Sono stato qualche giorno in Francia, rimanendo in questo
modo indietro con l’attualità politica di un Belpaese che – davvero – non si fa
mancare niente.
La prima notizia è positiva: la
Consulta ha bocciato il Lodo Alfano, applicando così finalmente quel testo
oscuro, scritto a uso di anonimi sovvertitori dello Stato, chiamato
Costituzione italiana.
Varrebbe la pena di scendere in
strada a festeggiare, se non fosse che il (poco) Cavaliere, nonché pessimo
giocatore, ha già promesso di “rimediare” ai danni causati(gli) dal ripristino
della legalità democratica, mettendo mano a una bella riforma della giustizia
(«Cambierò la giustizia», ha dichiarato; nel senso che ciò che era giusto
diventerà sbagliato e viceversa? Ieri il quotidiano Libero parlava tranquillamente
di «vendetta»).
Ed ecco che torna fuori questa
storia dell’immunità parlamentare. Non credo che i nostri senatori e deputati
siano mai stati peggio considerati di oggi da larga parte della popolazione
italiana. Ciò considerato, pur non essendo un grillino, trovo stravagante che
si risponda alle comprensibili richieste di un «Parlamento pulito» con la
proposta di nuove impunità.
Che poi la cosa dell’«immunità» fa
pensare a certi giochi dei bambini. Quando ci si rincorreva per prendersi e per
salvarsi bastava salire su un elemento sopraelevato e gridare: «Rialzo!». O
quando ci si “passava” la sfiga toccandosi, a meno che non si incrociassero le
dita proclamandosi: «Immune!». È a cose così che pensano: perché altrimenti non si capisce quale ragione ci sia per non processare un ladro o un altro criminale, indipendentemente dal fatto che abbia avuto accesso a quei palazzi in cui ti chiamano «onorevole».
Ricordo che un tempo Benevento si
chiamava Maleventum. Una vittoria romana, se non sbaglio, cambiò poi segno al nome.
Chissà se la festa del Pdl, con il discorso, al solito morigerato, di
Berlusconi, varrà da sola a recuperare la denominazione di un tempo: «I giornali esteri
sputtanano me e l’Italia e ci sono frange della magistratura politicizzate»,
dice il capo del governo. Dove il semplice ricorso al turpiloquio potrebbe suonare
come minimo inatteso da parte di una figura istituzionale (è vero che anche
Dante dice «puttaneggiar», ma non mi sembra che il paragone possa reggersi in
alcun modo).
«Ma io sono l’eletto del popolo e
non finirà come nel ‘94».
L’eletto del popolo.
L’eletto del popolo.
«Io».
Nella mia mente riecheggia fulminea la decima domanda di Repubblica, quella che, insomma, non riesce a trattenersi dal chiedere: «quali sono, signor
presidente, le sue condizioni di salute?».
Uscendo dall’Italia, bisognerebbe
ancora parlare del nobel per la pace a Obama, ma lo farò un’altra volta. Avanzo
solo, per ora, la supposizione che a Vicenza e a Niscemi non siano tanto d’accordo;
né possono esserlo le «vittime collaterali» della recrudescenza del conflitto
in Afghanistan. Qual è il progetto di pace di Obama? L’aver posto fine al
progetto di scudo antimissile di Bush? Anche su questo, in realtà, ci sarebbe
tanto da dire. La prossima volta.
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