Cappuccetto Rosso 2.0.

 
 Sembra che il ministro della Pubblica istruzione, signora Mariastella Gelmini, stia per sposarsi e scrivere un libro di fiabe.
 Non ho capito se una cosa è propedeutica all’altra, ma ho ben chiaro in mente a quale personaggio s’ispira il ministro: il lupo.
 
 Quella che segue
è una fiaba che avrebbe potuto scrivere lei, però l’ho scritta
io. La domanda sorge, allora, spontanea: potrei fare il ministro? E il
lupo?
 
 Cappuccetto Rosso 2.0.
 
 C’era una volta
una bambina che si vestiva di rosso ma non era comunista, vestiva di
rosso e basta. Aveva un cappuccio che si metteva in testa quando si
sentiva in imbarazzo, ad esempio durante le interrogazioni e i compiti
in classe. Qualcuno diceva che nel cappuccio c’era una trasmittente per
i suggerimenti, ma nessuno aveva mai controllato. Tutti, senza
eccezione, la chiamavano Cappuccetto Rosso.
 
 «Dove pensi di andare?» le disse la mamma una mattina, mentre la bambina usciva con un panierino pieno di libri.
 «A scuola, mamma» disse la bambina.
 «Vergogna, non serve a niente», rispose la genitrice e la bambina si ritrovò sul sedile posteriore dell’auto famigliare.
 «Ti porterò a casa di un amico» spiegò la mamma mentre la bambina cercava di ripassare le tabelline mentalmente.
 «È un miliardario triste e ti farà fare televisione in cambio di carezze»
 
 La macchina
fermò davanti al cancello di una villa e la bambina scese.
Piovigginava, così la bimba non osò tornare sui suoi passi e, mentre
l’auto della mamma s’allontanava, suonò il citofono.
 «Chi è?» disse una voce.
 «Cappuccetto Rosso» fece Cappuccetto Rosso.
 
 La stanza,
dentro, era molto grande. L’uomo era seduto sopra una poltrona. Poteva
avere una settantina d’anni, ma il suo aspetto era curato e giovanile.
A prima vista gliene avresti dati 50 (vari giudici ci avevano provato,
ma alla fine non avevano potuto dargliene neppure una ventina).
 «Quanti capelli che hai» disse Cappuccetto Rosso per rompere il ghiaccio.
 «Ho un amico medico» rispose l’uomo.
 «Che sorriso ipocrita» continuò la bimba.
 «Mi
alleno davanti allo specchio» concesse l’uomo, quindi si alzò dalla
poltrona e disse alla bambina di seguirlo. Si misero in fila indiana,
partì una bossanova e si mossero verso un’altra stanza facendo il
trenino.
 La stanza era molto
strana. Sembrava una sala cinematografica per via dello schermo, che
grande così Cappuccetto lo aveva visto solo al cinema, ma era anche una
stanza da letto, a giudicare dal maestoso due-piazze in stile dacia russa.
 
 Cappuccetto Rosso
non si era mai annoiata tanto: aveva visionato 16 ore di filmini, con
quel buffo ometto che passava in rassegna le truppe, vendeva sogni ai
comizi e faceva il trenino con i grandi del mondo. Avrebbe dato
qualunque cosa per essere altrove, ma forse, ad andare fino in fondo,
un ministero o una comparsata al Grande Fratello l’avrebbe rimediata.
Però, quando il vecchio ebbe guardato l’ultimo fotogramma di se stesso
e volse le proprie attenzioni verso di lei, non resistette e scappò via
più veloce che poteva.
 
 «Non c’era
un cacciatore in questa storia?» pensava. Ma il cacciatore era stato
licenziato, perché il suo contratto era finito e a rinnovarlo ancora
c’era il rischio di doverlo poi assumere a tempo
indeterminato. Cappuccetto Rosso doveva sbrigarsela da sola.
 «Ti farà fare televisione» diceva, nella sua testa, la voce della madre.
 «Ha più di 70 anni!» diceva un’altra voce.
 Infine
prevalse il conflitto generazionale e Cappuccetto decise che i consigli
della mamma non valevano una lira. Corse fuori dalla villa e si lanciò
in strada a tutta velocità.
 
 Raggiunse
l’edificio scolastico in un baleno e quando vide che i suoi insegnanti
non erano ancora stati licenziati tirò un sospiro di sollievo.

Questa voce è stata pubblicata in La Biblioteca di Babele. Contrassegna il permalink.