sud]

  1. vnd scrive:

    Ora per allora….
    Per pubblicizzare l’intimo femminile, non vedo molte altre strade che fare indossare il prodotto da promuovere ad una donna.
    Ad onor del vero, la modella sembra composta e, il costume, decisamente sobrio.
    E’ una bella pubblicità. Dove vedi la volgarità?

  2. mariobadino scrive:

    1. Intanto nelle scritte che qualcuno ha fatto sul cartellone, segno che usare un corpo per vendere un prodotto scatena strane associazioni di idee tra il prodotto vero e proprio e chi è utilizzato per commercializzarlo (il discorso vale anche al maschile, esiste anche la commercializzazione del corpo maschile);

    2. Dici che per «pubblicizzare l’intimo femminile» non vedi «molte altre strade che fare indossare il prodotto da promuovere ad una donna». Giusto, per carità. Ecco infatti come la stessa marca pubblicizza l’intimo per uomo: http://www.fashiontimes.it/2011/08/irina-shayk-per-intimissimi-uomo/ (foto) e http://mariobadino.noblogs.org/post/2011/08/11/una-donna-per-intimissimi-uomo/ (il mio commento);

    3. Infine: «la modella sembra composta e, il costume, decisamente sobrio». A parte che per quanto mi riguarda il costume poteva anche non essere sobrio per niente (non è questione di essere bacchettoni) la posizione della modella non sarà «volgare», ma ti sembra normale? Quand’è che una persona si mette in quel modo? Che cosa vuol dirci la pubblicità? Che si prepara a ricevere una schiacciata in una partita di beach volley? Che ci sta offrendo il suo decolleté? Che si protenda, in ogni caso, verso l’uomo-cliente?

  3. vnd scrive:

    Ora per allora….
    1. a giudicare dagli errori ortografici non credo affatto che il grafomane possa in qualche modo essere considerato rappresentante dell’intero genere maschile.
    Quelle scritte squalificano lui, non gli autori della pubblicità. E, si badi, ho scritto Lui. E lui solo. Non certo l’intero genere maschile. la generalizzazione è femminista e… sciocca. Ti senti rappresentato? Mi spiace ma… Io no. Non è affar mio.
    2. sono leggi di mercato. Pensare di costringere i pubblicisti a rinunciare ai richiami sessuali è quasi assurdo. Siamo fatti così. Chi vende pubblicità sa bene su che cosa fare leva. E non solo loro, purtroppo.
    Ti stupirà saperlo ma, cerdo proprio che quella pubblicità sia rivolta alle donne più agli uomini. Il linguaggio di quelle immagini è femmninile. Compro quella biancheria e anche io sarò così bella e desiderabile.
    Vederci del maschilismo è quanto mai fuori luogo.
    3. Siamo seri! Tu, come maschio, regaleresti mai delle mutande del genere alla tua ragazza?
    Sono assolutamente antierotiche! Direi quasi castranti! Io se devo regalare biancheria ad una donna, è perchè voglio che la metta per me.
    No. La modella si mette in quella posizione per convincere le donne, non per noi uomini.
    La critica è assolutamante insensata. come la maggior parte delle critiche di femminismo a Sud.

    • mariobadino scrive:

      1) Evidentemente non mi sento rappresentato – in quanto esponente del genere maschile – dal ragazzino che ha fatto quegli errori. Scrivo – ironicamente – che mi preoccupa il fatto di aver trovato le scritte vicino alla scuola media in cui insegno perché, a quanto pare, non abbiamo fatto un buon lavoro come docenti di lettere.

      2) Il messaggio a pennarello, per quanto confuso e contraddittorio, è di segno chiaramente sessista. Questo, di per sé, spiegherebbe già i rischi del promuovere un prodotto usando il corpo femminile. O il décolleté bene in vista è lì soltanto per il pubblico femminile? Che poi queste pubblicità siano rivolte alle donne più che agli uomini è in parte vero e non mi sorprende. Qualcosa del genere, se non sbaglio, è stato detto anche su Femminismo a Sud, il blog che consideri tanto male. Un giudizio sul quale, evidentemente, non sono d’accordo: si può apprezzare di più o di meno la singola posizione in base alla propria maniera di vedere il mondo, ma Femminismo a Sud è un blog che offre spunti intelligenti e mai di maniera. Tra l’altro, il collettivo che anima il blog sta cercando di proporre un tipo di femminismo che non corrisponda all’equazione DONNA = BENE, UOMO = MALE, ma che sappia superare luoghi comuni e distinguere caso per caso il carattere individuale di fenomeni e persone. Tutto questo, però, porta lontano dal cuore della tua critica.

      3) Io trovo estremamente significativo il fatto che in un messaggio pubblicitario rivolto al pubblico femminile si faccia ricorso all’uso del corpo femminile. Si potrebbe dire che il corpo della donna è diventato poratore per eccellenza del messaggio commerciale, indipendentemente dal destinatario prevalente della campagna pubblicitaria. Potremmo estendere il discorso alla commercializzazione del corpo umano in generale, ma credo si possa facilmente riconoscere che quello femminile è di gran lunga il più sfruttato. La commercializzazione delle persone – a mio avviso negativa di per sé – trova, nel caso della donna, un’aggravante nel fatto che il messaggio pubblicitario mostra sempre una donna desiderosa di offrirsi, non troppo diversa da una bambola gonfiabile, con conseguenze dirette sulla concezione che tanti uomini hanno del femminile. Non mi riferisco alla nudità, naturalmente, che andrebbe riconsiderata e finanche valorizzata in chiave non bigotta, ma al messaggio sessuale utilizzato in maniera ammiccante per vendere un prodotto.

I commenti sono chiusi.