Se, come scrive Gabriele Polo sul manifesto del 22 maggio, ormai l’Italia «è una Repubblica aziendale, fondata sui Consigli d’amministrazione», all’interno della quale la sovranità «appartiene al governo, che la esercita nelle forme stabilite dal premier», non potrà stupire, da un lato, la boutade (??) di Silvio Berlusconi sull’inutilità del Parlamento, né, d’altro canto, l’indice di gradimento elevato (lo dicono i sondaggi) del Papi del Consiglio, nonostante gli scandali di costui e i mille mali che affliggono il Paese nella più completa indifferenza dell’esecutivo. Ma se l’italiano medio (e forse non solo quello medio) ancora non ha capito la gravità del momento storico (che cosa sarà mai qualche “respingimento”, qualche privazione di diritti per esseri sì umani, ma anche sprovvisti del permesso di soggiorno?), molto spesso in questi anni l’Europa ha provato, magari con decisione o spazio di manovra insufficienti, a mettere qualche freno al Cavaliere solitario, porre qualche altolà al suo delirio autoritario.
Possiamo aver smesso da un pezzo di credere che le elezioni siano un mezzo sufficiente per partecipare alla vita politica (e sociale) del Paese, ma il 6 e il 7 giugno prossimi venturi l’appuntamento con le urne per il rinnovo del Parlamento europeo è più importante del solito. Si tratta di votare secondo coscienza, pensando che il voto è il voto, non l’ennesimo sondaggio Mediaset sulla popolarità di Berlusconi (o magari del suo avversario Franceschini). Io trovo che in questi anni a Bruxelles e a Strasburgo la Sinistra unitaria europea (Gue), uomini come Vittorio Agnoletto, per intenderci, abbiano detto e fatto qualcosa di diverso dal delirio liberista e securitario cui la propaganda a reti unificate ci sottopone ventiquattr’ore al giorno. Voterò, di conseguenza, la lista anticapitalista formata – fra gli altri – da Rifondazione e Comunisti italiani, perché ha avuto la coerenza di scegliere una parte e un solo raggruppamento, il Gue, dove altri ha riproposto la solita frittata mista di sinistre diverse che ambiscono a collocazioni diverse in Europa (è il caso del movimento di Vendola, che “corre” sotto due simboli fra loro assai diversi, quello del Gue e quello del Partito socialista europeo – Pse).
Non lo faccio, sia chiaro, con la convinzione che queste elezioni cambieranno qualcosa. Lo faccio sapendo che cinque minuti in una cabina elettorale, con una croce da tracciare su un simbolo e – per fortuna – in questo caso la possibilità di scrivere tre preferenze è un atto dovuto per togliere almeno una voce, la mia, allo scontato trionfo delle destre, un gesto semplice che non costa molto sforzo e al quale bisogna aggiungere, giorno dopo giorno, ben altro impegno nella società e nel territorio. Un gesto, però, da rivendicare.
Che c’entra la foto? Bè, in fondo parliamo di una strada da percorrere, di bivi, di passaggi obbligati…
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